I quattro temi di ricerca indicati dal bando del Mibac erano la città e le politiche, la sostenibilità, il paesaggio in trasformazione, il patrimonio culturale. Lei è andato oltre, cercando una pragmatica connessione con la realtà economica e produttiva. Come pensa che si possa stimolare, anche attraverso la Biennale, la diffusione di una collaborazione etica e creativa fra progettisti e committenti?
Un «common ground» tra imprenditoria e architettura è una necessità imprescindibile per la ripresa del nostro paese. La Biennale deve avere un ruolo importante nello stimolare questo «patto», dopo anni dominati da finanza, mercato immobiliare e rendita fondiaria. Guardando alla modernità dell’esperienza di Adriano Olivetti si può avviare un percorso diverso capace di valorizzare l’attuale vera ricchezza italiana: la miriade di piccole-medie imprese del Made in Italy che, oltre a offrire una produzione di eccellenza, si rappresenta spesso attraverso un’architettura di qualità per i propri insediamenti. Sono inoltre sempre più frequenti i casi d’imprenditori che recuperano borghi antichi abbandonati o fortemente degradati convertendoli in alberghi diffusi, o che trasformano porzioni di suolo in aziende agricole a km zero, riqualificando in maniera capillare il nostro territorio. Si tratta di mettere in rete questo pulviscolo d’iniziative e farne il soggetto della ripresa italiana.
Una parte importante del padiglione è dedicata all’Expo 2015, un appuntamento in cui non sembrano più credere in molti…
L’Expo 2015 è un’occasione importantissima per l’Italia. Noi assumiamo il titolo dell’Expo «Nutrire il pianeta» per dilatare e rilanciare il concetto di nutrimento dall’aspetto alimentare a quello culturale e civile: la riqualificazione delle città, la possibilità per i bambini di muoversi liberamente sulla scena urbana, le iniziative, spontanee ma anche programmate, di agricoltura urbana. A Venezia cercheremo soprattutto di mostrare il patrimonio di esperienze già avviate, ma anche di tracciare possibili piste di sviluppo.
Il tempo a sua disposizione è pochissimo. Come pensa di scegliere i collaboratori per realizzare il suo progetto? Prevede di coinvolgere l’In/Arch?
Sicuramente è un’operazione che investe l’In/Arch, impegnato dal 1959 su questa linea. Una linea che nei decenni passati si è scontrata prima con il mito della metropoli e dell’industrializzazione pesante e poi con il feticcio di un mercato autoregolantesi. Coinvolgeremo sicuramente le soprintendenze, per farci indicare le iniziative imprenditoriali di recupero dei beni culturali e di riqualificazione del territorio, e le associazioni che hanno contribuito a promuovere quest’«altra Italia» emergente. L’Italia di un’auspicabile ripresa virtuosa.