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Alessandro Colombo e Paola GarbuglioWritten by: Reviews

Homo Faber 2024: artigiani per la vita

Homo Faber 2024: artigiani per la vita

A Venezia, la terza edizione della rassegna curata da Michelangelo Foundation è un viaggio tra le eccellenze dell’artigianato contemporaneo

 

VENEZIA. Il meglio dell’artigianato di altissimo livello si ripropone fino al 30 settembre nella cornice della Fondazione Giorgio Cini sull’Isola di San Giorgio con importanti novità. Se nelle due precedenti edizioni Homo Faber, rassegna curata da Michelangelo Foundation, si proponeva come viaggio di scoperta secondo una chiave geografica, incastonando l’isola lagunare nel percorso fra i continenti e collocando pezzi e autori in precise culture e paesi, oggi il racconto prende il sopravvento, invertendo l’ordine dei fattori e arrivando a un diverso risultato.

 

Il viaggio della vita in 10 tappe

La direzione artistica del regista Luca Guadagnino e dell’architetto Nicolò Rosmarini mette in scena il viaggio della vita che, nelle sue varie età, – dieci sono i temi -, ci porta nei vari luoghi dell’antico convento di San Giorgio, già rivelati nelle precedenti edizioni ma ora completamente rivisitati. Sembra questo l’intento dei promotori, a partire da Hanneli Rupert, vicepresidente della Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship, e dei suoi partner, attraverso il tema The Journey of Life, per creare un’esperienza che vive in uno spazio dai tratti onirici, ma con tutta la concretezza della realtà fisica di allestimenti e oggetti, per offrire un’unicità a un pubblico che, abituato ad aver visto già tutto, qui trova l’inaspettato, lo stupefacente.

 

70 paesi, 105 mestieri, 400 artigiani, 800 oggetti

Gli 800 oggetti dei 400 artigiani che svolgono 105 mestieri diversi in 70 paesi del mondo – numeri giustamente messi in risalto da Alberto Cavalli, direttore esecutivo della Michelangelo Foundation – sono presentati in ambienti che appaiono “narrati” più che “narranti”, più funzionali a una visione che al servizio dell’esposizione dei pezzi.

La direzione artistica pone fin da subito Carlo Scarpa e Lina Bo Bardi come punti di partenza del progetto ma, più che un omaggio o una citazione, l’operazione pare proprio la trasposizione di un testo, la traduzione text to image di linguaggi che calano sulla realtà fisica delle sale. Lo Scarpa dei tessuti che, drappeggiati, disegnavano la temporaneità degli allestimenti nella sacralità permanente dell’architettura classica, qui diventa ossessione del tessuto piegato, del rivestimento ubiquitario, che porta più ad un impacchettamento che cela e che potrebbe riportare a Christo, se non fosse realizzato con una precisione che tutto è tranne che imballo.

 

Il percorso

Si apre con il sempre inaspettato, per la sua segretezza e bellezza, Chiostro dei Cipressi, dedicato a Birth/Nascita, teatro di un appassionante gioco dell’oca che ben dialoga con l’architettura. Ma già nella Sala del Chiostro dei Cipressi, la Childhood/Crescita è esibita come l’interno di una scatola turchese; il grande salone del Cenacolo Palladiano dedicato alla Celebration/Celebrazione, con la riproduzione delle perdute Nozze di Cana di Paolo Veronese, diventa un trionfo del rosa plissettato; la piscina Gandini trasforma Dreams/Sogni in un mare bruno che non risparmia neanche il trampolino, scientificamente rivestito da mille pieghe. Gli “impacchettamenti”, per passare dalla carta allo spazio di un’architettura pregiata e delicata, hanno bisogno di costruire contropareti, controsoffitti, soluzioni d’ingegno che ricostituiscano scatole nelle scatole, al fine di poter ottenere superfici rivestibili e trattabili.

Il trucco non sfugge all’occhio, e la magia del set, probabilmente pensato più per la macchina da presa che per la visita, toglie non poco all’incanto, ricercato, dell’effetto. Doverosa una nota di plauso per chi ha disegnato, ingegnerizzato e realizzato un allestimento di straordinaria difficoltà per caratteristiche, tempi, localizzazione. Poca la tecnologia multimediale, come del resto ci si poteva aspettare in una rassegna che presenta il ruolo dei mestieri d’arte nella vita.

Da notare la sala delle fotografie, dedicata all’Inheritance/Patrimonio, che ricostituisce un caleidoscopio d’immagini dedicate alle famiglie artigiane sullo sfondo delle foto storiche della Fondazione. Non mancano i pezzi di bravura che si traducono in pareti specchiate a losanghe – notevole per dimensione e precisione quella che rispecchia il labirinto di Borges all’ingresso – basamenti e tavoli sempre in specchio, fino a quello monumentale realizzato per la sala del Cenacolo già citata, un trionfo di ebanisteria su superfici curve dove l’immenso piano specchiato è sostenuto da una spina sinusoidale che merita l’esame chinati sul pavimento.

Il gran finale di Afterlife/Aldilà è affidato ad un espositore a ziggurat dalle scansie delicatamente rivestite in foglia d’oro. All’horror vacui del tutto rivestito, ai sostegni, ai supporti e alle vetrine iper-disegnati, fa riscontro una densità dei pezzi esposti che fa diventare impegnativa e anche un poco faticosa dal punto di vista visivo la visita che, per fortuna, trova momenti di pausa nei passaggi fra i giardini e gli spazi aperti che la Fondazione riserva al suo interno.

È stata menzionata Bo Bardi, di gran moda quest’anno in laguna – si veda la sala alle Corderie dell’Arsenale della presente Biennale d’Arte – che non manca d’ispirare gli elementi della segnaletica e alcuni espositori. Ma se alla Biennale la citazione degli espositori concepiti per il Museo di San Paolo del Brasile era letterale (e si potrebbe discutere sulla pratica della riproposizione di una soluzione estrapolandola dal tempo e dal luogo per i quali era nata) qui vengono, per così dire, rivisitati, riproposti in una chiave che sembrerebbe resa contemporanea grazie all’uso di cristalli specchiati e basamenti in conglomerato cementizio a grana grossa, perfettamente lisciato e con un fronte che insegue una sinusoide che li rende, indubbiamente, molto glamour e forse un ricordo del tremolio della luce nei canali.

Il tone of voices elegante si ritrova nell’immagine grafica, concepita da Nigel Peake, che scompone i colori alla Scarpa in delicati frammenti che sembrano galleggiare sulle acque della laguna.

Tornando al vero oggetto dell’evento, i pezzi unici della maestria artigiana meritano un puntuale raccoglimento per riuscire ad entrare negli innumerevoli mondi che rappresentano con risultati ineguagliabili.

Altro viaggio nel viaggio è quello proposto alla scoperta di Homo Faber in città, parte urbana della rassegna che permette la visita di 70 botteghe della Serenissima, ritrovando luoghi incantati come, ad esempio, la fabbrica Fortuny alla Giudecca. Una ricchezza che richiederebbe più di un giorno per essere colta appieno.

 

Immagine di copertina: Homo Faber 2024, Fondazione Giorgio Cini, la sezione Celebration/Celebrazione all’interno del Cenacolo palladiano (foto di Alessandro Colombo e Paola Garbuglio)

Autore

  • Alessandro Colombo e Paola Garbuglio

    ALESSANDRO COLOMBO nasce a Milano. Dopo gli studi classici e musicali si laurea in architettura al Politecnico di Milano nel 1987 con Marco Zanuso. Nel 1989 inizia il sodalizio con Pierluigi Cerri presso la Gregotti Associati. Con Bruno Morassutti partecipa a concorsi internazionali di architettura. Nel 1996 cura, con Pierluigi Cerri, il disegno di Palazzo Marino alla Scala a Milano per Trussardi e nel 1998 il progetto degli spazi pubblici e delle strutture di Expo ‘98 a Lisbona. È socio fondatore di Studio Cerri & Associati e di Studio Cerri Associati Engineering. Nel 2004 vince il concorso internazionale per la Villa Reale di Monza e il compasso d’oro con Naòs System, Unifor. È docente a contratto presso il Politecnico di Milano e presso il Master in Exhibition Design IDEA, di cui è membro del board. Su incarico del Politecnico di Milano cura il progetto per il Coffee Cluster, Expo 2015 Milano. PAOLA GARBUGLIO nasce a Milano. Completati gli studi classici si laurea in architettura al Politecnico di Milano sotto la guida di Marco Zanuso. Nel 1989 incomincia una collaborazione di dieci anni con la Gregotti Associati. Nel 1990, con Alessandro Colombo, vince il Major of Osaka City Prize indetto dalla Japan Design Foundation di Osaka con il progetto Terra: Instructions for Use. Nel 1994 conosce il maestro Gino Cosentino di cui diviene allieva ed amica e con il quale lavorerà fino al 2006 anno della sua morte. Nel 1999 fonda con Alessandro Colombo lo studio Terra, luogo d’incontro di arte, grafica, design e architettura. La sua produzione artistica degli ultimi anni comprende alcune centinaia di opere.

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Last modified: 4 Settembre 2024