Oggi il designer deve lavorare sull’innovazione, prendersi rischi e anticipare le necessità del consumatore facendolo sorridere e sognare
Giulio Cappellini non ha bisogno di presentazioni. Nella Giornata mondiale del Disegno industriale (29 giugno) ospitiamo il suo contributo per la rubrica “Professione designer”. Superare le accelerazioni del momento e prendersi una pausa dalla creazione isterica di oggetti inutili sono i suoi primi consigli per tornare a fare del buon design. Insieme ad una buona dose di coraggio e di umiltà, con mani che tornano a sporcarsi.
Partiamo da questa sua citazione: “Ciò che si è appena pensato è già obsoleto”. Sembra che al designer non sia più concesso pensare e, se pensa troppo, è già fuori tempo, in termini di sviluppo e competizione. Ritiene possibile conservare l’integrità della professione se si è condannati a fare tutto bene e subito?
Tutto bene e subito non è certo un paradigma di facile applicazione: tutto bene ha i suoi tempi, tutto subito non può essere sinonimo di qualità. Ogni anno durante la settimana del design vediamo trentamila nuovi prodotti, di cui molti non entreranno mai nel mercato. Dopo poco tempo nella nostra memoria, se tutto va bene, restano poche decine di oggetti… Fare progetto, quello vero, è una cosa seria che supera le folli accelerazioni del momento. Dobbiamo tornare a fare prodotti belli e utili come alle origini del design contemporaneo e non oggetti “carini” e di maniera, certamente non destinati a durare nel tempo. Essere designer integri e consapevoli significa fare progetti coerenti e sostenibili, anche se spesso difendibili solo con molto coraggio. Del resto non è casuale che sempre più ci stiamo dimenticando dei progetti “bene e subito” e stiamo guardando con crescente curiosità e ammirazione ai prodotti progenitori del design contemporaneo. Non è nostalgia, è riconoscere l’eccellenza dei veri pensieri. Prendiamoci una pausa dalla creazione isterica di oggetti spesso inutili.
Molti showroom si spopolano, altri sono destinati a chiudere. Gli oggetti si realizzano in auto-produzione e le tecniche di approccio al mercato si virtualizzano. Cosa resta, realmente, della cultura del progetto nella quale si è formata la sua generazione?
Sicuramente stiamo assistendo a un cambiamento epocale nella promozione e vendita dei prodotti di design. La recente pandemia ha solo accelerato un processo già in atto. La visione degli showroom, delle fiere, degli eventi è obsoleta e troppo legata a schemi del passato. Oggi il dialogo tra oggetto e consumatore deve essere dinamico, trasmettere delle sensazioni. Non abbiamo bisogno di acquistare nuovi prodotti, ma nuove idee. La virtualizzazione è innegabile ma non potrà mai sostituire integralmente l’esperienza reale di approccio ed eventuale acquisto del prodotto, se gestito in modo contemporaneo e coinvolgente.
La professione del designer secondo Giulio Cappellini. Parlando di prodotto, ritiene che la sua naturale evoluzione sia nel coordinamento visionario di team multidisciplinari (come profetizzano le global design company statunitensi), oppure nell’artigianato digitale che coglie, immagina e concretizza bisogni di singoli o gruppi ristretti di clienti?
A mio parere la professione del designer non deve perdere mai di vista tre cose: lavorare sempre sull’innovazione a tutto campo, saper prendere i propri rischi, saper precedere le nuove necessità del consumatore non solo creando oggetti utili e belli ma facendolo sorridere e sognare. Nessuna precisa analisi di mercato potrà mai sostituire la genialità del singolo e l’abilità di saper captare ogni segnale di cambiamento socio-culturale. Sicuramente, fare design oggi significa saper coordinare team che si occupano di discipline diverse; ma dobbiamo stare molto attenti a non appiattire troppo l’offerta di prodotto in base a schemi rigidi. L’oggetto eccezionale nasce solo dalla volontà d’innovare e prendersi dei rischi: solo così si diventa punti di riferimento. Gli altri seguono.
Se dovesse elencare tre elementi chiave che ritiene lacunosi, sfocati o del tutto assenti nella formazione attuale dei designer, a quali penserebbe?
Formare un designer non è facile oggi. Spesso manca una conoscenza approfondita della storia del design e di tutti i fenomeni socio-culturali connessi. Questo elemento è fondamentale perché non possiamo pensare di creare per il futuro se non conosciamo e traiamo ispirazione dal nostro passato. Altro elemento, oltre all’aspetto accademico, è lavorare sulla conoscenza dei materiali e delle tecniche produttive. Bisogna sporcarsi le mani, fare design non significa solo fare bei render in cui tutto appare perfetto e realizzabile. Inoltre, il rapporto con le aziende è fondamentale: entrare in contatto con la manifattura durante la carriera scolastica è un grande privilegio che accelera la conoscenza del mondo del lavoro.
Che tipo di contributo deve fornire chi collabora con le sue aziende? Quali sono i candidati ideali sui quali puntare nel 2021?
Ai designer con cui collaboro chiedo di entrare in perfetta sintonia con l’azienda. Questo è un processo spesso lento e non privo di difficoltà, ma è l’unico modo per arrivare a realizzare il prodotto giusto per l’azienda giusta. Il designer deve seguire con il team aziendale tutto il processo, dalla prima idea di progetto alla presentazione sul mercato. Spesso ciò richiede anni, ma i progetti più sofferti sono quelli che spesso danno maggiori soddisfazioni. I candidati ideali per le aziende che seguo sono persone umili, attente, con grande passione per il progetto e che amano confrontarsi con gli altri. Designer che arrivano anche da nuovi territori come l’Est Europa o il Far East. Insomma, persone pronte alla sfida!
Immgine di copertina: Giulio Cappellini invita i designer a prendere una pausa dalla creazione isterica di oggetti inutili. Lo abbiamo immaginato su uno dei suoi tavoli in un momento di relax creativo, a contemplare il progetto della lampada Melt Down (Illustrazione: © Ubaldo Spina 2021)
Chi è Giulio Cappellini
Nato a Milano nel 1954, nel 1979 si laurea in Architettura e, in seguito, frequenta la scuola di direzione aziendale all’Università Bocconi. Nel 1979 entra a far parte della Cappellini con il ruolo di art director e designer. In azienda collabora con diversi giovani designer provenienti da tutto il mondo e spesso da lui scoperti, realizzando una collezione di arredi presente nei principali musei internazionali di arte e design. Collabora inoltre come opinion leader alla redazione di diversi testi sulla storia del design. E’ inoltre art director di Ceramica Flaminia, azienda leader dell’arredobagno, IGV lift, azienda produttrice di ascensori di design, Icone Luce, produttrice di illuminazione, Olmar, produttrice di elementi sanificanti e riscaldanti e di Istituto Marangoni Design Campus. Ha realizzato i progetti degli showroom Cappellini nel mondo e di Flaminia, nonché la sede di Lifestyle Design a Dubai. Ha recentemente sviluppato una collezione di carte da parati per Or.Nami ed una collezione di pareti mobili per l’Invisibile. Insegna come visiting professor in diverse facoltà di design ed architettura nel mondo ed organizza mostre ed eventi tra cui il Temporary Museum for New Design al Superstudiopiù di Milano, Italian Hospitality a Singapore, I Made presso la Saatchi Gallery di Londra, Made in Italy a Mosca. Collabora inoltre come capo progetto su eventi speciali con brand del design, fashion e food.
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Last modified: 28 Giugno 2021