Viaggio tra le mostre a contorno dell’installazione «The floating piers» sul lago d’Iseo
«The floating piers» segna il ritorno di Christo e Jeanne-Claude in Italia dopo 40 anni. Tra gli anni sessanta e settanta, infatti, avevano realizzato tre opere pubbliche: nel 1968 a Spoleto, l’impacchettamento della fontana sulla Piazza del mercato e della torre medievale, nel 1970 quello dei monumenti a Vittorio Emanuele e a Leonardo da Vinci a Milano e infine, nel 1974 a Roma, le Mura Aureliane alla fine di via Veneto. A ricordare l’importante contributo artistico di questa straordinaria coppia e a celebrare la loro rinnovata presenza nel nostro Paese, è una mostra al Museo di Santa Giulia di Brescia, che affianca il grande progetto sul lago d’Iseo e che racconta un lungo percorso di sperimentazioni e ricerca partendo dalle loro prime opere.
I primi anni sessanta furono caratterizzati da artisti che volevano integrare il loro lavoro con lo spazio urbano, da progetti che si proponevano di espandere il campo d’azione dell’arte uscendo dallo spazio della galleria o del museo per realizzare eventi artistici nell’ambito di un territorio allargato, dalla città al deserto. Questo approccio affascina da subito Christo e Jeanne-Claude, ma per raccontare la complessità dei loro progetti è indispensabile mostrare il loro approccio ed è quindi necessario, seppur in modo contraddittorio, ritornare all’interno di un museo.
L’esposizione al Museo di Santa Giulia è curata da Germano Celant in collaborazione con l’artista e il suo studio. Non vuole essere un racconto biografico esaustivo; l’intento è invece quello di riunire per la prima volta i loro progetti legati all’acqua, elemento con cui gli artisti hanno lavorato in stretta relazione in molti paesaggi. Questo elemento, presente nel percorso artistico di Christo e Jeanne-Claude, compare per la prima volta in «Wrapped Coast», realizzata a fine anni sessanta in Australia (nella foto di copertina di Harry Skunk). Da allora è presente in altri sei progetti, fino a «The floating piers». Nei «Water Projects», così come in altri lavori realizzati, la forza operante degli elementi naturali quali ad esempio il vento, le onde di mari o fiumi, sono parte integrante delle installazioni e non un limite. Lavorano sulla terra e sull’acqua ma fondamentalmente i due elementi sono sempre in contatto tra loro.
La mostra contestualizza storicamente il percorso dei due artisti, dal 1961 a oggi. I primi interventi urbani e ambientali, che comportavano la copertura o la costruzione di strutture/oggetti che interagivano con il territorio circostante, risalgono al 1961 e 1962; tra questi un esempio è il muro temporaneo fatto di barili da petrolio in rue Visconti a Parigi, molto forte non solo per il suo impatto estetico ma anche perché aveva bloccato completamente la strada. Da allora si susseguono, in particolar modo negli Stati Uniti ma non con poche difficoltà, una serie di progetti dove il tema principale è quello di coprire edifici e paesaggi. Hanno tutti in comune la temporaneità, generalmente circa due settimane, e l’essere concepiti unicamente per un luogo specifico.
Che si tratti di una vallata o un deserto, di un fiume o un parco, di un lago o una pianura, l’intero lavoro, dalla progettazione alla realizzazione, ha comportato sempre non solo una grande complessità creativa, ma ha richiesto risposte di tipo ambientale anche verso le comunità dei territori in cui era ambientato il progetto; ed ancora, la ricerca dei materiali, di tecnici e maestranze: operai e, in molti casi, anche rocciatori. Dall’Australia al Giappone, dagli Stati Uniti alla Germania, ogni progetto ha instaurato codici, procedure di comunicazione e regimi estetici specifici; alcune idee hanno trovato presto uno strumento operativo e organizzativo, mentre per altre ci sono voluti decenni.
La coppia di artisti ha iniziato sempre a lavorare attraverso schizzi e collage, disegni immaginari forti e di grande impatto che fermano su di un foglio o una tela il loro lavoro. A Santa Giulia sono stati raccolti circa 150 tra studi, disegni e collage originali ma anche modelli in scala, oltre all’importante testimonianza resa dalle fotografie dei progetti realizzati, come i video e i film. L’esposizione presenta quindi una cronologia dei progetti monumentali, concepiti o realizzati dai primi anni sessanta e ai quali Christo, anche dopo la scomparsa di Jeanne-Claude nel 2009, continua a lavorare. Molte le opere presentate perché, negli anni, la coppia è riuscita a lavorare non su uno ma più progetti contemporaneamente, non essendo mai certi di ottenere le autorizzazioni necessarie per poterli portare a termine.
Il materiale esposto racconta, in modo educativo e senza troppe velleità espositive, la complessità delle intere operazioni, in particolare i sette «Water Projects», da «Wrapped Coast, One Million Square Feet» (1968-1969), a «Little Bay» a Sydney (1968-1969), fino all’opera sul lago d’Iseo (2014-16) e testimonia, dal primo schizzo allo studio di fattibilità, alla costruzione, alla fruizione finale, il grande lavoro che si nasconde dietro questi lavori di cui altrimenti non ci rimarrebbe nulla.
«Wrapped Coast», prima opera in cui è coinvolta l’acqua, ad esempio, riguardava flutti oceanici molto difficili, con onde, squali, venti e correnti. Originariamente pensato per la California, a causa degli ostacoli burocratici il progetto viene spostato in Australia. Nulla viene mai lasciato al caso: il tessuto scelto era sufficientemente morbido sia da permettere la crescita della vegetazione, sia da non essere portato via dal vento. Mentre in «Surrounded Islands» nella baia di Biscayne (Florida), il tessuto è stato scelto e posizionato in modo da salvaguardare alcune creature marine presenti ma ne è scaturito anche un inatteso effetto: essendo le acque molto basse, la luce che filtrava attraverso il telo – il più grande mai usato in un progetto – conferiva una sfumatura rosa a tutto quello che c’era sotto. Tali progetti sono concepiti per essere guardati dall’alto o avvicinati orizzontalmente attraverso l’atto fisico del camminare, come il noto «The Umbrellas» (America e Giappone); sono ideati appositamente per essere accessibili, per stare intorno all’osservatore e per coinvolgerlo, come in «The Gates» a New York.
Inoltre, a sottolineare il visionario lavoro di Christo e Jeanne-Claude, vanno ricordate anche due importanti mostre fotografiche: una alle Palafitte di Sulzano, l’altra all’Arsenale di Iseo. Le esposizioni celebrano contemporaneamente anche il lavoro di Wolfgang Volz, amico dei due artisti con cui lavora dal 1971 anche come direttore tecnico di alcuni dei lavori ma, soprattutto, è l’unico fotografo che in tutti questi anni ha potuto fermare nello spazio e nel tempo le loro opere, destinate ogni volta a essere rimosse. Bloccando così sulla carta fotografica quei paesaggi, assai diversi fra loro, che Christo e Jeanne-Claude hanno catturato invece con tessuti e corde. Si tratta di un ulteriore modo per comprendere il complesso lavoro di questi due artisti e non ridurlo ad una pura visione effimera del paesaggio; uno strumento per poter apprezzare meglio anche «The floating piers» e la nuova percezione che abbiamo di questo straordinario landscape.
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Christo and Jeanne-Claude. Water Projects
a cura di Germano Celant
7 aprile – 18 settembre 2016
Museo di Santa Giulia, Via dei Musei, 81/b, Brescia
Christo and Jeanne-Claude. As seen by Wolfgang Volz
a cura di Renato Gentile
11 giugno – 10 luglio 2016
Le Palafitte, Via Cesare Battisti, 7 – Sulzano (BS)
Catching the landscape. Fotografie di Wolfgang Volz
10 giugno – 31 luglio
Fondazione L’Arsenale
Vicolo Malinconia, 2 – Iseo (BS)
Da vedere nei dintorni (non legato a Christo e Jeanne-Claude)
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Last modified: 12 Luglio 2016
[…] Christo, «Water Projects e altre storie» di Arianna Panarella […]
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