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Michele RodaWritten by: Città e Territorio

Housing sociale a Montreal

Housing sociale a Montreal

Benny Farm ha vinto la sua battaglia: un caso concreto di rigenerazione, comunità e sostenibilità nella Montréal che guarda l’housing sociale come fattore chiave del fare città

MONTREAL.

Benny Farm è un quartiere costruito a fine anni 40 per i veterani della seconda guerra mondiale: 64 edifici di tre piani in mattoni (architetture semplici, rigorose e orgogliosamente civili, nel quartiere di Notre-Dame-de Grâce, zona semi-centrale di Montréal, con ampi spazi aperti collettivi) per un totale di quasi 400 appartamenti. Fino agli anni 70 è un luogo identitario, una sorta di landmark sociale per tutta la città canadese. Ma dagli anni 80 alcune caratteristiche architettoniche/costruttive (non ci sono ascensori, manca l’aria condizionata e in generale le prestazioni energetiche sono carenti), unite a fattori sociali (età media della popolazione ormai prossima ai 70 anni) segnano una fase di crisi e degrado, con il progressivo abbandono di numerosi appartamenti.

È in questa situazione che si sviluppa la proposta di dismissione del bene pubblico, con conseguente demolizione e sostituzione integrale dei volumi con edifici nuovi, alti fino a otto piani. “Questo avrebbe significato la fine di Benny Farm come nodo di una rete sociale che si era sviluppata per quasi mezzo secolo, simbolo della committenza pubblica di Montréal e parte del tessuto urbano storico. Avrebbe spostato in mani private un’importante proprietà residenziale collettiva, rappresentando una perdita per i ceti meno abbienti. Il progetto venne discusso animatamente e l’imminente demolizione, nel 1991, spinse a una protesta collettiva di cittadini che proponevano un’alternativa: una rigenerazione come residenza pubblica. Era iniziata una battaglia sul futuro di Benny Farm che sarebbe durata 13 anni”. A parlare è Daniel Pearl, architetto canadese, che insieme a Daniel Wentz, ha curato l’annuale pubblicazione di Holcim Foundation for Sustainable Construction dedicata a questa esperienza*.

Il suo studio L’OEUF (acronimo per L’Office de l’Écletisme urbain et fonctionnel) è stato coinvolto in alcune fasi della nuova progettazione, oggi leggibile come un esempio di partecipazione e di attivismo sociale che ha portato alla realizzazione di 570 alloggi (circa il 30% in edifici nuovi, il resto in edifici ristrutturati), in buona parte destinati a categorie svantaggiate (anziani, genitori single, redditi bassi).

Lo sviluppo progettuale dell’intervento (il masterplan, adottato nel 2003 e poi progressivamente realizzato negli anni, è dello studio Saia Barbarese Topouzanov, in collaborazione con Laverdière + Giguêre e con il paesaggista Claude Cormier), ha puntato soprattutto su una maggiore porosità del piano terra, implementando le dotazioni di verde e in generale ricercando un rinnovato equilibrio tra le esigenze individuali (di privacy) e quelle collettive. “Rinnovare non vuole dire soltanto demolire e ricostruire. Nel contesto di una insostenibilità globale, la questione che dobbiamo porci è: come facciamo a rendere più verdi e più dense le città che viviamo? Che sia un’area suburbana o un contesto urbano o un paese del terzo mondo, il tessuto urbano composto da molteplici scale che interagiscono, tecnicamente, socialmente ed economicamente: la comunità, l’isolato, l’edificio. Questo è il pensiero fondamentale che sta dietro alla rigenerazione di Benny Farm, ovvero il rinnovamento degli edifici vecchi e la densificazione del luogo, aggiungendo tipologie che le vecchie strutture possono agevolmente ospitare”, scrive Pearl nel libro.

Un progetto pionieristico perché capace di unire, su vasta scala, un intervento low-budget con l’applicazione di tecniche di risparmio energetico e di sostenibilità: miglioramento delle prestazioni degli involucri esterni anche con tetti verdi, inserimento di sistemi di ventilazione, pannelli fotovoltaici, sonde geotermiche, recupero acque piovane. Densità, varietà e identità sono le parole chiave che si traducono, dal punto di vista architettonico, in un ambiente omogeneo (in termini di caratteri linguistici della costruzione), ma al tempo stesso fattore di sensazioni differenti grazie a un abile lavoro di micro-paesaggio che punta sulla semplicità degli elementi e sull’interazione degli spazi collettivi.

 

(*) La versione pdf del volume “Community-inspired housing in Canada” è scaricabile gratuitamente al sito web www.holcimfoundation.org/booklets.

 

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Autore

  • Michele Roda

    Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale

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Last modified: 1 Ottobre 2015