Riceviamo e pubblichiamo una lettera sulle potenzialità legate al recupero e riutilizzo di beni confiscati alle mafie
«Felice il paese che non ha bisogno di eroi» (Bertolt Brecht)
Siamo ufficialmente entrati nella fase 3 post-pandemia. L’Italia, dopo il lockdown e 34.000 morti, riapre frastornata e s’interroga sul futuro. Ben vengano gli stati generali convocati dal premier Conte, il piano Colao, le proposte dell’opposizione, dei governatori e dei sindaci, i dibattiti televisivi e gli interminabili webinar su come far ripartire il Paese. Ma a un certo punto il governo, le regioni e i comuni dovranno decidere come e dove investire i fondi disponibili. Mai come ora sono tutti obbligati a fare presto e bene. E a non disperdere le risorse; ne va della vita dei cittadini.
Il nostro Paese, tra gli altri, ha due problemi atavici, esplosi esponenzialmente durante e dopo il Covid-19: legalità e lavoro. Se l’urgenza è la sopravvivenza, l’occupazione e il contrasto al welfare mafioso, la ripartenza non può che essere fondata sulla legalità. Bisogna agire immediatamente con la sicurezza di generare economia sociale, in primis a favore delle fasce più deboli e svantaggiate. Il terzo settore e il riuso dei beni confiscati sono la chiave concreta e simbolica verso una nuova Italia trasparente, sostenibile e solidale.
Eurispes valuta il patrimonio costituito da immobili e terreni sottratti alle mafie in 32 miliardi: quasi quanto il temuto MES, l’1,8% del Pil nazionale. Parliamo di 35.000 beni già di proprietà e nella disponibilità immediata dei comuni e dello Stato. La maggior parte pronti per generare reddito grazie a progetti di agopuntura urbana e rigenerazione socio-economica, di piccole dimensioni e a consumo di suolo zero, rapidi da realizzare. Ogni rigenerazione da confisca, con un investimento minimo di 100.000 euro, offre lavoro stabile a un paio di giovani del territorio, attrae diversi volontari e coinvolge attivamente i giovani e le comunità locali restituendo, fiducia nel futuro.
Con 35 miliardi si possono recuperare e mettere a reddito tutti i beni confiscati d’Italia, moltiplicando il valore di un patrimonio prezioso e simbolico, per larga parte inutilizzato. Ogni bene sottratto alla criminalità organizzata e recuperato (spazio pubblico, terreno agricolo, orto sociale, appartamento, villetta, ristorante, negozio), potrà essere intitolato alla memoria di una vittima innocente delle mafie e della pandemia. Chi avrà il coraggio di realizzare questa utopia concreta? Le chiacchiere stanno a zero, a parlare saranno i fatti.
Immagine di copertina: Gabriele De Giovanni, Freed House su bene confiscato alle mafie in Sicilia (progetto elaborato nell’ambito del Master NewItalianBlood)
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coronavirus , lettere al Giornale , mafie , rigenerazione urbana
Last modified: 10 Giugno 2020