Quasi concluso a San Vito d’Altivole l’intervento che mantiene vivo il legame con Carlo Scarpa attraverso professionisti e artigiani
SAN VITO D’ALTIVOLE (TV). Il memoriale Brion domina il piccolo cimitero occupandone una generosa porzione. Dopo alcuni lavori spot poco ortodossi, a distanza di 43 anni ritorna all’aspetto originario grazie all’intervento conservativo commissionato da Ennio Brion (con un impegno economico di circa 1 milione) all’architetto Guido Pietropoli, allievo e storico collaboratore di Carlo Scarpa.
Allievi del maestro e maestri artigiani
Una serie di operazioni, la cui conclusione è prevista a fine 2021 con la sistemazione delle aree verdi (il prato, le essenze arboree, i fiori), che sono state condotte in collaborazione con una squadra di consulenti (Paolo Faccio e Greta Bruschi dell’Università IUAV) e un’ATI di tre imprese e di alcuni artigiani storici come i fratelli Paolo e Francesco Zanon, la falegnameria Capovilla e il Laboratorio Morseletto, che avevano lavorato alla realizzazione dell’opera.
Lo Studio Pietropoli (Guido e Martino Pietropoli) si è basato su una minuziosa consultazione degli archivi dei disegni originali, che tra l’altro hanno messo in luce come gli approcci preliminari di Scarpa abbiano riguardato solo le sepolture dei coniugi Brion e non tutta l’area di 2.500 mq. Un’indagine che ha ripercorso tutte le fasi dall’ideazione preliminare alla progettazione esecutiva fino al cantiere, e ha consentito di intervenire solo sulle parti ammalorate, con soluzioni tali da preservare il manufatto senza intaccarne la composizione materica originaria.
Origano e gusci di noce…
Gli interventi di consolidamento e ripristino attuati, che hanno sopperito alle saltuarie manutenzioni degli anni passati e a interventi inadeguati, hanno riguardato principalmente: il cassone di tavole larice del padiglione sull’acqua che non aveva potuto assumere la caratteristica ossidazione grigio/argento a causa di un’improvvida verniciatura color marrone; i manufatti in calcestruzzo armato (circa 600 mq), i cui ferri d’armatura si trovavano a pochi millimetri dalla superficie esterna o erano addirittura affioranti; gli intonaci di calce sulle pareti in cemento; i mosaici e la cupola lignea della chiesetta.
In totale tre anni di lavori con il seguente programma: per prime le parti in legno e metallo; poi gli interventi sulle opere in cemento armato preceduti da un anno di test e campionature sul muro a levante – come da accordi con la Soprintendenza – le cui superfici sono state trattate con biocidi ecologici a base di origano – data la presenza di colture biologiche attorno all’area del cimitero – e micro sabbiature con gusci di noce per conservare l’impronta delle casseforme; infine i lavori sulle aree verdi (il prato, le essenze arboree, i fiori ecc.) che nel tempo si sono abbassate di 15 cm rispetto al livello originario a causa del dilavamento del terreno negli strati di ghiaione sottostanti.
Le parti in metallo sono state oggetto di interventi puntuali dell’officina dei fratelli Paolo e Francesco Zanon: contorni in trafilato di Muntz Metal (profili d’uscita del corridoio dei propilei, doppio profilo dei due anelli incrociati ecc.), cerniere sostituite con cuscinetti reggispinta in acciaio inox, pezzi speciali in fusione del padiglione sull’acqua. Le carpenterie non a vista sono state sostituite con metalli non ossidabili, mentre le altre parti sono state smontate, ripulite o trattate con nuove dorature come l’incavo dei terminali inferiori e superiori delle teste in Muntz Metal dei 4+4 spezzoni delle colonne del padiglione sull’acqua.
Il padiglione sull’acqua
È il manufatto che ha subito l’intervento più complesso e radicale, sia in ragione dell’offuscamento della texture delle facciate (doghe verticali e orizzontali di larice intervallate da stecche in ebano massiccio) per lo strato di vernice marrone, sia per la marcescenza di numerose tavole per l’acqua stagnante nell’incastro inferiore.
La falegnameria Capovilla ha provveduto allo smontaggio del cassone in legno di larice (circa 600 pezzi), dei velari in compensato marino color verde e del trasporto nel laboratorio di Venezia per la pulitura, il recupero e/o la sostituzione parziale delle doghe con altre in larice russo previo trattamento contro gli insetti in camera di ammoniaca. Un anno e mezzo di lavoro per la ricostruzione del cassone che ora, grazie all’ossidazione naturale, è ritornato alla colorazione grigio argento.
Manutenzione continua
Alla fine di questa prima fase di lavori è iniziato il restauro puntuale delle parti in cemento che, in ragione delle modanature a scaletta (modulo di 5,5 cm + multipli), presentavano affioramenti delle armature dovuti al loro posizionamento all’interno delle piccole sagome che non offrivano la possibilità di un ricoprimento adeguato. Nonostante le attenzioni messe in atto, le opere in cemento armato dovranno essere sottoposte a frequenti interventi scadenzati nel tempo per impedire il riformarsi delle ossidazioni.
La tecnica alternativa che poteva essere eseguita consisteva in un intervento di coating, ma ciò avrebbe vanificato la valorizzazione della tessitura delle casseforme in legno, come voluto da Scarpa, e le successive cure dei restauratori (Associazione temporanea d’imprese fra Cooperativa Edile Artigiana di Parma, Leonardo di Bologna e Seres di Martina Serafin di Venezia), che hanno provveduto alla pulitura delle incrostazioni chimiche/biologiche con micro sabbiature di finissimi inerti vegetali ricavati da gusci di noce tritati.
E ancora…
Il restauro dei mosaici (sandwich con retro in foglia d’oro o in pasta di colore) con opportuna sostituzione delle tessere; il reintegro delle parti ammalorate della cupola gradonata in legno di pero ed ebano della chiesa tramite smontaggio e rimontaggio; il rifacimento delle dorature delle parti in cemento (oro zecchino su bolo armeno sugli spigoli verticali, le croci, le parti decorative ecc.) che erano state erroneamente “rinnovate” con vernici alla nitro; la pulitura degli intonaci a calce su supporto in cemento con additivi naturali o il loro rifacimento (Calchera San Giorgio) su sottofondo in cocciopesto in quanto soggetti al gradiente di temperatura tra le due facce opposte.
Il tutto nel pieno rispetto per le tecniche costruttive adottate tradizionalmente nel Veneto, nonché per le soluzioni architettoniche e materiche tramandate da Scarpa.
Immagine di copertina: © Guido e Martino Pietropoli
Una storia anche disegnata
Per quello che è considerato il capolavoro di Carlo Scarpa, che morì in Giappone quand’essa era quasi giunta al termine (28 novembre 1978), è stato adottato un restauro conservativo tale da “riproporre in forma leggibile”, come sottolinea Guido Pietropoli coordinatore dei lavori, “la macchina poetica per l’elaborazione del lutto che forse è più opportuno chiamare memoriale Brion piuttosto che tomba in continuità con il significato che a essa attribuì Carlo Scarpa nella plaquette autografa Memoriae Causa del 1975”.
L’opera fu commissionata al maestro veneziano da Onorina Tommasin-Brion per onorare il marito Giuseppe – fondatore della Brionvega – e i familiari più stretti. Il memoriale Brion è un progetto che ha richiesto otto anni di lavori (1970-78) e un corpus di disegni di cui il nucleo maggiore (circa 2200) è conservato al MAXXI (Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo) di Roma, mentre altri si trovano al MAK di Vienna, al Victoria&Albert Museum di Londra (fondo Riba), al Museo di Castelvecchio a Verona e sparsi in fondi privati – tra cui quelli degli artigiani e delle imprese che lo realizzarono – per una stima complessiva di circa 2.500 unità. Grazie al ritrovamento dei disegni originali durante il recente restauro è stata ripristinata nella posizione originale la finestra a carabottino che era stata occultata negli anni ottanta.
Il complesso funebre che è strutturato a forma di “L ribaltata” presenta due ingressi di cui il principale si apre sui Propilei – che preannunciano alcuni temi scarpiani come le modanature scalettate – per raggiungere lo spazio con i due anelli intrecciati da cui si diramano due possibilità di percorso: a sinistra verso l’arcosolio con la sepoltura dei genitori e, in successione, l’edicola che ospita le tombe dei parenti e la chiesa della consolazione, luogo di condivisione del lutto con la comunità; a destra, attraverso un passaggio che si restringe e oltrepassando una porta di cristallo si accede al “padiglione della meditazione” sull’acqua.
A completamento e tutt’attorno c’è un inedito muro in cemento inclinato di 60° per il quale lo stesso Guido Pietropoli prende a riferimento la lettura che ne ha dato il violoncellista Mario Brunello di “un muro miracolosamente sospeso in uno stato di attesa” (Mario Brunello, Silenzio, Il Mulino editore, Bologna 2014, p. 92) per effetto dell’innalzamento di quota del terreno all’interno del Memoriale (+77 cm).