Ultima puntata del report, a cura di Maria Paola Repellino (China Room). Lo storico villaggio di Pantang dimostra come le pratiche di trasformazione dei tessuti consolidati funzionano solo se accompagnate da un progetto sociale
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Modelli di sviluppo urbano che per circa quarant’anni si sono basati su quello che viene chiamato in cinese wutong yipping (cinque collegamenti e un livellamento), dove crescita urbana e tabula rasa si sono spesso confuse, hanno segnato con forza prassi riversatesi sulla politica locale, sul mercato immobiliare e sull’industria della progettazione. Cambiare la rotta in pratiche dove è la qualità spaziale e la coesione sociale a fare la differenza, non attiene solo all’emergente ruolo di architetti visionari, ma altresì a processi elaborati ad hoc e supportati da politiche sperimentali.
È il caso della rigenerazione urbana in corso nello storico villaggio di Pantang, nel cuore della città di Guangzhou e, più precisamente, nel suo antico distretto di Liwan. L’obiettivo politico è rimettere al centro la cultura locale a dispetto di anni di demolizioni forzate perpetrate in nome della crescita, sperimentando inedite pratiche negoziali all’interno dei vigenti regolamenti urbani.
Nonostante Pantang sia uno dei 1.142 villaggi urbani di Guangzhou, luoghi contraddittori per eccellenza della crescita urbana cinese, esso è diventato dal 2016 il primo caso dell’applicazione della nuova politica di micro-trasformazioni volute dal governo centrale di Pechino. Il merito deriva dal fatto che la metropoli di Guangzhou è sempre stata pioniera attorno al tema del recupero del proprio passato: i regolamenti del 2009 denominati one village one policy e three oldies avevano già suggerito che preservazione potesse diventare sinonimo di processo negoziale tra la municipalità e le sue comunità locali.
Nel villaggio di Pantang la trasformazione si è costruita attraverso l’interazione tra l’attivismo della sua comunità locale, l’appoggio del distretto di Liwan e l’apertura alla sperimentazione di esperti esterni. Sotto il controllo dell’Urban Renewal Bureau del distretto, il villaggio ha costituito il Pantang Public Participation Committee affinché vi fosse un tavolo di lavoro permanente sulle priorità del villaggio, tanto sul tema della preservazione dei beni di carattere storico che nel riattivare la comunità locale. Un processo lungo e complicato nell’ottica dell’attuale stato del mercato della progettazione cinese, che ha richiesto la messa in campo di nuovi metodi d’indagine.
A supporto del processo lo studio Urban Elephant, affermatosi nel Sud della Cina per progetti di rigenerazione urbana e da tempo coinvolto a Pantang dall’Urban Renewal Bureau, ha dovuto agire secondo le modalità di una organizzazione non governativa. La decisione di assumere due community planners che per due anni si sono fatti carico d’intercettare le priorità del villaggio organizzando manifestazioni e incontri, è servita a sorpassare le prassi dei regolamenti urbani: l’obiettivo è stato di testare fin dove potesse arrivare l’avallo politico sulla micro-trasformazione prima ancora della definizione del progetto vero e proprio.
Partendo dai circa ottanta lotti attualmente di proprietà comunale, l’Urban Renewal Bureau insieme alla pubblica Guangzhou First Municipal Construction Company ha cominciato a mettere in sicurezza gli edifici più degradati dopo anni di abusivismo e incuria, così come ha cominciato a risistemare gli spazi pubblici. Allacciamenti fognari, ricoveri per biciclette, smistamento dei rifiuti, nuove pavimentazioni, riconfigurazione della mobilità pedonale e viaria, sono diventate azioni basate sull’inclusione sociale per rilanciare una progettualità diffusa. Pertanto si è voluta evitare la patrimonializzazione forzosa tesa a gentrificare la comunità locale, mentre l’obiettivo principale è stato quello di voler occupare fin da subito gli spazi recuperati con nuovi modelli imprenditoriali, dove l’antica arte del commercio ha incontrato l’era del mercato digitale. Le pratiche di negoziazione, inserite nel processo di trasformazione di Pantang, hanno di fatto reso evidente come si stia progressivamente affermando in Cina che non può esistere trasformazione nei tessuti storici e consolidati senza prima la costruzione di un progetto sociale.
Gli spazi sono così passati al servizio di strategie qualitative, non immediatamente misurabili con la stessa metrica del febbrile mercato immobiliare della metropoli, e le prassi hanno lasciato il campo alla sperimentazione di percorsi alternativi. Sollevare l’esigenza strategica d’imporre limiti superficiali ai singoli interventi affinché la scala della trasformazione rimanga nelle mani del progetto locale, appare come la costruzione di un argine culturale importante in questo primo rallentamento urbano cinese, volto ad interrogarsi su quale sia la costruzione identitaria possibile all’interno delle contraddizioni delle proprie grandi metropoli contemporanee.
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cina , cronache cinesi , rigenerazione urbana
Last modified: 28 Maggio 2019