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Sergio PaceWritten by: Reviews

Sinagoghe e cimiteri ebraici, case di vita

Sinagoghe e cimiteri ebraici, case di vita

A Ferrara, una mostra al Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah che comunica oltre i confini disciplinari

 

FERRARA. Due luoghi comuni spesso si ascoltano, quando si discute di esposizioni a tema architettonico. Da un lato, sarebbe impossibile allestire una mostra in uno spazio che non sia quanto meno aulico; dall’altro, sarebbe impossibile concepire una mostra d’architettura che possa interessare anche chi non è addetto ai lavori. Da Ferrara arriva una dimostrazione della verità del contrario.

Con “Case di vita. Sinagoghe e cimiteri in Italia”, i curatori Andrea Morpurgo e Amedeo Spagnoletto sono riusciti a raccogliere un’impressionante sequenza di disegni, dipinti, fotografie, oggetti e filmati, attraenti per qualunque tipo di visitatore; dal canto suo, nonostante materiali tanto numerosi ed eterogenei, negli spazi difficili del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, Giovanni Damiani è riuscito a realizzare un allestimento di limpida chiarezza.

La visita è un’occasione da non perdere. Il patrimonio architettonico e documentario conservato soprattutto dalle comunità ebraiche è rilevantissimo, mentre altre tracce importanti affiorano dalle collezioni archivistiche e museali di tutt’Europa. Provare a comprendere le ragioni della varietà e complessità di tali materiali è stato il primo obiettivo dei curatori, per costruire una narrazione unitaria di fenomeni che spesso sono il riflesso di realtà locali diversissime tra loro.

Così, essenziale diventa la distinzione tra case dei vivi e case dei morti, una storia parallela dialogante – nella definizione di Morpurgo – cui è consacrata la mostra fin dal titolo. La comunità in preghiera, all’interno della sinagoga, riflette una relazione con il mondo ultraterreno che continua quando sono i morti a sollecitare il ricordo di chi è rimasto in vita, attraverso simboli e parole incise nella pietra dei cimiteri. Nella lettura dei curatori, queste sono due facce della stessa medaglia, attraverso cui si possono leggere dinamiche parallele, messe in atto spesso dagli stessi attori, ma con esisti spaziali e architettonici diversi.

 

L’evoluzione delle sinagoghe

Attraverso le stanze al piano terra del museo, il percorso si snoda seguendo un ordine per lo più cronologico. Le sinagoghe di Ostia antica e Bova Marina aprono la sequenza, che prosegue attraverso le testimonianze di esempi medievali e della prima età moderna, tra cui spicca la pagina miniata di un machazor d’area emiliano-romagnola del XV secolo, dove si vede una grande sala di preghiera. La stagione dei serragli degli ebrei, aperta dal ghetto di Venezia nel 1516, è testimoniata soprattutto da capolavori realizzati tra Sei e Settecento, quando le sinagoghe fioriscono in termini soprattutto decorativi: il disegno della sinagoga vecchia di Livorno, eseguito da Moise del Conte nel 1791, racconta la contaminazione tra immaginari figurativi ebraici e cristiani, frequenti in età tardobarocca, laddove la raffigurazione della romana Piazza delle cinque scole, acquerellata da Giacomo Lenghi nel 1832, descrive la sovrapposizione di modelli tipologici che appartengono alla città storica, in senso lato. Questa lunga fase è conclusa da un pezzo straordinario, l’Aron ha-Quodesh proveniente dalla sinagoga di Vercelli, in legno riccamente intagliato e dipinto, sintesi di culture materiali e artistiche nel Piemonte del XVII secolo.

A questo punto, la svolta emancipatoria: anche agli ebrei è garantita la libertà di culto, prima nel Piemonte carloalbertino, poi nel Regno d’Italia che eredita lo Statuto. Le sinagoghe cessano di essere soltanto interni riccamente decorati, per acquistare visibilità nel tessuto urbano, anche grazie all’iniziativa di promotori, benefattori e filantropi che dedicano notevoli risorse culturali ed economiche a queste imprese. In mostra sfilano gli esempi più illustri, talvolta celebri: a Torino, innanzitutto, dove la Mole antonelliana è finalmente ricondotta alla sua vera origine progettuale, ma poi a Milano, Firenze, Roma e in molti altri centri minori, il tempio ebraico diviene un’architettura non caratterizzata da un linguaggio codificato, ma chiaramente visibile nel paesaggio urbano. I disegni si fanno grandi, espliciti, progettuali poiché frutto di una cultura dove le appartenenze religiose spesso passano in secondo piano, per contribuire a un progetto di Italia unita dove le differenze sfumano, nelle città così come nei loro abitanti.

Significativa, da questo punto di vista, è la sezione dedicata alle inaugurazioni dei nuovi templi, vere e proprie celebrazioni laiche, dove con facilità si sovrappongono identità comunitarie, politiche e nazionali. Al termine della prima e più consistente sezione della mostra si trova una serie di documenti relativi alle (ri)costruzioni di sinagoghe all’indomani della Shoah, quando il dibattito interno alle comunità è ricondotto nell’alveo della più ampia ed eterogenea cultura del moderno.

Emblema di una commovente stratificazione plurisecolare, chiude questa parte del percorso la sinagoga di Bologna, insediata dal 1868 in una casa privata, ristrutturata nel 1874-77, ridisegnata da Attilio Muggia nel 1915-28, rasa al suolo da un bombardamento del 1943, ricostruita su un progetto di Guido Muggia completato nel 1953 e arricchita dal Tempio piccolo, ricavato nell’interrato su progetto di Bet Architetti nel 2008-17.

 

Cimiteri e sepolture nella seconda parte

Aperta dal “Funerale ebraico” di Alessandro Magnasco (1720), ha inizio la seconda parte del percorso, dedicato a cimiteri e sepolture. Come un nastro che si riavvolge raccontando la stessa storia da un altro punto di vista, il visitatore può rendersi conto delle modalità con cui le comunità ebraiche italiane hanno costruito gli spazi per la memoria dei propri defunti, fin dall’antichità romana riletta attraverso catacombe più o meno note, come quella di Venosa in Basilicata. Anche per la minor disponibilità di materiali documentari, i curatori si sono concentrati su riti, cerimonie e testimonianze indirette delle pratiche cimiteriali. Uno spazio rilevante occupano, quindi, gli emblemi di famiglia – magnifico il manoscritto novecentesco di Pietro Righetti su Armi e insegne degli ebrei emigrati in Italia, proveniente da Torino -, che consentono di dare un nome a tombe e lapidi spesso vittime del tempo.

Anche nel caso dei cimiteri, l’emancipazione vede l’apparizione sulla scena urbana delle comunità ebraiche, talvolta in modo inatteso: nuovi spazi devono essere ricavati all’interno di recinti cimiteriali esistenti, dando luogo a conflitti e incongruenze, mentre funerali e cerimonie, sempre più omologate alle tradizioni cristiane, attraggono l’attenzione di cittadini talvolta infastiditi, talvolta solo incuriositi dalla novità.

 

Il catalogo, riferimento per studi futuri

Ricchissimo, con quattordici saggi, dotti quanto di lettura agile e ben illustrati, che esplorano gli spunti provenienti dai materiali in mostra, splendidamente riprodotti e descritti in 86 schede. Anche grazie al volume, “Case di vita” appare come un’occasione destinata a diventare non soltanto il riferimento per molti lavori futuri sul tema, ma anche un termine di paragone per ragionare della possibilità di mettere in scena l’architettura e i suoi abitanti, magari attraverso materiali sofisticati, riuscendo a comunicarne valori artistici e culturali in modo diretto e mai banale.

Immagine di copertina: © Luca Gavagna

 

“Case di vita. Sinagoghe e cimiteri in Italia”
20 aprile -17 settembre 2023
Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (Via Piangipane 81, Ferrara)
a cura di: Andrea Morpurgo e Amedeo Spagnoletto
Catalogo Sagep Editori, Genova, 2023
meis.museum/mostre/case-di-vita

Autore

  • Sergio Pace

    Professore ordinario di Storia dell'architettura presso il Politecnico di Torino, dove è anche referente del Rettore per Biblioteche e archivi storici. Ha lavorato e pubblicato principalmente sull'architettura europea e la città del XIX secolo, così come sull'architettura industriale e la ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale, con particolare attenzione all’opera di Carlo Mollino. Negli ultimi anni si è dedicato alle culture architettoniche dell’eclettismo europeo e alla città di Nizza, tra la tarda età moderna e la prima età contemporanea

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Last modified: 3 Maggio 2023