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Francesco KarrerWritten by: Professione e Formazione

Opere pubbliche e concorsi, uno spazio sempre più ristretto

Secondo Francesco Karrer, alla luce del Codice dei contratti pubblici occorre continuare a invocare l’applicazione del concorso di progettazione, ma non fuori del contesto generale. A meno che si voglia rimanere ancora ai margini del processo decisionale sulle opere pubbliche

 

Del concorso come procedura di affidamento dei servizi di progettazione sappiamo tutto: gli aspetti positivi come quelli negativi. Anche dell’uso non sempre lineare che ne fa chi li bandisce e più in generale dell’effettività dell’esito. Piuttosto modesta: il tasso di realizzazione delle opere che hanno origine da un concorso di progettazione è piuttosto basso e non solo da noi. Soprattutto da quando le procedure di formazione dei progetti sono divenute più complesse: necessità di comunicazione, trasparenza, partecipazione del pubblico in varie forme, obbligo di misurarsi con le disponibilità delle risorse economiche, ecc. Da anni oggetto di tentativi di miglioramento, sempre auspicato dagli architetti (quasi per nulla dalle altre categorie professionali), che guardano entusiasticamente a quanto, impropriamente spesso – il caso della Francia, ad esempio -, si ritiene che avvenga in altri paesi. Gli architetti lo vorrebbero quasi come l’unica procedura di aggiudicazione di un appalto di servizi di progettazione. Indipendentemente dalla natura dell’opera da progettare e della sua collocazione, magari all’interno di un’opera più complessa: imbocchi di galleria, ponti e viadotti, ecc., distinti dal progetto generale della strada o della ferrovia.

Già la definizione di servizio di progettazione o di servizi di “architettura, ingegneria e affini…” disturba i più accaniti sostenitori della tesi “solo concorsi”, malgrado che così lo fa e non da oggi (bisogna risalire all’«Uruguay Round» o GATT del periodo 1986-94) la classificazione internazionale dei prodotti che è alla base dei trattati di libero scambio. Discuterne senza tener conto di questo contesto è inutile. Per mezzo di un progetto a vari livelli di definizione tecnica di un’opera – ragioniamo evidentemente di opere pubbliche o di privati che per via di leggi o per decisione autonoma del proponente/stazione appaltante sono assoggettati all’evidenza pubblica e alle sue regole -, valutato da un’apposita commissione (e questo è uno dei maggiori problemi dei concorsi), si sceglie a chi affidare il servizio di progettazione.

In luogo di tutti gli elementi che sono alla base dell’appalto di servizi (caratteristiche reputazionali ed altro dell’offerente, merito tecnico rilevabile dalla metodologia di svolgimento del servizio proposta, tempo e costo di esecuzione), c’è il progetto dell’opera. Tutto va ricavato dal progetto. Per migliorare la procedura, a volte le stazioni appaltanti chiedono di definire fra l’altro il costo stimato di costruzione dell’opera. In questi casi si mescolano più criteri di valutazione, cercando ad un tempo di dare maggiore concretezza alla proposta progettuale che alla previsione/impegno di spesa che la stazione appaltante deve coprire. E non sempre questa richiesta si fonda sulla messa a disposizione di un quadro conoscitivo adeguato al progetto richiesto. Arrivare a definire con precisione il costo di un’opera richiede, ovviamente, che il progetto sia compiuto in tutte le parti. Da qui il costo della progettazione, sostenibile solo da alcuni progettisti. Certamente non dai giovani, almeno della maggior parte di essi.

Ciò si supera con la richiesta del livello di progettazione in sede di concorso: di solito quelli iniziali del “ciclo del progetto”. Con il concorso di idee che la fa da padrone. Poco impegnativo per tutti i soggetti in gioco. Di fatto procedura per acquisire/cedere un’idea e nulla più. Con libertà della stazione appaltante di utilizzare o meno, appunto l’idea. Che, come diceva un vecchio adagio di moda al tempo dei miei studi universitari, “le idee sono di tutti”, mentre le “soluzioni sono di pochi”. Questioni di diritto d’autore a parte, con tutte le difficoltà ben note di farlo valere.

Approfondendo quello che abbiamo chiamato il contesto nel quale si sviluppa la procedura del concorso, così come quella dell’appalto di servizi tramite il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (pratica che applichiamo dal 1977, con il dpcm 116, abolito e rinato in altre forme), o con la procedura dell’appalto integrato (cioè dei lavori e del progetto esecutivo), si deve ricordare quanto obbliga il Codice dei contratti (dlgs 50/2016) riguardo alla progettazione ed alla programmazione. Le novità fondamentali, come noto, sono l’introduzione del programma biennale dei servizi e l’introduzione del progetto di fattibilità tecnica ed economica, in luogo dello studio di fattibilità e del progetto preliminare. La stazione appaltante forma un programma biennale dei servizi, nei quali vengono ricompresi i progetti di opere oltre ad altri servizi che s’intendono realizzare nel biennio. Formato il progetto di fattibilità tecnica ed economica, questo va a formare il programma triennale delle opere pubbliche. Questo percorso richiede il rispetto dei tempi e soprattutto certezza delle previsioni di spesa. Anche perché da esso dipende la cosiddetta informazione al mercato, nel caso, dei servizi di progettazione e delle opere pubbliche.

Il punto più critico per il concorso di progettazione in questo nuovo ciclo della programmazione-progettazione è rappresentato dal rinnovato primo livello di progettazione e del quale tanto si è discusso e si discute. Come noto si è in attesa del DM del MIT sui contenuti dei livelli di progettazione, dopo che il relativo “schema” è stato severamente osservato dal Consiglio di Stato (parere 22/2017).

Il progetto di fattibilità può essere articolato in due fasi. La prima si conclude con l’individuazione dell’alternativa preferenziale. Al suo interno, quando richiesto, si svolge il “dibattito pubblico”. La seconda serve a sviluppare il progetto. Ricerca di alternative, dibattito pubblico, valutazioni economiche, ecc., difficilmente si coniugano con la procedura del concorso di progettazione, nella quale è d’obbligo almeno nella tradizione l’anonimato del concorrente.

Certo che il format ipotizzato per il progetto di fattibilità sembra essere stato influenzato molto dalla progettazione delle opere lineari (dubbio confermato anche dalle Linee guida per la programmazione delle opere di competenza del MIT emanate nello scorso dicembre), ma la distanza tra questa logica e quella del concorso di progettazione rimane enorme. È stata infatti molto influenzata dalla logica della progettazione di infrastrutture. Si pensi solo alla questione della scelta della localizzazione ottima. Per un’opera “puntuale” che ha origine in un piano urbanistico di quale alternativa localizzativa si può trattare? Il siting della localizzazione è stato già operato all’interno del processo di formazione del piano urbanistico. Tanto più da quando questo è obbligatoriamente assoggettato alla procedura di VAS. Dovremmo quindi considerare solo alternative tipologiche, costruttive, gestionali. Ma queste rientrano tutte nel dominio del progetto di fattibilità? Che margini d’intervento ci sono per il progettista?

Interrogativi piuttosto seri che forse l’enfasi posta alla questione della centralità del progetto nel processo decisionale sull’opera pubblica, e che il Codice – si ritiene – avrebbe brillantemente risolto, ha fatto perdere di vista. Forti anche del fatto che il primo anno di applicazione del nuovo Codice ha spinto molte stazioni appaltanti a completare il ciclo del progetto, mettendo a gara il passaggio dal livello definitivo a quello esecutivo. Per i lavori il periodo non è stato altrettanto buono, anzi piuttosto negativo. Ed ora che con il “primo correttivo” s’ipotizza di riutilizzare la procedura dell’appalto integrato? Che ne sarà del concorso di progettazione? Sarebbe forse meglio per tutti ragionare su come migliorare la procedura dell’appalto integrato piuttosto che continuare a demonizzarla: rispetto del progettista, qualità del progetto, innovazione di processo e di prodotto, contenimento delle varianti, ecc., sono realizzabili. Il tutto senza dimenticare che al vero centro dell’opera pubblica c’è la qualità della “domanda pubblica”, che il progetto di fattibilità meglio qualifica.

Nel mentre prosegue il confronto/scontro sui livelli di progettazione. Il Consiglio di Stato, con il parere già ricordato, censura anche l’idea piuttosto creativa che sempre la spesa pubblica la si possa determinare sulla base dell’esito di uno studio di fattibilità (figuriamoci di un concorso). Una scelta su dove e in che quantità allocare le risorse pubbliche, occorre che sia fatta ed antecedentemente all’avvio del ciclo della progettazione. Da qui i ripensamenti sulla collocazione dello studio di fattibilità. Lo studio di fattibilità affinerà comunque la decisione, sino anche a negarla (ma, appunto, non è preferibile fermarsi prima di arrivare a questo punto?), quando ne dimostrerà l’inutilità se non anche la dannosità. Forse un bagno di concretezza non farebbe male!

E mentre, ancora, si discute di tutto ciò, è stato emanato dal MIT il Regolamento recante definizione dei requisiti che devono possedere gli operatori economici per l’affidamento dei servizi di architettura e individuazione dei criteri…, e da parte del MATTM è stato emanato il DM 11 gennaio 2017, sui Contenuti ambientali minimi delle opere pubbliche (allegato 2), nel quale si precisa anche come si applica l’offerta economicamente più vantaggiosa (Oepv). La precisazione sembra rivolta in particolare agli appalti per l’affidamento dei lavori sulla base del progetto esecutivo: utile da conoscere sia per il contenuto in se stesso, sia per come applicare il criterio dell’Oepv nell’aggiudicazione di lavori. In ispecie ai miglioramenti ambientali della proposta di lavori ed all’organizzazione dell’appaltatore1. Su un progetto realmente esecutivo quali altri miglioramenti sono apportabili in fase di gara?

Continuiamo sì a ragionare ed invocare l’applicazione del concorso di progettazione, ma non fuori del contesto generale. A meno che non vogliamo rimanere ancora ai margini del processo decisionale sulle opere pubbliche.

Autore

  • Francesco Karrer

    Nato nel 1942, architetto, docente ordinario di Urbanistica, già presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, Commissario Straordinario al Porto di Napoli, ha svolto studi e ricerche nella pianificazione, programmazione, progettazione, architettura, ambientale e territoriale-urbanistica. È redattore di numerosi strumenti di pianificazione di area vasta, di grandi, medie e piccole città. Ha sviluppato e approfondito la conoscenza di molti settori funzionali (ambiente/urbanistica, urbanistica per le attività produttive, trasporti e infrastrutture, ecc.). Ha partecipato in più occasioni alla produzione legislativa nazionale e regionale: fra l’altro, ha presieduto la Commissione ministeriale che ha predisposto lo schema del DPCM 116/1977 sull’offerta economicamente più vantaggiosa applicata agli appalti di servizi

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Last modified: 21 Aprile 2021