Centinaia di progetti e di sperimentazioni. Intelligens di Carlo Ratti è la descrizione perfetta e non mediata dell’architettura di oggi
Articolo pubblicato il 7 maggio 2025, aggiornato il 10 maggio in occasione dell’apertura al pubblico della 19° Biennale di Architettura di Venezia. L’esposizione è aperta fino al 23 novembre 2025. Qui tutte le informazioni
VENEZIA. Doveva essere la Biennale dell’adattamento e della sperimentazione. È la Biennale dell’adattamento, della sperimentazione e dell’accumulazione.
Tutto, tanto, troppo
Il curatore Carlo Ratti l’aveva preannunciato: “La mostra invita diversi tipi di intelligenza a lavorare insieme per ripensare l’ambiente costruito”. Il risultato è coerente con l’impostazione: una proliferazione di materiali, colori, texture, forme, suoni, persino climi. Fin dalla prima sala (buia e affascinante) che accoglie con i suoi 40 gradi e ti obbliga a sentirli fisicamente, gli effetti del riscaldamento globale.
La struttura delle Corderie dell’Arsenale, che pure una qualche forza di suo l’ha, sembra scomparire dietro piani sequenze di installazioni. Ma anche di video, modelli, pannelli, disegni, collage, grandi origami, cuscini, costruzioni, ideogrammi, sculture abitabili, robot, automi, alberi vari. Una geografia minuta, e quasi spaesante.
Non meno denso, e piacevolmente caotico, è l’accostamento dei materiali. Non c’è selezione né uniformità, ma accumulazione appunto: legno e pietra, metallo e vetro, tecnologia digitale e materia, installazioni a terra e volanti, pietra ed elemento vegetale, carta e plastiche.
Ed è questa la forza di un programma monstre in termini di numeri (oltre 100 progetti in mostra, più di 750 autori coinvolti). Esito di un processo ampio di coinvolgimento e di una condizione particolare: chiuso per restauro il Padiglione Centrale ai Giardini tutto è stipato soprattutto negli spazi delle Corderie. Tutto questo diventa fattore di riconoscibilità: Intelligens descrive perfettamente il mondo di oggi e il processo architettonico che lo plasma: complessità e accostamento, ibridazione e multidisciplinarietà.
Spesso, in queste occasioni, il commento è: Ma dove sta l’architettura? Ebbene, l’architettura sta qua, tutto questo lo è. Anche, o forse soprattutto, quando lo spazio sembra troppo piccolo.
Intelligens
La 19^ Biennale di Architettura è una storia di ritorni. Un curatore italiano, 25 anni e 12 edizioni dopo Massimiliano Fuksas. Un curatore progettista, 7 anni e 3 edizioni dopo Yvonne Farrell e Shelley McNamara di Grafton Architects. Ma non è un ritorno all’ordine, ammesso che di ritorni all’ordine sia opportuno e possibile parlare. Anzi, il percorso proposto da Carlo Ratti e dal suo team curatoriale esprime una linea coerente a quanto visto a Venezia nelle ultime edizioni: accostamenti di culture e di discipline, di esperienze e di competenze. Cadono limiti e perimetri. Il mondo dell’architettura si fa carico dei problemi del nostro tempo (o almeno di molti di essi).
I tre sottotitoli (Naturale, Artificiale, Collettivo) corrispondono alle sezioni della Mostra. In maniera chiara, costruiscono criticamente l’orizzonte. Naturale (53 progetti) raccoglie sperimentazioni in cui il verde diventa infrastruttura. Artificiale (30) è ciò che più ti aspetti dalla biografia di Ratti: mondo digitale e connessioni. In Collettivo (22) affiora più forte la dimensione politica. Verso l’uscita c’è l’ultima sezione, Fuori (11), che va oltre: i ghiacci, i fondali oceanici, la Luna, Marte, lo spazio. Uno dei fronti della ricerca architettonica sta lì: se la Terra (e l’Arsenale lo insegna) è troppo piena e difficilmente abitabile, serve anche guardare in là.
Non c’è un Pianeta B, ma c’è sempre un lato B
Ratti introduce già nell’abstract un doppio piano di lettura: “un invito ad agire: per aspera ad astra – attraverso le difficoltà verso le stelle – e poi di nuovo verso la Terra”. Andate e ritorni, fronti e versi, interni ed esterni. Come quello di The Other Side of the Hill, una delle prime installazioni che si incontrano. Ha due facce: un impenetrabile muro in mattoni rossi simboleggia – duramente, anche – la crescita della popolazione mondiale. Sul retro una forma spaziante e un po’ respingente rappresenta invece le comunità microbiche, possibile contro-bilanciamento al consumo delle risorse.
Questa doppia dimensione si ritrova in tutto il percorso. E forse diventa il messaggio più forte del Ratti-pensiero. Non c’è un pianeta B (e quindi dobbiamo prenderci cura di questo) però è il caso anche di guardare in là, di sperimentare. C’è la materia ma ci sono anche i flussi. Ci sono i condizionatori che aiutano a vivere ma c’è anche l’inquinamento (e il caldo) che producono.
E ancora: c’è la struttura, potente, delle Corderie dell’Arsenale a contenere la mostra. Ma anche una selva di esili colonnine metalliche (alcune rivestite con elementi plastici e riciclati, con un progetto emblematico di allestimento) per supportare i pannelli. Ci sono i testi “umani” ad illustrare i diversi progetti, ma anche un breve riassunto scritto dall’Intelligenza Artificiale. C’è l’inglese ma anche il latino (e quella forma un po’ strana, Intelli-gens).
Ci sono le emergenze ambientali ma non in un’ottica drammatica o tragica. C’è la politica ma non l’ideologia. È un’architettura serena, se non gioiosa perlomeno ottimistica, quella che emerge dalle Corderie dell’Arsenale nella 19° Biennale Architettura. Un’accumulazione poco regolata che sembra voler attutire o smorzare i conflitti e le fragilità di questo mondo. Adattamento, appunto, con accumulazione.
Le parole di Ratti e di Buttafuoco
“Architecture is survival, L’architettura è sopravvivenza”. L’ultima slide che Carlo Ratti (da buon professore, oggi al Politecnico di Milano) proietta nella conferenza stampa di presentazione della sua Biennale, è la sintesi efficace di uno sguardo preciso. Che si traduce in un minimo comune denominatore che – pur con qualche fatica – si può trovare facendo lo slalom tra le proposte ammassate nelle Corderie dell’Arsenale.
Gli stessi riferimenti citati (da Marc-Antoine Laugier al Richard Rogers di Cities for a small planet fino all’onnicomprensivo e un po’ abusato slogan Impariamo dalla natura) definiscono un orizzonte di attivismo e di relazioni. Che non ha paura di varcare le Colonne d’Ercole della politica con il Manifesto Intelligens: Verso una nuova architettura dell’adattamento, firmato a fine aprile insieme al premier spagnolo Pedro Sánchez (qui per sottoscrivere). In questo scenario l’autorialità (così intensamente praticata dalla cultura architettonica novecentesca, imperante fino a poco fa) sfuma in una dimensione collettiva, emblematicamente resa nelle didascalie dei progetti, così come nel poderoso catalogo, dove i singoli nomi sono talmente piccoli da risultare illeggibili o quasi.
Ratti trasmette l’impressione di aver girato il mondo senza sosta cercando figure e storie, progetti e connessioni, senza farsi influenzare troppo dalle forme e dalle gerarchie consolidate. Eccola l’eco del mondo dei flussi, su cui, a Boston, ha costruito la sua riconoscibilità: messo in soffitta il concetto stesso di smart city, sollecitato con estrema cura quello dell’IA, l’esito è un cocktail di soluzioni e sperimentazioni che trasformano – mai come in questi giorni – la Laguna veneziana in una fiera, un vivo, intenso e anche paradossale, Laboratorio. Come lo aveva battezzato la curatrice precedente, Lesley Lokko, tanto da metterlo nel titolo della Biennale scorsa.
“Lui sente le intelligenze del mondo, ascolta il loro mormorio e gli algoritmi che costruiscono il nostro abitare”. Parole e musica di Pietrangelo Buttafuoco, alla sua prima edizione di architettura da presidente di Fondazione Biennale. Che fa un discorso alto ed enfatico. E che, per la cronaca, fa il pieno di applausi in sala. Spostando l’asse dalla dimensione ambientale a quella geo-politica: “Attenzione, non c’è solo il cambiamento climatico. C’è anche l’indicibile, che è la guerra, e il suo effetto più drammatico, il domicidio. Lo vediamo in Sudan, a Gaza, in Ucraina. Vengono distrutte le città e le case perché il nemico non possa più dire: Io sono perché abito”.
Corderie, le installazioni da non perdere
- La prima sala è quella che più rappresenta e simboleggia lo spirito della curatela. Due installazioni combinate: The Third Paradise Perspective (Fondazione Pistoletto Cittadellarte) è una geografia di vasche d’acqua (pochi centimetri a dire il vero). La seconda, Terms and Conditions (Transsolar, Bilge Kobas, Daniel A. Barber, Sonia Seneviratne) è la fotografatissima selva di motori di condizionatori volanti. Vuole colpire attraverso i sensi, buttandoti in faccia, sotto forma di vento caldo e di umidità rilasciata dall’acqua, gli effetti oscuri del cambiamento climatico.
- Appena oltre (sulla parete dove quei condizionatori sono collocati), The Other Side of the Hill (Beatriz Colomina, Roberto Kolter, Patricia Urquiola, Geoffrey West, Mark Wigley) è il muro-limite, a doppia faccia come un Giano del costruire, che introduce al percorso, definendo la sua complessità e le molteplici modalità di lettura.
- Nella sezione Natural Domino 3.0: Generated Living Structure (Kengo Kuma, SEKISUI HOUSE – KUMA LAB, The University of Tokyo, Yutaka Matsuo, Matsuo – Iwasawa Lab, The University of Tokyo, Norihiro Ejiri, Ejiri Structural Engineers, Minoru Yokoo, Kengo Kuma & Associates) è una scultura-combinazione di tronchi di legno non lavorati. Tenuti insieme perché – qui sta la suggestione che esprime e che parte dalla tempesta Vaia – le connessioni sono delegate a piccole componenti stampate in 3D. Gli elementi della natura vengono scansionati nelle loro forme complesse, la tecnologia digitale è il supporto per un loro uso architettonico.
- Underground Climate Change (Subsurface Opportunities and Innovations Laboratory, Northwestern University, GEOEG, ENERDRAPE), in Artificial, c’è una grande sezione 1:1 che restituisce lo spessore dei terreni su cui progettiamo e costruiamo le nostre città. Sono ricchi di segni, sono contraddittori nei materiali e nelle reti che accolgono o supportano. E si riscaldano, diventando elemento della crisi climatica. L’installazione si accompagna ad una originale ricerca su come il mondo sotterraneo (nascosto e molto artificializzato) si trasforma.
- Nella sezione Collective andiamo in Cile con una riflessione progettuale che muove dai drammatici incendi dello scorso anno. From Belongings to Belonging (ELEMENTAL) si traduce in una, apparentemente disordinata, struttura-infrastruttura metallica. Che ospita idee e visioni dell’abitare in un luogo complicato, dove la progettazione di case è una risposta, doverosa e necessaria, ad una società drammaticamente ineguale.
- Nella parte conclusiva Out Re-Forming Materials (René Rissland, Robert M. Hazen, Martina Dietrich, Sofia Pfister, Jürgen Lehmeier, Matthias Massari) è un’elegantissima scultura che ragiona sul peso, ingombrante e impressionante, dei materiali creati dagli esseri umani nella storia. Ma, simbolicamente collocati su questa esile rete, sembrano assumere leggerezza. Entrando in un’altra dimensione. Out, appunto.
Immagine di copertina: Intelligens, 19° Biennale di Architettura, Venezia, 2025
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Last modified: 10 Maggio 2025