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Luigi BartolomeiWritten by: Biennale di Venezia

Padiglione Santa Sede, ex-chiese come cantieri di socialità

Padiglione Santa Sede, ex-chiese come cantieri di socialità
Nel Complesso di Santa Maria Ausiliatrice Opera Aperta propone un ampio laboratorio e una pluralità d’iniziative destinate a durare oltre la Biennale stessa

 

VENEZIA. In questa 19° Biennale Architettura, il Padiglione della Santa Sede abbandona il paesaggio esclusivo dell’Isola di San Giorgio delle due precedenti edizioni ed elegge una nuova casa, alla periferia della kermesse biennalesca, priva di apparenza e bellezza per attirare gli sguardi in una sede periferica e popolare, il Complesso di Santa Maria Ausiliatrice, contro ogni autorialità di ieri e di oggi. Inaugurato nelle ore immediatamente successive all’elezione al soglio pontificio di Leone XIV esprime un’idea e un ruolo per la Chiesa di oggi.

 

Un luogo emblematico, nel cuore della città

Un edificio privo di magniloquenza ma non di radicamento: ospitale per pellegrini dal 1171, poi dal ‘300 il più antico ospedale di Venezia, quindi Convento, scuola, convitto e infine – passato al Comune– luogo dato ad attività culturali che ora, e fino al 2028, sarà gestito dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede per le sue iniziative. 

Cambiato il sito, non muta però l’orientamento della proposta. L’approccio della precedente edizione viene anzi confermato e ribadito nell’opera delle due curatrici (Marina Otero Verzier e Giovanna Zabotti): l’architettura assolve la sua funzione anzitutto come arte dell’incontro e la costruzione della comunità ne è l’esito più alto. 

Si tratta, tuttavia, di un’ottica non (ancora) abituale per i progettisti, che richiede una premessa e quasi una conversione, specie ove i visitatori giungessero all’ex chiesa di Santa Maria Ausiliatrice dopo la sbornia di materiali eccessivi dell’Arsenale. Allora i visitatori rischierebbero di non riconoscere nulla e di fuggire spaventati dall’horror vacui.

Per riconoscere il valore e l’attualità del Padiglione della Santa Sede – forse una delle proposte più coraggiose in una Biennale ridondante di approcci e temi riciclati dalle precedenti edizioni – occorre allora una svolta e riconoscere che il valore più alto che questi tempi richiedono all’architettura è aiutare e consentire la costruzione di spazi per la sperimentazione di sé e per la propria auto-rappresentazione, sia in quanto persone e individui, sia in quanto comunità. 

 

Un’Opera aperta

Quello che si offrirà ai visitatori sarà così un’Opera Aperta, (titolo del padiglione in assonanza all’opera di Umberto Eco), uno spazio domestico per una pluralità di iniziative: quelle avviate nell’ambito di un workshop di tecniche di restauro insieme alle scuole veneziane; la possibilità di trovare spazi e strumenti musicali disponibili per provare singolarmente o in gruppo entro o oltre collaborazioni formali con il Conservatorio “Benedetto Marcello”; una grande tavola gestita dalla cooperativa nonsoloverde intorno alla quale si aggregheranno esperienze e culture.

L’altare dell’antica chiesa, gravemente ferito dal salnitro, si presterà come laboratorio di restauro per gli studenti dell’UIA-Università Internazionale dell’Arte, mentre gli studenti di Ca’ Foscari saranno impegnati nella mediazione con il pubblico e quelli dell’IUSVE (Istituto Universitario Salesiano di Venezia) saranno coinvolti nella costruzione della comunicazione.

Come ha dichiarato il Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, il Cardinale José Tolentino de Mendonça, “nello stesso tempo in cui si riparano i muri e i dettagli architettonici dell’edificio, si ripareranno anche le relazioni di vicinato e l’ospitalità intergenerazionale, ricostruendo simultaneamente lo spazio fisico e lo spazio sociale”.

Il Padiglione della Santa Sede alla Biennale si costituisce così come un ampio laboratorio didattico, destinato inevitabilmente a durare più della manifestazione in cui si inserisce, per affermare con la forza dei fatti che i processi valgono più dei loro esiti, e che i beni immobiliari, piuttosto che chiusi e dismessi, devono essere valutati come opportunità per le comunità locali (una lezione che non è solo del recente pontificato di Papa Francesco e del Codice di Diritto Canonico, ma – in fondo – anche della nostra Costituzione).

Immagine di copertina: Padiglione della Santa Sede, Opera Aperta (foto Marco Cremascoli)

Autore

  • Luigi Bartolomei

    Nato a Bologna (1977), vi si laurea in Ingegneria edile nel 2003. È ricercatore presso il Dipartimento di Architettura dell'Università di Bologna, ove nel 2008 ha conseguito il dottorato di ricerca in Composizione architettonica. Si occupa specialmente dei rapporti tra sacro e architettura, in collaborazioni formalizzate con la Facoltà teologica dell’Emilia-Romagna ove è professore invitato per seminari attinenti alle relazioni tra liturgia, paesaggio e architettura. Presso la Scuola di Ingegneria e Architettura di Bologna insegna Composizione architettonica e urbana, ed è stato docente di Architettura del paesaggio e delle infrastrutture. È collaboratore de "Il Giornale dell'Architettura" e direttore della rivista scientifica del Dipartimento, “in_bo. Ricerche e progetti per il Territorio, la Città, l’Architettura”

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Last modified: 9 Maggio 2025