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Arianna PanarellaWritten by: Interni

Quando l’arte entra nelle case

Quando l’arte entra nelle case

Tra arte domestica e interni d’arte, una carrellata di architetti e artisti che hanno condiviso idee e insegnamenti

Da sempre e con sempre maggiore continuità, le discipline artistiche e quelle della progettazione condividono idee e insegnamenti: da Lucio Fontana a Alessandro Mendini, da Dan Flavin a Ettore Sottsass, da Per Kirkeby a Nanda Vigo, da Enzo Mari a Andrea Zittel, ed ancora Fortunato Depero, Max Bill, Bruno Munari, Getulio Alviani, Ettore Sottsass, Corrado Levi. La lista di autori che lavorano in bilico nell’interdisciplinarità è molto lunga e il rapporto tra arte, architettura e design è costante e continuo nel tempo.

Un artista può imparare da Luis Barragán che il colore non è solo un elemento cromatico, ma gioca un ruolo significativo con la dimensione e lo spazio; un architetto può capire da Gianni Colombo la percezione fisica e sensoriale attraverso l’uso del movimento, della luce e dello spazio; uno scultore può imparare da Carlo Mollino e dalle sinuose e articolate forme dei suoi oggetti; uno scenografo può farsi ispirare da Bruce Nauman nel rapporto immagine/suono, così come un grafico può sperimentare guardando gli spazi optical dell’artista Tobias Rehberger.

Gli architetti traggono spesso ispirazione dall’arte contemporanea: non solo dai materiali, dalla loro presenza tattile, fisica e inusuale che apre nuove possibilità per la realizzazione di strutture e forme, ma anche dalla riflessione che opera sulla società. Arte e architettura si ritrovano in un dialogo reciprocamente produttivo. L’architettura più innovativa propone soluzioni che incorporano strategie artistiche; mentre il contenuto di molta arte si può spesso mettere in relazione a progetti architettonici. Lo dimostrano anche le Biennali di Architettura e di Arte di Venezia, i cui confini da sempre sono sottili ed è evidente come le due discipline si ibridino a vicenda, soprattutto quando si parla di allestimenti di mostre.

Guardando al passato, basta pensare alle relazioni tra la pittura espressionista e l’architettura di Erich Mendelsohn, tra il neoplasticismo di De Stijl e le prime architetture di Mies van der Rohe e dei razionalisti, fino ai radicali fiorentini (Ufo, Archizoom, Superstudio, 9999, Ugo La Pietra,…) e le neoavanguardie. La storia ha dimostrato l’importanza di una serie di esperienze che si sono svolte in architettura con un costante riferimento alle esperienze nel campo delle altre arti. Isozaki, Coop Himme(l)blau, Eisenman, Gehry, Koolhaas, Tschumi, Ito, Libeskind, Hadid, anticipatori di teorie e linguaggi considerati inizialmente visionari, sono ora protagonisti riconosciuti della scena, che fanno dell’architettura non solo un “contenitore” da vivere e abitare, ma vere opere d’arte da scoprire e fotografare con una scultura in un museo. I colori e le composizioni dell’arte sono da sempre ispiratori anche della progettazione degli interni: se pensiamo agli spazi disegnati da Gio Ponti dove soffitti, pareti e scale vengono utilizzati come tele bianche su cui delineare paesaggi astratti come in villa Planchart (Caracas, 1957), villa Nemazee (Teheran, 1964), villa Arreaza (Caracas, 1956), concepite da Ponti come “opera delle opere d’arte totali”, dove l’interno è progettato in stretta relazione con gli arredi, gli oggetti che lo abitano e con opere d’arte commissionate a diversi artisti italiani.

Come anche Ettore Sottsass, nella casa Olabuenaga (Maui, Hawaii, 1989) diventata un’icona e, forse, l’esempio migliore del suo linguaggio. Una casa composta da un collage di volumi geometrici caratterizzati da un’identificazione spaziale ottenuta attraverso l’uso di campiture di colori a contrasto, sia negli interni che in facciata, con un risultato surreale e spaesante, quasi come quando si guarda la Casa blu di Marc Chagall. Le opere d’arte possono anche diventare le protagoniste di uno spazio e, quindi, un progetto d’interni viene disegnato intorno ad esse per attirare lo sguardo dello spettatore, non solo negli spazi tradizionalmente destinati all’arte, ma anche all’interno delle abitazioni private.

L’arte entra nelle case da sempre (basti pensare al patrimonio d’arte di molti edifici storici), ma anche gli interni entrano spesso nell’arte: dalla celebre “Camera di Vincent ad Arles” di Van Gogh, a “Interno con fonografo” di Henri Matisse, all’atmosfera sospesa di “Western Motel” di Edward Hopper, all’“Interno (La mia sala da pranzo)” di Wassily Kandinsky. La storia dell’arte è ricca di esempi che raccontano scorci d’interni, stanze di case, elevandole a soggetto principale della scena.

Lo scambio delle riflessioni domestiche che reinterpretano le stanze in cui viviamo oggi prende frequentemente spunto da immagini tratte da dipinti storici, ma anche da grafiche disegnate da giovani artisti/designer, come l’inglese Sarah-Jane AxelbyPer i creativi contemporanei l’ispirazione spesso parte infatti dall’osservazione dei luoghi che abitiamo, ancor più in questi tempi di pandemia, dove le immagini domestiche sono diventate rilevanti anche grazie a social come Instagram, che guardano ad interni minimal che raccontano di Mondrian o Sol LeWitt, ma anche di scenari bucolici che ricordano i quadri di Henri Rousseau.

Ma l’arte può invadere anche un intero spazio come nel caso del canadese Jon Rafman, la cui arte indaga il rapporto della tecnologia sulla vita umana, attraverso i media digitali e i linguaggi della realtà virtuale. Usando modelli 3D, Rafman ha creato ambienti ”abitabili” che s’ispirano alle opere d’arte più famose del mondo. Sono molte, soprattutto all’estero, le case in affitto al cui interno si trovano pezzi d’arte. È il caso di Ambroise a Parigi, una casa in cui l’arte domina ovunque: quadri appesi alle pareti, oggetti rari, mobili eccezionali e accessori su misura. Le collezioni sono in continua rotazione, garantendo così novità ad ogni soggiorno. Tutte le opere all’interno degli appartamenti sono in vendita e vanno da piccoli pezzi come ceramiche, a grandi quadri e oggetti di design. Far dialogare arte, architettura e design dovrebbe essere naturale, così come dovrebbero esserlo le collaborazioni tra gallerie e progettisti. Come accadeva in passato, l’architetto e l’artista dovrebbero lavorare sinergicamente; ovvero, quanto di più diverso si possa immaginare dalla contemporanea abitudine che vede l’inserimento di opere d’arte nell’architettura semplicemente come appendere dei quadri in un soggiorno o posizionare una scultura in una piazza. Se, entrando in una casa, cogliamo l’intensità cromatica e materica, il diverso ruolo attribuito alla luce naturale e artificiale, o la relazione tra spazi, così, allo stesso modo, la scelta delle opere non può essere casuale, come c’insegna Ponti, perché ci darà precise indicazioni sulla personalità di chi ci vive e anche del progettista.

 

Immagine di copertina: Jon Rafman, usando modelli 3D, ha plasmato ambienti ”abitabili” che s’ispirano alle opere d’arte più famose del mondo

 

Autore

  • Arianna Panarella

    Nata a Garbagnate Milanese (1980), presso il Politecnico di Milano si laurea in Architettura nel 2005 e nel 2012 consegue un master. Dal 2006 collabora alla didattica presso il Politecnico di Milano (Facoltà di Architettura) e presso la Facoltà di Ingegneria di Trento (Dipartimento di Edile e Architettura). Dal 2005 al 2012 svolge attività professionale presso alcuni studi di architettura di Milano. Dal 2013 lavora come libero professionista (aap+studio) e si occupa di progettazione di interni, allestimenti di mostre e grafica. Dal 2005 collabora con la Fondazione Pistoletto e dal 2013 con il direttivo di In/Arch Lombardia. Ha partecipato a convegni, concorsi, mostre e scrive articoli per riviste e testi

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Last modified: 14 Luglio 2021