Riceviamo e pubblichiamo una riflessione sui cambi di paradigma nella progettazione urbana
«L’edificio destinato a una Falange non ha alcuna somiglianza con le nostre costruzioni, di città o di campagna (…). Gli alloggi, le piantagioni e le stalle di una società che opera per serie di gruppi devono differire prodigiosamente dai nostri villaggi o sobborghi occupati da famiglie che non hanno alcuna relazione societaria e agiscono contraddittoriamente (…)». Così Charles Fourier nel 1808 introduce la sua teoria per formare «La Grande Armonia domestica». Definisce funzioni e dimensioni degli spazi della vita quotidiana, del lavoro e dell’educazione dei bambini. Definisce il numero di componenti della comunità ideale distinta per genere e per età. Elabora una teoria urbanistica puntuale in grado di “risolvere” i conflitti della storia.
Le utopie del XIX secolo sono state sicuramente l’orizzonte di senso di gran parte delle teorie urbanistiche progressiste nel Novecento. L’utopia nasceva da un assunto fondamentale: le nostre società sono profondamente ingiuste, discriminano dalla nascita gran parte dei loro componenti, costretti a vivere in condizioni disumane. La “città dell’uomo” di Adriano Olivetti è, seppure maturata in un contesto culturale progressista più maturo, l’ultima utopia urbanistica umanistica.
Oggi la globalizzazione ha fatto emergere nuove contraddizioni e ingiustizie collettive. L’utopia fondata sull’armonizzazione della società è considerata potenzialmente nemica della parte più povera della società occidentale, che in essa coglie il pericolo di un ulteriore impoverimento, della perdita di diritti e del lavoro. Questa contraddizione contemporanea ha traslato l’utopia urbanistica in una direzione inaspettata. Il fondamento dell’utopia non è più l’armonizzazione della società umana (visione antropocentrica), ma è invece la dimensione universale nel quale l’uomo è visto come parte della Natura (o meglio del Cosmo) e a essa subalterno.
L’uomo è passato dall’essere il fine dell’Utopia all’essere considerato il “parassita” che incoscientemente distrugge un’armonia già insita in Natura. In questa modificazione del paradigma l’utopia si configura in segni iconici che ammoniscono ed educano la società. Moloch disegnati da sacerdoti, consapevoli, che ci indicano la retta via. L’utopia è tornata alla dimensione simbolica, non vuole cambiare realmente la società perché si pone al di sopra di essa e come tale ci vuole impressionare con i suoi segni sublimi. L’utopia per certi versi ha abbondato l’urbanistica, la forma delle città, concentrandosi sulle “cattedrali” (boschi verticali, cerchi rossi, ecc.) mai così belle, costose e apprezzate dai fedeli.
Immagine di copertina: progetto vincitore del concorso per il masterplan del parco urbano per la Valpolcevera a Genova, con il “cerchio rosso” e la “torre del vento” (capogruppo, Stefano Boeri Architetti – © The Big Picture, courtesy by SBA)