La proposta del curatore si allarga (poco) in città e predilige gli esterni di Arsenale e Giardini con installazioni diverse
VENEZIA. Per supplire all’assenza del Padiglione Centrale ai Giardini (attualmente in restauro) in questa 19° Biennale di Architettura di Venezia, Carlo Ratti aveva promesso un Living Lab diffuso sia in città, sia negli spazi esterni di Giardini e Arsenale, volgendo così l’inconveniente in una possibilità.
In città, solo tre piccoli progetti
In realtà, andando alla ricerca dei segni tangibili di un Venice Living Lab, si incontrano, sparsi in città, tre piccoli progetti. In “Roma è una Cometa” a Ca’ Tron (sede dello IUAV, progetto collettivo di Umberto Vattani con Cristiana Collu, Giuseppe D’Acunto, Giampaolo Nuvolati e María Margarita Segarra Lagunes), un’installazione multimediale ricca di significato illustra il distretto del moderno istituito a Roma, a partire dal quartiere Flaminio e dall’Oltre Tevere sportivo, espandendosi poi in un censimento e valorizzazione del moderno nella Capitale, città storica per eccellenza. Sul pavimento campeggia la pianta di questa porzione urbica ripresa da un disegno a soffitto mentre tutt’ attorno una serie di schermi si attiva illustrando questi giacimenti dell’architettura contemporanea.
“Archive and the City: Serendipity Between Memory and Urban Space” (Studio FM Milano, DensityDesign Lab, Luigi Farrauto, Jon Kleinberg, Achille C. Varzi, Marco Santambrogio in collaborazione con ASAC, l’Archivio storico delle Arti Contemporanee della Biennale) trova collocazione a Ca’ Giustinian, dove un algoritmo analizza oltre 2000 immagini del database di ASAC accostandole per similitudine mentre in “Gran Caffè Quadri” (Teresa Sapey e Aaron Betsky) tendaggi e rivestimenti donano una connotazione policroma allo storico caffè in Piazza San Marco.
Arsenale: effetto wow, biciclette e grilli
Ma è una volta giunti in Arsenale che Ratti recupera l’effetto sorpresa schierando, davanti al bacino acqueo due avveniristiche strutture destinate a posizionarsi tra le attrattive più instagrammate di questa Biennale. Con “Canal Cafè” (sostenuto da Webuild e sviluppato da Diller Scofidio + Renfro, Natural Systems Utilities, SODAI, Aaron Betsky, Davide Oldani in collaborazione con Lavazza) lo scopo è quello di rendere potabile l’acqua della laguna ribadendo così soluzioni alternative a scenari di stress da emergenza idrica e crisi di approvvigionamento. Un sottile tubo pesca l’acqua lagunare convogliandola all’interno di due linee di processo per la sua depurazione: Natural and Technological train. La prima passa attraverso quattro grandi serbatoi cilindrici trasparenti e sfrutta la fitodepurazione grazie a piante alofite; la seconda utilizza un depuratore.
I due flussi, una volta mescolati, arrivano così direttamente all’interno di una macchina da caffè (rigorosamente Lavazza) e invitano a vincere ogni diffidenza nei confronti di reazioni dissenteriche o effetti indesiderati post degustazione.
Poi lo sguardo si sposta irrimediabilmente attratto dall’involucro di “Gateway to Venice’s Waterways” (Norman Foster Foundation, Michael Mauer e Ragnar Schulte di Porche, Miguel Kreisler, BAU + Empty, Christopher Hornzee-Jones, Aerotrope). Una struttura fatta di scaglie di alluminio a protezione di un pontile ligneo conduce ad una piattaforma galleggiante per bici d’acqua. Scopo: ridefinire l’infrastruttura di trasporto veneziana (notoriamente al collasso) come esempio su scala globale. A fare da sottofondo è “Song of the Cricket” (università di Melbourne). Il frinio è una registrazione ma i grilli ci sono davvero, in gabbie concepite come piccoli habitat per il grillo marmorizzato dell’Adriatico (Zeuneriana marmorata) e destinato a popolare piccole isole modulari davanti alle Gaggiandre. Possibili risposte a scenari emergenziali si stemperano così con puntuali prospettive di natura ecologica.
Giardini: nuvole di punti per una finta facciata
Spostandoci ai Giardini, all’ interno della biglietteria Scarpa, recentemente restaurata, si fa spazio “Voice of Common” (Giulia Foscari UNA / UNLESS), stazione per la produzione di podcast dedicati alla protezione dei beni comuni globali: Oceano, Atmosfera, Spazio, Antartide ma a catalizzare l’ attenzione, una volta varcati i cancelli, è subito la facciata del Padiglione Centrale. In “Constructing La Biennale” (Michele Bonino, Albena Yaneva, DAD, Politecnico di Torino; Albert-László Barabási, BarabasiLab e Paolo Ciuccarelli, Center for Design, Northeastern University) trenta metri quadrati di nuvole di punti traducono graficamente la storia della Biennale d’Architettura; nella parte inferiore le singole edizioni sono rappresentate attraverso cluster di dati, partecipanti più ricorrenti inclusi.
Un focus è poi dedicato alle sinapsi curatoriali di questa edizione per parole chiave, sezioni, tipo di progetto, collaboratori, geografie… L’idea di svelare il dietro le quinte di un processo decisionale e creativo, in tutta la sua complessità, è accattivante ma il risultato, che unisce progettazione, etnografia dell’architettura e data science si rivela alla fine non del tutto intelleggibile.
Immagine di copertina: Canal Cafè (Diller Scofidio + Renfro, Natural Systems Utilities, SODAI, Aaron Betsky, Davide Oldani), Biennale Venezia 2025 (@Veronica Rodenigo)
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Last modified: 10 Maggio 2025