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Laura MilanWritten by: Biennale di Venezia Reviews

Padiglione Italia, in fuga dalla curatela

Padiglione Italia, in fuga dalla curatela
La deludente proposta del Ministero della Cultura non convince per processo ed esiti. Una Call sbagliata e un allestimento debole e poco chiaro

 

VENEZIA. Il mare e le coste come spazio soglia. L’Italia paese di mare, con i suoi quasi 8.000 km di spazio liminale sempre più strategico, centrale, da osservare, studiare e lavorare, uno spazio in cui sperimentare e costruire nuovi rapporti, da rendere paradigma per un rinnovato dialogo tra il territorio e i suoi attori e il progetto.

Il Padiglione Italia alla 19° Biennale di Architettura di Venezia, commissionato dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea, Dipartimento per le Attività Culturali del Ministero della Cultura e supportato con 800.000 euro, ha aperto le porte di Terræ Aquæ. L’Italia e l’Intelligenza del Mare, progetto presentato dalla prima curatrice donna nella storia del padiglione nazionale. Sulle spalle di Guendalina Salimei – con la quale si è attinto ancora una volta dal mondo del progetto dopo, per citare solo gli ultimi, Fosbury Architecture, Alessandro Melis, Mario Cucinella e Simone Sfriso – gravava anche la responsabilità di un ruolo per l’Italia del tutto inedito.

 

Un padiglione in due mesi

La scelta del tema, e della sua proponente, giunge a ottobre 2024 con un bando che si era chiuso il 10 maggio. Ha portato a fine gennaio al lancio di una Call for Visions and Projects estremamente aperta, e potenzialmente insidiosa, per un padiglione partecipativo, che desse voce e spazio all’intelligenza collettiva, alla pluralità delle sue visioni e dei suoi contenuti, si facesse megafono per territori e collettività. Era rivolta a una platea estesa ed eterogenea a cui era posta la richiesta di presentare idee innovative, proposte progettuali, visioni e riflessioni teoriche sul rapporto tra terra e mare. Entro il 3 marzo. Con queste premesse, sono arrivati oltre 600 contributi da catalogare, selezionare, rendere organici dentro uno spazio di 1.200 mq nei soli due mesi lasciati al lavoro curatoriale, progettuale, allestitivo, editoriale da un cronoprogramma troppo stringente.

La Call, che doveva essere un punto di forza democratico, e attualissimo pur con le sue luci e ombre, ha mostrato l’altra faccia della medaglia, diventando, complici questi tempi stringentissimi, elemento di debolezza di un padiglione deludente.

La voce collettiva del paese è stata restituita in una moderna wunderkammer manifesto di un approccio bottom-up che ha scelto di organizzare invece che ricercare e selezionare, esporre “dal basso” invece che dedicarsi a un lavoro critico top-down di analisi dei territori costieri e di quanto in loro sta accadendo. Un approccio che, chiaramente dichiarato nei pannelli in mostra, vuole sottrarsi “a ogni tentazione di sintesi”. La curatela ha abdicato, sostituita da una democrazia partecipativa che ha portato a Venezia tutto da tutte le parti del paese che hanno risposto alla Call. E quasi tutto è stato esposto.

All’interno delle due tese, completamente buie, l’esposizione sfrutta due semplici strutture metalliche in tubi innocenti, che, percorribili, fanno salire e scendere, creano un dinamico paesaggio interno e abbracciano la grande parete nera eretta a divisione longitudinale della prima tesa. Nella seconda posiziona invece il Pontile della Ricerca, una struttura bilivello dotata di un piccolo teatro a gradoni rivolto a un grande schermo per il programma di talk e incontri con cui la curatrice intende approfondire e disseminare.

 

Video, video, video

Il percorso di visita è semplice e chiaro, con gli eterogenei esiti della Call intervallati dagli interventi del team curatoriale, che includono il lavoro video e fotografico sul mar Mediterraneo del fotografo Luigi Filetici e le mappe geopolitiche della cartografa di “Limes” Laura Canali. Sono anche accompagnati da puntuali presenze artistiche, dall’installazione sonora “MOTI. Dalla terra al mare” di David Morlacchi che immerge nell’acqua la visita della seconda tesa, alle installazioni degli sponsor, un po’ spaesate, spaesanti e a volte gratuite (ma necessarie ai fini del budget).

Dall’enorme video all’ingresso si giunge ai colorati disegni della Quadreria, scelta espositiva per decine di sezioni, planimetrie, schizzi, mappe dal grande impatto visivo ma dalla difficile interpretazione (le didascalie sono collocate sulla parete di fronte). Si prosegue con i progetti, realizzati o in corso, e le sperimentazioni d’arte, con le narrazioni fotografiche e il lavoro di ricerca delle università italiane, protagonista della seconda tesa. Dai territori giungono anche esperienze partecipative e il lavoro degli enti pubblici, e non manca lo sguardo sotto le acque. Tutti introducono temi e istanze in una modalità che di fatto salva dal giudizio, allontanando obiezioni su lacune, mancanze o presenze nei progetti in mostra.

Tutti i materiali sono catalogati ed esposti in un allestimento quasi analogico, cheap e a tratti un po’ naive, meno interattivo e digitale di quanto avrebbe dovuto essere quello di un padiglione nell’era dell’AI, e dentro una Biennale curata da Carlo Ratti. Un allestimento che dimostra la sua debolezza anche nel confronto con le scelte di molti altri padiglioni.

Fra pannelli illustrativi non sempre leggibili, per la presenza di ombre create dal lettore ma anche dallo stesso allestimento, e pochi testi, il massimo dell’interattività è la basica navigazione che schermi touch consentono tra i progetti delle università, mentre al piano inferiore è possibile scrivere a mano commenti su lavagne con i gessetti bianchi a disposizione.

La fruizione è statica e monodirezionale, in un Padiglione che è audiovisivo, ma più visivo che audio, e affida la trasmissione di molti contenuti a troppi video che scorrono, in loop, su troppi monitor collocati ovunque, delegando anche l’indelegabile: l’esposizione e la rappresentazione dell’architettura e di progetti e progettisti presenti ma spariti, non aiutati nemmeno da didascalie e pannelli. I video limitano la comprensione dello stesso padiglione, soprattutto in una visita veloce, penalizzando partecipazioni immerse in un mare in cui è davvero difficile trovare qualcuno e qualcosa (una delle domande più diffuse è stata: “ah, ci sei anche tu! Ma dove?”). Immergendosi solo per qualche metro sotto la superficie, si possono trovare progetti interessanti e nomi noti accanto a progetti e visioni che difficilmente avrebbero trovato posto dentro una Biennale, realtà e intelligenza artificiale, tutti acriticamente sullo stesso piano in un palcoscenico troppo importante.

 

Un padiglione che doveva fare (e dare) di più

Cosa lascia la visita? Quali chiavi di lettura? Quale immagine del paese e delle sue coste e del suo rapporto con il mare? Entrando velocemente probabilmente il ricordo dell’enorme schermo di apertura e l’insieme della Quadreria. Nelle calde estati umide lagunari forse anche l’amena Arca di Ulisse, ombroso punto di riposo nel verde Giardino delle Vergini. Ad una visita meno fugace (ma quanto tempo si deve passare davanti ai video per vederli tutti? E se si cerca qualcosa, dove lo si trova?), un padiglione che doveva fare molto di più. Un’occasione sprecata.

Immagine di copertina: Biennale Architettura 2025, Padiglione Italia, foto di Luigi Filetici

 

Autore

  • Laura Milan

    Architetto e dottore di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica, si laurea e si abilita all’esercizio della professione a Torino nel 2001. Iscritta all’Ordine degli architetti di Torino dal 2006, lavora per diversi studi professionali e per il Politecnico di Torino, come borsista e assegnista di ricerca. Ha seguito mostre internazionali e progetti su Carlo Mollino (mostre a Torino nel 2006 e Monaco di Baviera nel 2011 e ricerche per la Camera di Commercio di Torino nel 2008) e dal 2002 collabora con “Il Giornale dell’Architettura”, dove segue il settore dedicato alla formazione e all’esercizio della professione. Dal 2010 partecipa attivamente alle iniziative dell’Ordine degli architetti di Torino, come membro di due focus group (Professione creativa e qualità e promozione del progetto) e giurata nella nona e decima edizione del Premio architetture rivelate. Nel 2014 costituisce lo studio associato Comunicarch con Cristiana Chiorino

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Last modified: 13 Maggio 2025