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Written by: Città e Territorio Inchieste

Ritratti di città: Bergamo tra difficoltà e speranze di rinascita

Ritratti di città: Bergamo tra difficoltà e speranze di rinascita

Dalle visioni del PGT alla realtà

Dall’alto delle mura venete Bergamo sembra un grande plastico vivente, formato da un insieme di paesaggi urbani in cui si possono scorgere, come fra le pagine di un libro, le parti eterogenee che compongono una forma urbana in cui i segni antichi si accostano ai tratti moderni e contemporanei. La città che si guarda oggi è diversa da quella che fino a qualche anno era considerata una «roccaforte» dell’edilizia e che era attraversata da un dinamismo che ora sembra un ricordo. I venti che hanno refrigerato molti settori economici del nostro paese, abbattendosi sull’edilizia come mai in precedenza, nella laboriosa provincia bergamasca si sono sentiti anche più che altrove, portando allo stallo del mercato immobiliare e a pesanti decrescite di edificazione e compravendite. I dati diffusi di recente dall’ANCE Bergamo (Associazione nazionale costruttori edili) parlano di un calo epocale nel settore delle costruzioni, con il 64% in meno di permessi di costruire rispetto al 2009 e un trend negativo superiore a tutte le altre province lombarde.
Alle difficoltà del mercato ha corrisposto inevitabilmente l’inerzia nell’attuazione delle aree di trasformazione previste dal Piano di governo del territorio. Lo strumento urbanistico generale, approvato nel 2009 dall’Amministrazione Bruni, aveva già destato perplessità all’atto della sua adozione (cfr. «Il Giornale dell’Architettura», n. 72, aprile 2009) per la sovradimensionata previsione iniziale che vedeva un incremento di 5,5 milioni di mc di nuova edificazione – senza contare l’incremento portato dai Programmi integrati di intervento -, successivamente ridotto a più riprese. A distanza di un solo lustro dall’approvazione del PGT gli obiettivi quantitativi e alcune scelte correlate paiono ancor più fuori luogo, se non addirittura anacronistiche, e il conclamato fallimento del più importante comparto in esso recepito, il piano/progetto di Porta Sud (cfr. «Il Giornale dell’Architettura», n. 60, marzo 2008 e il focus di approfondimento n.3), è diventato il caso più eclatante di un visione pianificatoria che si è infranta contro la realtà.

Segni del cambiamento
Dal 2009 a oggi, Bergamo è stata movimentata da alcuni episodi isolati, riguardanti significativi comparti urbani spesso attuati con logiche autonome, proprie della pianificazione negoziata e dell’urbanistica costruita sugli accordi pubblico/privato (Piani attuativi, ereditati dal PRG e rivisitati, o PII), che hanno seguito iter d’approvazione paralleli al PGT e spesso non assoggettati a VAS. Si tratta di operazioni che hanno avuto percorsi difficoltosi – protratti per diversi anni nella fase di negoziazione, con accesi dibattiti d’opinione pubblica e accese controversie politiche – e che dimostrano, da un lato, la difficoltà subita da comparti urbani contestati dalla popolazione, e dall’altro, il manifestarsi dei segni della crisi economica/edilizia che ha prodotto realizzazioni parziali e consistenti quote di invenduto.
È il caso del Piano di recupero denominato Quarto Verde (studio De8), il comparto individuato dal PRG per riqualificare le aree dismesse dell’ex Cesalpinia nei pressi della stazione autolinee, esito di un’annosa vicenda con scontri politici e polemiche che si è conclusa nel 2009 con la firma della convenzione. Il progetto venne rivisto, migliorato, ridimensionato: oggi, delle volumetrie previste – un mix funzionale di circa 70.000 mq, di cui 42.000 residenziali e la rimanenza terziario/commerciale – ne sono realizzate circa la metà, di cui gran parte invenduta.
Una sorte ancora più controversa è toccata al PII dell’area ABB-Sace di via Baioni (Alberto Bertasa), rielaborazione del precedente Progetto Norma del PRG, contro il quale il Comitato di quartiere ha ingaggiato una vera battaglia a causa dello sviluppo verticale degli edifici residenziali (17 piani, nella prima versione) e del loro contrasto con Città alta. La seconda stesura del progetto ridusse le superfici terziario-residenziali e venne approvato nel 2009 dall’Amministrazione Bruni ma, a seguito delle continue polemiche che infiammarono anche la campagna elettorale, il PII fu nuovamente riveduto nel 2011 dalla successiva Amministrazione Tentorio in accordo con l’operatore privato. Dopo tre anni di silenzio, solo nel 2014 è stato presentato il progetto che recepisce le modifiche concordate con il Comune e riduce ulteriormente l’altezza delle «torri» sottraendo ulteriori 4.000 mq di SLP. Oggi è ultimato il solo edificio della nuova sede ABB, mentre la rimanenza dell’area è ancora occupata dagli edifici dismessi.
Ma il quadro della complicata stagione attuativa di Bergamo non può mancare di due altri casi molto discussi: il primo è il PII di via Autostrada (Alberto Bertasa), un centro direzionale, commerciale e ricettivo di circa 45.000 mc al centro di una diatriba esplosa a seguito alla costruzione del corpo verticale degli uffici, ribattezzato «muro di via autostrada» dalla stampa locale, colpevole di aver «oscurato» la visuale verso Città alta da una delle principali strade di ingresso alla città. Innescata tardivamente quando ormai i permessi erano stati regolarmente rilasciati, la querelle ha travolto il cantiere con una sovraesposizione mediatica senza precedenti. A oggi gli spazi direzionali sono completati ma pressoché vuoti, sono attive le funzioni commerciali mentre non c’è alcuna traccia dell’albergo, anch’esso contestato per eccesso di volume e altezza e per il quale il Comune ha chiesto e convenuto con la proprietà una sensibile riduzione. Il secondo caso riguarda il PII dell’ex area Enel (Antonio Citterio e Patricia Viel), il comparto di via Nullo che include anche la rifunzionalizzazione dell’edificio progettato da Bergonzo, attualmente in fase di ultimazione dopo una cantierizzazione durata oltre 5 anni. La volumetria di oltre 70.000 mc determina una densità edilizia pesante ed è stata oggetto di contrasti politici a più riprese e di reiterate richieste di riduzione da parte del Comitato di quartiere, che l’ha sempre considerata sovradimensionata e non adeguata al contesto. Ma l’allora Amministrazione comunale decise diversamente, assumendosi la responsabilità di un’attuazione che, insieme ad altre, è il segno di un’ambigua stagione di pianificazione che volge al termine ma che rimarrà impressa nella forma della città.

Organismi architettonici da restituire alla città
Sulla scena urbana è sempre stato presente un tema caro a Bergamo, il riuso degli organismi architettonici storici, già oggetto di studi e riflessioni negli anni addietro. Nel 1983, in particolare, una commissione di 17 esponenti di formazione culturale e disciplinare eterogenea, venne costituita per discutere su quale futuro dare ad alcuni edifici storici di proprietà pubblica in una logica di recupero delle loro potenzialità. Muovendo dai presupposti di una mostra-convegno che si tenne nel 1982, dall’emblematico titolo «Un futuro per il passato», i lavori della commissione impegnarono per circa un anno personalità di spicco come l’allora sindaco Giorgio Zaccarelli, il maestro Gianandrea Gavazzeni, il professor Lelio Pagani insieme a esponenti dell’architettura e urbanistica come Giancarlo De Carlo, Sandro Angelini, Walter Barbero, Abramo Bugini, Giuseppe Gambirasio. L’obiettivo del gruppo di lavoro era di fornire un contributo culturale, ancor prima che tecnico, per il riutilizzo di alcune fabbriche storiche da rivitalizzare o da salvare dalle condizioni precarie in cui si trovavano, inquadrando i vari casi all’interno di un «sistema concettuale» che prefigurasse un’idea di città in cui i «contenitori» storici potessero avere un futuro vocato al servizio per la collettività.
La pubblicazione che raccoglieva gli esiti finali di quel lavoro – dall’’emblematico titolo Organismi architettonici da restituire alla città – individuava 12 edifici e complessi storici alcuni dei quali sono stati successivamente recuperati e rifunzionalizzati, come il Teatro sociale o l’ex caserma Camozzi (oggi GAMeC, Galleria d’arte moderna e contemporanea), altri sono tutt’ora abbandonati, come gli ex conventi del Carmine e di Sant’Agata (cfr. il focus di approfondimento n.1) e altri ancora sono oggi in fase di recupero, come l’ex monastero di Sant’Agostino che ora ospita l’Università e la cui chiesa sconsacrata è oggetto di intervento di restauro e valorizzazione (Marcello Sita e Amedeo Bellini) che terminerà nei prossimi mesi. Analogamente, l’ex monastero vallombrosiano di Astino è al centro di un articolato programma di recupero iniziato nel 2009 il cui primo tassello è il completamento della chiesa del Santo Sepolcro, restituita alla città nello scorso settembre in parallelo all’intervento di messa in sicurezza dell’intero complesso monastico (coordinamento, Domenico Egizi), in fase di avanzamento. Il progetto di riqualificazione si estende anche ai 26 ettari di aree agricole e boschive nella pregiata valle d’Astino – inclusa nel Parco regionale dei colli, in parte come Sito di importanza comunitaria – dove è in corso un’operazione sperimentale di agricoltura biologica affiancata da una nuova sezione dell’Orto botanico di Bergamo.
Ma il tema e la riflessione sul patrimonio storico pubblico da rifunzionalizzare, rispetto a trent’anni fa, si arricchisce nella Bergamo attuale di un connotato più ampio, estendendosi anche alle parti di città di formazione moderna, come i grandi impianti urbani del Novecento che hanno segnato la forma urbis e che hanno perso la loro funzione originaria o il loro ruolo dominante (come l’insolito caso del centro di Città bassa caduto in crisi; cfr. il focus di approfondimento n.2). Segnali di inaspettata vitalità stanno emergendo in tal senso per alcuni casi balzati alla cronaca recentemente grazie agli accordi stipulati dopo anni di stallo, che riguardano ipotesi di rifunzionalizzazione dell’ex caserma Montelungo/Colleoni, da destinare a residenza temporanea universitaria e centro sportivo integrato, e degli ex Ospedali riuniti, in cui prenderà posto l’accademia della Guardia di Finanza. Un’altra parte di città dimenticata che potrebbe essere rigenerata è l’area degli ex Magazzini generali, dove potrebbero essere ricavati gli spazi espositivi della nuova sede GAMeC con un progetto (studio Traversi + Traversi) interamente finanziabile da una fondazione bancaria per il consistente importo di 4,5 milioni (agli spazi museali di Bergamo sarà dedicato un prossimo articolo di questo Giornale, in occasione della riapertura dell’Accademia Carrara prevista il 23 aprile). L’ipotesi ha tutte le carte in regola per essere attuata in tempi brevi, ma il Comune sta temporeggiando e valutando altre alternative, come l’accattivante possibilità di ricavare i nuovi spazi museali nella Casa della libertà (la Casa Littoria progettata da Alziro Bergonzo nel 1940), attualmente di proprietà del Demanio e già individuata per ospitare la Prefettura, o addirittura nell’attuale Palazzetto dello sport, con un’operazione di certo più complicata e dai tempi meno brevi. Mentre è di questi giorni la notizia che la società Italcementi donerà alla città un nuovo Palazzetto del ghiaccio, inserito nel progetto firmato dallo studio MCA – Mario Cucinella Architects per la riqualificazione generale dell’area dismessa Società del gres, che andrà a sostituire l’ormai superato impianto della Malpensata. La nuova struttura avrà una superficie di circa 5.000 mq, s’inserirà in una vasta area verde per un costo previsto di 5 milioni, interamente coperto dalla società bergamasca in occasione del 150° anniversario di fondazione.
La nuova stagione di rigenerazione urbana sta profilando potenzialità che meritano adeguata attenzione e richiedono qualità ed equilibrio nella gestione di trasformazioni da parte dei soggetti chiamati ad amministrarle, sperando che questi applichino nell’iter di definizione progettuale le tanto agognate procedure partecipative e concorsuali.

Focus di approfondimento: i tre centri di Bergamo tra crisi e
opportunità
1_ Città alta, tra accessibilità e patrimonio da salvare (di Carlo Nozza)
2_ Città bassa, il centro piacentiniano da ripensare (di Marco Adriano Perletti)
3_ Porta Sud, lo smarrimento del terzo centro (di Paolo Vitali)

Autore

  • Marco Adriano Perletti

    Architetto e PhD, svolge attività professionale occupandosi di progettazione architettonica e paesaggistica, pianificazione urbanistica e valutazione ambientale strategica. Ha svolto attività didattica al Politecnico di Milano partecipando a programmi di ricerca. Collabora con «il Corriere della Sera» e ha pubblicato: «Nel riquadro dei finestrini. L'architettura urbana nello spazio cinetico» (Milano 2005); «Novara. Sebastiano Vassalli tra città e paesaggio globale» (Milano 2008); con A. Femia e M. Paternostro, «1 e 3 Torri. Palazzo MSC a Genova» (Parigi 2017); «Architettura come Amicizia. Conversazioni con Mario Botta, Aurelio Galfetti, Luigi Snozzi, Livio Vacchini» (Brescia 2018); "Costruire sostenibile con la canapa. Guida all’uso in edilizia di un materiale naturale e innovativo" (Santarcangelo di Romagna, 2020)

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Last modified: 9 Dicembre 2015