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Written by: Patrimonio

Piranesi Prix de Rome at Athens, un nuovo concorso per l’Acropoli

Piranesi Prix de Rome at Athens, un nuovo concorso per l’Acropoli

Gli interventi di un secolo e mezzo all’Acropoli di Atene e lo stato dell’arte sul rapporto tra architettura e archeologia

 

Nel quadro dell’architettura per l’archeologia, il cantiere di restauro dell’Acropoli di Atene è un riferimento eccezionale, che s’intreccia alla storia e all’evoluzione della disciplina stessa, costituendo tuttora un terreno di discussione e confronto tra posizioni e indirizzi divergenti. I progetti di restauro e sistemazione che hanno interessato l’area si sono articolati nell’arco di un secolo e mezzo, in una progressione che ancora non si è esaurita.

 

Il disegno della rovina

In un equilibrio difficile tra conservazione e innovazione, sia in termini di materiali e di linguaggi impiegati, sia di modalità di fruizione, gli interventi sull’area degli ultimi decenni – spesso dettati da condizioni contingenti di necessità, se non di emergenza – in qualche modo hanno confermato quell’immagine esito del disegno della rovina impresso dal restauro di Nikolaos Balànos tra 1895 e 1940. L’intervento – criticato dalla comunità accademica e professionale attuale per via dell’impiego di elementi costruttivi in ferro e in cemento armato rivelatisi col tempo invasivi e dannosi e sostituiti con le operazioni di “de restauro” negli anni ottanta – è stato in grado, infatti, di ricostituire la percezione unitaria dell’Acropoli, consentendone, nuovamente, la lettura; mediante estese operazioni di ricostruzione per anastilosi, il progetto di Balànos (ingegnere-architetto greco formatosi presso l’École nationale des ponts et chaussées di Parigi) si è configurato come il risultato del non scontato rapporto tra rovina, integrazioni e riconoscibilità tipologica del monumento, consegnandoci il “fermo immagine” che da quel momento ha identificato l’Acropoli e su cui un articolato gruppo di architetti, ingegneri, chimici e restauratori sono ancora chiamati a intervenire.

Attualmente, infatti, sono in corso i progetti, diretti da Manolis Korres, riguardanti la ricostruzione della cella del Partenone fino al sesto filare di blocchi e di ricomposizione delle opere di “de restauro” del frontone ovest verso i Propilei. Rispetto al disegno di Balànos, il progetto di Korres risulta meno articolato, meno “rovina”, con il taglio lineare della cella al sesto filare che appare troppo netto, artificioso e in contrasto con l’immagine del tempio acquisita nel ventesimo secolo, cioè quello di una rovina disegnata e dai profili controllati.

 

I percorsi della discordia

Nel giugno 2021, Korres ha diretto anche il controverso progetto di un sistema di percorsi pedonali, in battuto di cemento reversibile, snodato all’interno dell’Acropoli, per facilitare l’accessibilità e la circolazione ai visitatori. E mentre una petizione firmata da più di 3.500 persone tra cittadini ed esponenti della comunità scientifica ne richiedeva invano lo smantellamento, poco dopo la realizzazione dell’intervento, sempre nel giugno scorso altre passerelle venivano calcate dalle modelle di Christian Dior per una sfilata allo Stadio Panatenaico innescando ulteriori discussioni.

 

Concorsi e ricorsi

A giugno 2022 sarà invece bandita la “Call Internazionale di progettazione per la riqualificazione dell’Acropoli di Atene”, promossa e organizzata dall’Accademia Adrianea di Architettura e Archeologia di Roma nel quadro del Piranesi Prix de Rome at Athens. Il concorso ha l’obiettivo di stimolare nella comunità internazionale degli architetti una riflessione articolata rispetto ad alcune linee guida: la riqualificazione del plateau dell’Acropoli e dei fronti nord e sud-ovest del Peripatos, nonché il ripensamento delle connessioni fisiche e percettive tra la Rocca e le altre aree sensibili presenti all’interno del perimetro della buffer zone Unesco (Areopago, Pnice, Filopappo, Agorà Antica).

L’ultimo concorso importante riferito all’area è stato bandito nel 2001 e ha avuto come esito il progetto del Museo dell’Acropoli di Bernard Tschumi e Michalis Photiadis, inaugurato nel 2009 poco distante dalle pendici del sito archeologico, nel quartiere di Makriyannis. Dieci anni dopo, il museo è stato oggetto di un intervento ulteriore, che ha previsto la realizzazione di passerelle metalliche nello spazio compreso tra suolo archeologico e intradosso del piano di accesso, per consentire un percorso a distanza ravvicinata tra i frammenti della città antica su cui l’edificio insiste, databili tra il IV e il VII secolo.

A vent’anni di distanza, il sito dell’Acropoli continua, quindi, a configurarsi come straordinario tema progettuale: un laboratorio a scala internazionale in cui mettere alla prova strumenti, metodi e competenze.

Naturalmente restano ancora in sospeso alcuni temi oggetto di approfondita discussione da quasi due secoli, cioè da quando il senso per l’archeologia e il culto dell’antico si associa all’identità culturale e architettonica dei luoghi. Si pensi, per esempio, alla lunga querelle tra il governo greco e quello britannico riguardante una parte rilevante degli elementi scultorei del Partenone, rimossi nel 1801 dal diplomatico britannico Lord Elgin e venduti al British Museum, nel quale sono tuttora esposti. La richiesta da parte del Governo greco di restituire questi frammenti continua insistentemente dai tempi dell’indipendenza nazionale ed è stata recentemente supportata anche in sede Unesco, che attraverso il Comitato intergovernativo per la promozione della restituzione dei beni culturali, lo scorso ottobre 2021 ha sollecitato il museo di Londra ad assecondare le richieste della Grecia.

 

Immagine di copertina: © Yannis Kolesidis

 

L’archeologia per l’architettura: indirizzi e cantieri significativi

Il tema della riqualificazione e valorizzazione dell’antico cuce insieme le competenze di architetti e archeologi, ed è centrale nel dibattito contemporaneo, segnato da un numero sempre crescente di visitatori.

Nel secolo e mezzo di sperimentazioni che hanno coinvolto gli architetti impegnati a intervenire su questi luoghi sono state tentate diverse strade: quella ricostruttiva mediante anastilosi pura, cioè operata su monumenti antichi realizzati in blocchi di pietra e senza leganti, come i monumenti dell’Acropoli di cui sopra, il teatro di Sabratha in Libia, il Traianeum a Pergamo; quella ricostruttiva per anastilosi estesa anche ai monumenti realizzati in opera mista o laterizio con leganti, come per esempio il campanile di Venezia, il ponte di Castelvecchio e il ponte Pietra a Verona, l’abbazia di Montecassino, ma anche il tempio della Triade Capitolina nel Foro di Brixia Antica; quella riabilitativa mediante “anastilosi tipologica” come nel caso del teatro romano di Sagunto; quella della trasformazione mediante “innesto” di parti figurativamente nuove in un contesto di rovina; quella di protezione mediante copertura d’interi comparti di scavo e relativa musealizzazione; quella della conservazione pura, guidata da obiettivi di consolidamento e accessibilità.

Fornire gli strumenti per la lettura dei siti archeologici, palinsesti composti da frammenti e tracce, e far comprendere anche a un’utenza allargata la stratificazione della storia raccontata dagli elementi affiorati nel corso degli scavi, è una delle sfide a cui è chiamato l’architetto museografo in dialogo con l’archeologo.

I confini e gli ambiti della disciplina dell’architettura (e della museografia) per l’archeologia sono stati tracciati in itinere, attraverso diverse e significative esperienze progettuali che, da inizio Ottocento, con il consolidamento emergenziale del Colosseo di Raffaele Stern (1806) arrivano ai cantieri dei giorni nostri, passando per alcuni interventi anche molto discussi ma paradigmatici come il citato teatro romano di Sagunto riabilitato da Giorgio Grassi (1993). Si tratta di una vera e propria area della progettazione, un insieme di saperi che si discosta dalla conservazione pura e intende le operazioni di restauro come pratiche progettuali tout court, che hanno per oggetto un edificio antico.

La pratica architettonica diventa, quindi, il medium per veicolare il significato antico del sito archeologico, ma al contempo produce consapevolmente un nuovo tassello da inserire all’interno di una storia di lunga durata.

Tra gli attuali indirizzi disciplinari, riscontrabili anche in alcuni esiti progettuali particolarmente significativi degli ultimi decenni (dal Circo romano di Tarragona di Andrea Bruno realizzato nel 1994, alla nuova passerella dei Mercati Traianei a Roma di Nemesi Studio del 2003, dall’allestimento del Neues Museum di Berlino di Michele De Lucchi del 2009, all’allestimento permanente delle Terme di Caracalla di Fabio Fornasari del 2013), vi sono l’attenzione al visitatore reso soggetto attivo di conoscenza e portatore di capacità immaginative da stimolare a partire da frammenti ed evidenze materiali; la continua riflessione sul rapporto tra il sito archeologico, la realtà contemporanea e le domande culturali che quest’ultima pone alle testimonianze del passato; l’inclusione, nella lettura della complessità di stratificazioni, di aspetti ambientali, antropologici e paesaggistici sedimentati nelle aree archeologiche (specificità che le pratiche di colonizzazione dei contesti culturali altri, connotati dal trasferimento ed esposizione dei reperti in contesti museali e culturali estranei al sito di origine, avevano azzerato), che costituiscono una tendenza in via di consolidamento.

Il Piranesi Prix de Rome

Premio internazionale di architettura per l’archeologia, organizzato dall’Accademia Adrianea di architettura e archeologia di Roma, che si declina in due concorsi di architettura: “universitario”, per studenti di architettura, design e beni culturali (dal 2003) e “per professionisti” (dal 2010). L’iniziativa ha rivestito negli anni un ruolo rilevante all’interno del dibattito sul progetto di architettura per il patrimonio archeologico, alimentando l’interesse della comunità scientifica e professionale verso questo tema e stimolando la produzione di progetti di qualità, diventati punti di riferimento per lo sviluppo della disciplina. Tra le grandi firme che vi hanno partecipato: Rafael Moneo e João Luís Carrilho da Graça, vincitori del premio nel 2010, Nieto Sobejano e Guido Canali nel 2011, David Chipperfield e Peter Eisenman rispettivamente nel 2012 e nel 2013, Josè Ignacio Linazasoro e Gonçalo Byrne in ex aequo con Tortelli e Frassoni Architetti Associati nell’edizione 2014; Yoshio Taniguchi, Eduardo Souto de Moura, Alberto Campo Baeza, Francesco Venezia, Benedetta Tagliabue – EMBT, Franco Purini e Paolo Portoghesi sono i premiati e vincitori dal 2016 al 2022.

 

Autore

  • Francesca Favaro e Pier Federico Caliari

    Francesca Favaro è laureata in architettura, è dottoranda presso il Politecnico di Torino in “Architettura. Storia e Progetto”, dove studia l’architettura e la professione di architetto nel Settecento. È interessata ai temi connessi alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio architettonico e artistico. Pier Federico Caliari è architetto e professore ordinario presso il Politecnico di Torino. Dal 1993 studia il rapporto progettuale tra architettura e archeologia. Nel 2003 è tra i fondatori del Piranesi Prix de Rome. È presidente dell’Accademia Adrianea di Architettura e Archeologia di Roma. Ha realizzato progetti per incarichi pubblici di architettura e di museografia. Tra questi, il Museo Profano presso i Musei Vaticani, i Musei Civici di Monza, il Museo del ciclismo del Ghisallo a Magreglio (CO) e il MUST di Vimercate (MI), con il quale ha vinto il premio ICOM Italia per il miglior allestimento museale italiano del 2011. È autore di diverse monografie; tra le altre, “Tractatus Logico Sintattico. La forma trasparente di Villa Adriana” (2012) e “Architettura per l’Archeologia. Museografia e Allestimento” (2014; con Luca Basso Peressut).

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Last modified: 14 Aprile 2022