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Written by: Biennale di Venezia Reviews

Partecipazioni nazionali, top e flop

Partecipazioni nazionali, top e flop
Ecco i “Leoni” assegnati dalla redazione de ilgiornaledellarchitettura.com: un criticabilissimo (e semiserio) borsino dei Padiglioni migliori e peggiori

 

VENEZIA. Sono 66, in tutto, le partecipazioni nazionali a questa 19° edizione della Biennale di Architettura di Venezia. Si trovano nei Padiglioni ai Giardini (26), all’Arsenale (25) e diffuse in città (15). Le nuove partecipazioni sono 4: Repubblica dell’Azerbaijan, Sultanato dell’Oman, Qatar e Togo.

Le abbiamo visitate, racconteremo le esperienze più interessanti e di visione nelle prossime settimane. Ma intanto ci divertiamo a dare le nostre, personalissime, pagelle: i Padiglioni più belli e più brutti.

 

TOP

Regno del Bahrain: Heatwave. Sono grandi cuscini a terra ad occupare i 4 lati della piccola stanza nelle Corderie, insieme alla bassa copertura (con tanto di scritta: attenzione, altezza inferiore a 240 cm!), a costruire un’atmosfera intima di inattesa ospitalità. Misurato e accogliente, non è solo uno spazio pubblico in cui sfuggire al caldo (come da titolo) di città e paesi del Bahrain. Ma l’applicazione qualitativa (anche in termini di design) di principi ingegneristici e costruttivi di controllo e mitigazione delle (alte) temperature. Sottotitolo: si può fare.

 

Danimarca: Build of Site. Fare di un cantiere un’occasione allestitiva. Sfida vinta per la Danimarca. Il Ministero di Copenaghen sta ristrutturando il suo delicato edificio ai Giardini per troppe infiltrazioni d’acqua (curioso e ironico per chi ha fatto in passato esposizioni proprio sull’acqua, ma questa è un’altra storia). Siamo alla Biennale, non si può fare un restauro normale, e allora lo si mette in vetrina. Ad un osservatore frettoloso pare un catalogo in scala 1:1 di tecnologie (portateci gli studenti, professori!). Ma c’è anche un’intensa ricerca su dettagli e particolari che merita di essere valorizzata. Efficace.

 

Brasile: Re(invention). Il restauro del Padiglione ci dona due bellissime viste sull’area oltre canale della Biennale, ai Giardini, interpretando al meglio il ruolo di cerniera. L’allestimento di legno naturale sopporta bene la ricca grafica e, nella sala posteriore, un lungo tavolo in equilibrio statico con i pannelli lungo le pareti presenta temi e argomenti in modo convincente. Una riflessione su natura e città comunicata con forza ed eleganza al contempo. Ponte di collegamento tra storia e attualità.

 

Lettonia: Landscape of Defence. Piccoli oggetti decontestualizzati, di color giallo fluo. Il Padiglione è una piccola stanza, condivisa a metà con un’altra partecipazione nazionale. Eppure parla dei temi più grandi del nostro tempo: guerra, identità, paesaggio. La Lettonia, raccontano i curatori Liene Jãkobsone e Ilka Ruby, è il confine dell’Europa e della NATO. Di là c’è la Russia con le sue politiche di aggressione. E noi, spiegano con i loro oggetti, vogliamo costruire elementi per la difesa lungo il confine che non trasmettano la sensazione di paura: metallici, ruggine, nessun colore. Ma di gioiosa identità: difendersi costruendo un paesaggio attraente.

 

Svizzera: Endgültige Form wird von der Architektin am Bau bestimmt. Lo ammettiamo, siamo un po’ di parte. Perché abbiamo seguito (con articoli e podcast) questo progetto dall’inizio. Però, e l’opinione ci pare condivisa, il Padiglione Svizzero, curato da 4 architette e un’artista pensando ad una delle prime architette elvetiche (Lisbeth Sachs), è convincente nella sua capacità di suggestionare con una forma e una geografia diversa e alternativa. Una pianta segnata da diaframmi in legno verniciati di grigio scardina quella reale. Dimensioni che si sovrappongono e si fondono diventano spazi ibridi e un po’ spiazzanti. Dimostra che una visione intellettuale può trasformarsi, e bene, in architettura.

 

Spagna: Internalities. Architectures for Territorial Equilibrium. Anche il Padiglione spagnolo dimostra come il tema della Biennale potesse essere affrontato con precisione, rimanendo nel solco dell’architettura e del progetto. La bella sala centrale ci accoglie con una efficace scenografia di bilance in legno che esemplificano gli equilibri e i costi ambientali delle costruzioni e, tutto attorno, modelli, foto, dettagli ci introducono a realizzazioni di sicuro interesse. Elegante l’allestimento con il legno come materiale principale, ma non ostentato e utilizzato in modo corretto come, ad esempio, nelle efficaci grandi cornici inclinate.

 

FLOP

Paesi Bassi: Sidelined: A Space to Rethink Togetherness. È vero che l’architettura influenza i comportamenti e che il bar sport è il luogo per eccellenza ove esprimersi a tutte le latitudini. Ma in un padiglione dal disegno raffinato come quello di Gerrit Rietveld non si poteva trovare un tono espressivo diverso? Le superfici molli e artificiali, i colori devastanti ed invasivi non compensano la sciarpa da sportivo con la quale puoi uscire.  Preferiamo il calciobalilla del vecchio bar di campagna.

 

Granducato del Lussemburgo: Sonic Investigations. Non basta uno spazio buio con una dura pedana per offrire conforto ai visitatori che comunque, stanchi, vi posano le membra affaticate dal lungo girovagare tra i Padiglioni biennalizi. Lo spostamento dalla vista all’ascolto dovrebbe essere meglio supportato per diventare convincente. Buona l’intenzione, ma il risultato è non riuscito. Con buona pace di John Cage e dei suoi 4’33’’ di Silent Song.

 

Singapore: RASA-TABULA-SINGAPURA. Con un complicato gioco di parole tra latino, malese, sanscrito e inglese, Singapore celebra il suo sessantesimo compleanno. Con una lunga tavola, specchiata sia in basso che in alto, a costruire un affastellamento di oggetti, tra tradizione e Intelligenza Artificiale. “La nostra tavola – scrivono – è più di un posto dove cenare; è un forum in cui convergono politica, storia e progettazione partecipativa”. Dovrebbe raccontare la “super-diversità” di Singapore, ma è una super-confusione.

 

Emirati Arabi Uniti: Pressure Cooker. Una serra scomposta per raccontare la relazione tra architettura e produzione alimentare. Pressure Cooker. Risultato deboluccio, perché se togli il rosso dei pomodorini (verranno sostituiti ogni settimana?) o il verde delle foglie di basilico resta un allestimento senza colore e senza verve. Sono belle le molto ambite borse, di diversi colori. Siamo nel campo del già (troppo) visto. Cotto e mangiato, insomma.

 

Paesi Nordici: Industry Muscle: Five Scores for Architecture. Le premesse (contrastare le norme sociopolitiche della cultura fossil-based e ripensare l’architettura attraverso la lente del corpo trans) sono forti e attuali, ma il messaggio si perde. Lo spazio e la luce del padiglione di Sverre Fehn, con la sua potenza modernista, sovrastano l’intervento contemporaneo, che fatica a imporsi. Il contrasto c’è, ma non genera il dialogo necessario: vince l’architettura, perde il contenuto.

 

Italia: TERRÆ AQUÆ. L’Italia e l’Intelligenza del mare. Propone un esperimento partecipativo con una call apertissima. Una selezione minima espone una wunderkammer in cui i contenuti sono acriticamente messi sullo stesso piano, persi in una selva di video e pannelli difficili da leggere. Partecipanti, progetti e progettisti restano anonimi, penalizzati da un allestimento poco interattivo e datato, lontano anni luce dalla raffinatezza e intelligenza di molti allestimenti realizzati ad hoc per questa Biennale. La curatela ha abdicato, disperdendo ogni messaggio. Che peccato, un’occasione sprecata.

Immagine copertina: Biennale, 2025, La nuova libreria all’ingresso dei Giardini (@ Andrea Avezzù, Courtesy La Biennale di Venezia)

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Last modified: 10 Maggio 2025