Terza puntata del report, a cura di Maria Paola Repellino (China Room), sugli interventi nei tessuti consolidati delle metropoli asiatiche
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Nell’immaginario comune Shanghai è nota per il suo skyline di grattacieli che ne sottolinea il carattere di città globale in continua evoluzione, centro economico nevralgico della Cina – e dell’intera Asia – ma che di fatto risale solamente all’ultimo trentennio. Se la si osserva più da vicino, la città appare profondamente eterogenea, frutto di numerose stratificazioni culturali e spaziali che hanno portato ad un’interessante ibridazione di morfologie e tipologie.
Il contrasto insito tra la densità verticale delle torri recentemente edificate e il modello di città orizzontale che caratterizza i tradizionali lilong affascina da sempre progettisti e turisti. Proprio quest’ultimo tessuto – eredità del XX secolo, risultato dell’influenza europea sulla costruzione dei canoni urbani e architettonici di Shanghai – è sempre più al centro del dibattito sulle trasformazioni della città storica: se negli anni ’50 circa il 90% della superficie urbana era costituito da lilong, ricerche recenti mostrano che le operazioni che investono e ne ripensano gli spazi si sono intensificate a partire da metà anni ’90, trasformando 88 ettari ogni anno e arrivando a distruggerne circa il 55% tra il 1985 e il 2014.
Ciò che più affascina di questi luoghi è la loro somiglianza ad isole circoscritte e compatte al cui interno si conservano oggetti e pratiche estranei alla città circostante, che si rifanno ad un orizzonte temporale altro. Un limite netto, regolato da un ingresso architettonicamente dichiarato, separa i caotici spazi commerciali perimetrali da un abitare introverso e raccolto. La tensione non sembra essere contenuta dunque unicamente nella matericità e spazialità del luogo, ma anche nell’insieme di memorie e valori immateriali che vi si celano, in contrapposizione al sistema della città globale che li cinge e cresce a ritmi serrati.
Nonostante interventi di demolizione diffusa abbiano investito progressivamente numerosi lilong, a partire dagli anni ’90, il dibattito sulla conservazione assume un ruolo rilevante, divenendo una questione altamente politicizzata in una cornice di rapida evoluzione urbana. Il tessuto storico viene gradualmente riconosciuto come importante risorsa culturale ed economica per Shanghai, e una serie di decreti e regolamenti conducono ad un approccio alla salvaguardia del costruito alla macro-scala, che rispecchia la natura di isole sopra descritte, rendendo possibile l’intervento unitario sull’intero blocco e non alla micro-scala di edificio.
Attraverso un’osservazione sinottica di quanto è accaduto negli ultimi decenni, i progetti qui descritti mirano a mettere in luce due aspetti: da un lato, la garanzia di un’inviolabile sopravvivenza del tessuto urbano, altrimenti minacciato da investimenti e processi di demolizione; dall’altro, l’emergere di meccanismi legati a fenomeni di gentrificazione che snaturano la ragion d’essere e l’originale forma dell’abitare. Si propone quindi una lettura progressiva di strategie di conservazione per comprenderne la varietà e la complessità: a partire da atteggiamenti top-down che hanno cristallizzato e svuotato alcuni blocchi, ad altri innescati bottom-up, che tentano una valorizzazione non solo dell’involucro materiale ma anche del sostrato sociale. L’intervento attuato nel distretto di Xintiandi esemplifica una politica strategica gestita da investitori internazionali. Diversamente, i lilong di Tianzifang sono stati conservati grazie ad un interesse iniziale da parte di artisti insediatisi nell’area, sfociato in processi di gentrificazione da cui il distretto locale ha successivamente tratto vantaggio economico e turistico. Capella Jian Ye Li dello studio Kokai è invece un tentativo di protezione rispetto alle demolizioni circostanti, attraverso la reinterpretazione dell’abitare e la valorizzazione del tessuto esistente. Infine, Jérémy Cheval propone una sperimentazione minuta al fine di stimolare una nuova percezione dei lilong non solo da parte dei turisti o degli organi politici locali, ma anche degli abitanti stessi, facendone emergere la ricchezza, l’autenticità e la fragilità.
Xintiandi
Anno:
2002
Progettista: Benjamin T. Wood
Committente: Shui On Group + governo locale
Situata nella Concessione francese e nel cuore imprenditoriale di Shanghai, l’area di Xintiandi è stata aperta al pubblico nel 2002 dopo un intervento invasivo di rigenerazione, frutto della collaborazione tra Shui On Group (developer di Hong Kong) e il governo distrettuale locale. La tipologia residenziale denominata shikumen che caratterizza gran parte dei lilong d’inizio XX secolo, è qui oggetto di riqualificazione secondo una strategia di riuso adattivo con l’obiettivo d’inserire spazi commerciali elitari in un tessuto architettonico consolidato. Nonostante l’involucro non sia stato oggetto di demolizioni invasive, il cambiamento dell’originale funzione ha determinato la dislocazione dei residenti e una conseguente perdita dell’identità sociale e culturale. A sopravvivere è dunque la “pelle”, interessante nel suo essere oggetto di speculazione economico-turistica, ma inevitabilmente privata della sua autenticità.
Tianzifang
Anno:
1998
A fine anni ’90, al seguito della dislocazione di numerose industrie fuori del centro storico, l’area di lilong denominata Tianzifang risulta frammentata, svuotata in alcune sue parti di attività e residenti. Nonostante in questo periodo si decida di avviare un processo di rigenerazione speculativa, grazie alle iniziative bottom-up dell’emergente classe creativa, numerosi spazi vengono gradualmente adibiti a gallerie d’arte e botteghe. Comprese le potenzialità di tali meccanismi, i residenti iniziano ad investire denaro ed energie nella conversione informale degli edifici, trasformandoli da abitativi a commerciali; in questo modo è possibile da un lato conservarne la forma architettonica, ma dall’altro s’innescano inevitabilmente processi di gentrificazione ed erosione del tradizionale sostrato sociale. Il successivo intervento del governo locale ha regolamentato le trasformazioni mirando alla ricucitura dei concetti di “patrimonio” e “sviluppo”, determinando tuttavia un’accentuazione delle criticità legate al profondo cambiamento identitario dell’area.
Capella Jian Ye Li
Anno:
2007
Progettista: Kokaistudios
Committente: Portman Holdings
Un progetto di rigenerazione alla micro-scala urbana che mira a preservare in modo innovativo un tessuto di lilong di circa 8.000 mq, realizzato negli anni ’30 come complesso residenziale per 260 famiglie. Nel 2007 viene trasformato in un hotel ultra-lusso dal brand Capella, dove le originali unità abitative sono ripensate per diventare 55 suite villa su 5 piani, e 62 residenze di lusso, circoscritte da un perimetro di 4.000 mq di spazi commerciali. Se da un lato il progetto propone un intervento di qualità, modificando con ricercatezza la disposizione interna nel rispetto delle caratteristiche architettoniche dell’involucro, è altresì da considerare il quesito che i progettisti stessi si pongono: come può essere considerato il ruolo dell’architetto rispetto a tali meccanismi di “consunzione urbana” che investono la città, e quale il livello di compromesso a cui si deve tendere? Risulta possibile adottare una lettura critica in tal senso, con il fine ultimo di spingere ad una riformulazione delle politiche e dei regolamenti? In questo caso gli architetti – nella piena consapevolezza dei limiti dell’operazione – decidono tuttavia di non rinunciare alla proposta: se da un lato attualmente appare impossibile sottrarre tali tessuti alle leggi del mercato che plasmano simili dinamiche economiche e sociali, si può scegliere almeno di farlo nel miglior modo possibile dal punto di vista critico-spaziale, attingendo alla sapiente tradizione del dibattito sul restauro consolidatasi nel tempo nelle scuole di architettura italiane.
Siwenli
Anno:
2015
Progettista: Jérémy Cheval
Siwenli è il lilong più esteso di Shanghai, costruito nel 1921 e originariamente composto da 736 unità abitative. Nel 2010 una sua porzione occidentale viene demolita, e tre anni dopo quella orientale è investita da un processo di dislocazione dei residenti. Nel medesimo periodo l’architetto e ricercatore Jérémy Cheval si pone come figura promotrice di una crescente attenzione verso il patrimonio culturale e architettonico di Shanghai con l’intento di riproporre una relazione forte e attiva tra lo spazio dei lilong e i suoi abitanti. Dopo una prima fase di osservazione, il 17 ottobre 2015 Cheval coordina l’evento “Fireflies Gathering”, traducendo in azione temporanea ma concreta il proprio interesse per la memoria architettonica, sociale, letteraria ed estetica di Sinweli. 68 artisti, pittori, fotografi, ballerini, attori, poeti vengono chiamati ad interagire con il luogo e i residenti, suggerendo un nuovo modo di percepire i lilong che non si accontenta di rendere il tessuto storico “oggetto di consumo”, ma ne valorizza l’identità. Questo evento costituisce un’importante occasione di riflessione anche per gli organi del governo distrettuale incaricati della tutela del tessuto storico, che giungono alla decisione d’includere Siwenli tra le aree da preservare. Infine lo studio di architettura David Chipperfield Architects viene incaricato di realizzare un progetto di valorizzazione dei lilong, volto al rispetto dei residenti che ancora li abitano.
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cina , cronache cinesi , rigenerazione urbana
Last modified: 3 Luglio 2024