Abilissimo nel disegno a mano, non ha mai abbandonato i riferimenti a Otto Wagner e alla Scuola viennese
La scomparsa di Nicola Pagliara, avvenuta a Napoli il 9 maggio 2017, in maniera improvvisa dopo un’apparentemente banale caduta in casa, rappresenta una perdita per l’architettura italiana. Era nato a Roma nel 1933 e, dopo anni trascorsi a Trieste, si era formato a Napoli in una facoltà che aveva come docenti illustri nomi: Roberto Pane, Marcello Canino, Giulio De Luca e Carlo Cocchia. Con quest’ultimo collaborò come assistente fino a che non decise di percorrere in autonomia la carriera universitaria, divenendo docente ordinario di Progettazione architettonica nel 1975.
Pagliara ha svolto la sua intensa attività dedicandosi, con forte carica passionale, sia alla didattica che all’attività di progettista. Da docente ha formato molte generazioni di studenti, alcuni divenuti poi validi docenti o bravi architetti, instradandoli all’«arte del progettare» con lezioni teoriche in aule gremite, dove egli spaziava dall’architettura alla letteratura, al cinema – la sua prima passione, di cui era profondo conoscitore -, alla poesia e alla filosofia, con ricchezza di riferimenti culturali, sulle teorie costruttive e sulle regole compositive fuse alla pratica del cantiere nel suo farsi, trasmettendo agli allievi l’arte del saper costruire. Un amante della «materia», dal marmo alle essenze lignee, dal metallo alle pietre, aveva la capacità di trattarle tutte con grande maestria. Tanto che Benedetto Gravagnuolo scrisse di lui: «Pagliara ha attraversato diverse stagioni ideative: dall’età della pietra, all’età del ferro… fino all’età del marmo». Nel 2008 fu insignito del premio per l’Architettura Sebezia Ter sotto l’alto patrocinio del presidente della Repubblica, dopo aver ricevuto il premio per l’Architettura dell’Accademia di San Luca nel 1979.
Abilissimo nel disegno, dallo schizzo alla prospettiva rigorosamente a mano, è stato definito da Renato De Fusco «uno tra i migliori disegnatori nell’accezione più classica ed aulica del termine, dell’architettura del Novecento». Tra i maggiori conoscitori di Otto Wagner e della Scuola viennese, non ha mai abbandonato tali riferimenti, senza trascurare nemmeno taluni stilemi wrightiani della prima maniera.
Pagliara si è contraddistinto nel panorama nazionale e internazionale per le numerose opere che vanno dal 1960 (uffici SIP a Benevento), alle torri del Centro direzionale di Napoli degli anni ’80, al Grande albergo a Salerno nel 2000 fino ad alcune opere ancora in corso di realizzazione nel 2017. Architetture che sono state trattate dai maggiori storici contemporanei come Bruno Zevi, Manfredo Tafuri, Giorgio Ciucci, Renato De Fusco, Benedetto Gravagnuolo, Cesare de Seta, Sergio Polano fino a Paolo Portoghesi che lo inserisce nel volume I Grandi Architetti del Novecento (Newton & Compton 1998).
Personaggio elegante e dal raffinato umorismo, anche se critico e severo, innanzitutto con se stesso, era stimatissimo anche dai colleghi culturalmente più distanti che hanno sempre posto in risalto le sue grandi qualità di amante dell’architettura e, nell’accezione più positiva del termine, di «Maestro di architettura». Anche perché a Pagliara calzava in pieno il detto di Stendhal: «Beato colui che ha per passione il proprio mestiere».
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Last modified: 22 Maggio 2017