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Ferrara: l’ex teatro Verdi, un Laboratorio aperto

Ferrara: l’ex teatro Verdi, un Laboratorio aperto

Dopo un riuso temporaneo, visita al rinnovato spazio nel cuore storico del capoluogo estense, su progetto di Città della Cultura/Cultura della Città

 

FERRARA. Inaugurato il 15 novembre e ribattezzato Laboratorio aperto, l’ex teatro Verdi ha una storia travagliata. Situato a breve distanza dal centralissimo Castello estense, esso si colloca in un tessuto storico piuttosto denso, con uno degli accessi prospiciente l’omonima piazza, restituita anch’essa alla fruizione collettiva, con l’eliminazione del parcheggio a raso e il posizionamento di sedute e fioriere. Nato nel 1857 come teatro popolare, nelle forme di anfiteatro scoperto, subì diverse modifiche fino al 1913, quando (in occasione di un consistente intervento di rifacimento, che portò la capienza a duemila spettatori) venne inaugurato con la rappresentazione dell’Aida e dedicato a Giuseppe Verdi. Dopo un periodo di successi, dal secondo dopoguerra comincia il lento declino: diviene prima teatro di avanspettacolo e successivamente cinema a luci rosse, per spegnersi del tutto nel 1985, quando il sipario calerà sul palcoscenico per oltre tre decenni.

Nel 1999, questo edificio-quartiere viene acquistato dal Comune, che lancia l’idea di destinarlo ad auditorium e sede di un’orchestra di musica classica. Parte il cantiere che, tuttavia, si ferma di lì a poco, con le strutture lasciate al grezzo. A questa fase risale la rotazione dell’inserto razionalista in marmo su un angolo di piazza Verdi, posizionata non a squadro rispetto alla facciata del vecchio teatro, quasi a voler fondere i due spazi storici.

 

La riattivazione

Nel 2013 si fa strada, a partire da una tre giorni di mobilitazione guidata dagli architetti di Città della Cultura/Cultura della Città, l’idea di riprendere il recupero degli spazi. Intercettati i fondi a disposizione per la manutenzione ordinaria dei beni comunali, i progettisti ne aggiornano l’efficacia introducendo anche voci di allestimento per rendere immediatamente fruibile quello che sembrava un relitto urbano, una fabbrica culturale dismessa dalla “spazialità di per sè già eloquente”, come scrive Sergio Fortini – tra i promotori del riuso temporaneo.

Il resto è storia recente: dopo il coinvolgimento diretto dei cittadini attraverso una raccolta fondi on-line (primo caso di crowdfunding sulla rigenerazione urbana nella Regione Emilia Romagna), il Comune candida con successo il progetto ad un finanziamento europeo (fondi Por Fesr 2014-2020) per 3 milioni, ai quali si sono aggiunti un cofinanziamento dello stesso Comune per 750.000 euro e del raggruppamento temporaneo d’imprese (che ha anche contribuito in termini economici all’operazione), per la trasformazione dell’ex teatro destinandolo all’inclusione digitale, al coworking e alla mobilità sostenibile. Di prossima assegnazione, infatti, uno spazio bar con accluso deposito di biciclette, mezzo di trasporto simbolo della città.

 

Gli spazi

L’ex teatro consta sostanzialmente di tre zone: il foyer, la platea con le adiacenti balconate e la torre scenica. Il foyer si compone di una zona d’ingresso vera e propria, adibita attualmente a luogo per l’alfabetizzazione digitale, a spazi flessibili di semplice sosta e lettura, e – in sequenza – di un suggestivo spazio a doppia altezza con le scale che portano alla platea, sulla quale si staglia, con un’altezza libera di circa 20 m, l’imponente torre scenica. Il trattamento delle superfici è stato definito in maniera distinta: la torre scenica è stata lasciata al grezzo e potrà così ospitare una pluralità di situazioni artistiche; altrove si è preferito rivestire le murature esistenti in mattoni pieni con calcestruzzo a vista; altrove ancora, rivestire le superfici con l’intonaco, in particolare dove i fuori piombo erano consistenti. Ad illuminare di luce naturale la platea si trova un grande lucernario circolare, mentre un lucernario di dimensioni minori serve il foyer a doppia altezza.

 

Il cantiere

Le opere hanno riguardato in primo luogo lo sgombero e la pulizia dei locali, successivamente la razionalizzazione delle incongruenze presenti (in ambito strutturale e non), l’eliminazione delle barriere architettoniche, il ripristino delle facciate lasciate incompiute, l’impiantistica e la sicurezza antincendio. Nel corso dei lavori, sotto il livello della platea, sono state rinvenute preesistenze romane, mantenute e rese, al bisogno, accessibili. Sono stati utilizzati sapientemente i colori come contrappunto sia in alcune soluzioni murarie che negli arredi. La facciata su via Camaleonte, che presentava problematiche strutture verticali metalliche a vista, è stata ricoperta con accortezza da un telo retro-illuminante con impresso l’inconfondibile volto del maestro di Busseto.

Questo recupero, oltre a restituire uno spazio di cittadinanza, mostra l’efficacia di un metodo quando è condiviso a tutti i livelli. Anche sotto il profilo del progetto non è mancato il coraggio di sperimentare: la storia non è stata considerata un dogma; piuttosto, ha rappresentato il foglio sgualcito sul quale raccontare un futuro possibile con il linguaggio di oggi. Le vecchie colonnine di ghisa annegate nel calcestruzzo, i campi murari nudi, le nuove ringhiere esili e i pannelli forati, i tagli obliqui e i salti cromatici nascondono, forse, un principio di classicità nella misura in cui leggiamo il nuovo Verdi come un contenitore che deve adattarsi al suo contenuto di funzioni e tecnologie innovative per la città.

La gestione degli spazi, con un bando del 2018, è stata affidata per dieci anni ad una cordata d’imprese che fa capo alla Fondazione Giacomo Brodolini la quale, insieme a partner attivi nel privato e nel privato sociale, si occuperà di questo ritrovato spazio culturale «… trasformato in pochi anni da retro urbano a destinazione collettiva, da rovina piranesiana ad architettura contemporanea».

La carta d’identità del progetto 

committente e project management: Comune di Ferrara
progetto: Città della Cultura/Cultura della Città (Sergio Fortini, Luca Lanzoni, Elisa Uccellatori)
project team: Massimo Davi, Sergio Fortini, Federica Poggi, Elisa Uccellatori
strutture: Mezzadringegneria
impianti: Paolo Magri
illuminotecnica: iMartini
imprese di costruzione: Edilarva, Geocostruzioni, Rescazzimpresa
area di progetto: 3.000 mq
costo: 1,5 milioni

Autore

  • Paola Bianco e Domenico Mollura

    Paola Bianco: nata a Padova (1969) e laureata in Architettura a Venezia nel 1997. Nel 1998 ottiene un Master in Energy and Sustainable Development presso la De Montfort University di Leicester (UK). Nel 2000 è a Bruxelles per un periodo di stage alla Commissione Europea (DG Transport and Energy). Successivamente si trasferisce a Bologna, dove si occupa per alcuni anni di temi ambientali presso varie pubbliche amministrazioni. Dal 2004 si iscrive all’Ordine degli Architetti della Provincia di Bologna, presso il quale si impegna in diverse Commissioni. Nel 2006 apre il suo studio, dove si occupa prevalentemente di certificazione energetica, sicurezza nei cantieri e dove ospita periodicamente mostre legate a diverse forme d’arte (fotografia, scultura, fumetto, giardinaggio). Partecipa a concorsi di architettura e a bandi di pubbliche amministrazioni. Collabora dal 2008 con "Il Giornale dell’Architettura". Domenico Mollura: nato a Milazzo (Messina) e laureato in Architettura presso l’Università degli Studi di Palermo nel 2006. Dopo aver lavorato presso una società di ingegneria di Ravenna, esercita la professione in Sicilia, occupandosi anche di pubblicistica nel campo dell’architettura e dell’urbanistica. Dal 2009 collabora con «Il Giornale dell’Architettura»

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Last modified: 16 Novembre 2019