Un ricordo dell’architetto e docente napoletano, per oltre mezzo secolo protagonista schivo del dibattito italiano, con molti progetti rimasti sulla carta
NAPOLI. Nella sua città natale, si è spento la mattina del 25 settembre Salvatore Bisogni, architetto e docente di composizione architettonica, insignito nel 2008 dall’Accademia di San Luca del premio della Presidenza della Repubblica. Per più di cinquant’anni è stato un protagonista schivo del dibattito italiano sull’architettura che ha attraversato con un impegno sempre votato ai temi della città e dell’edilizia sociale, in ossequio ad una estrazione culturale positivista e marxista. Di lui Franco Purini, in un libro intervista con Laura Thermes (Clean, Napoli 1988), diceva: “Io lo ritengo un esemplare uomo di scuola in quanto tutta la sua vita mi sembra modellata sulla necessità di costruire non tanto una scienza, perché non credo che l’architettura sia una scienza, ma una coscienza delle difficoltà e delle risorse che il nostro mestiere ci presenta. Lui è uno dei miei principali paradigmi nell’arte esclusiva e solitaria dell’insegnare”.
Studioso già da studente, laureatosi nel 1965 con una tesi, pubblicata da Vittorio Gregotti su «Edilizia Moderna» (n.87-88, 1966), redatta insieme ad Agostino Renna, sul disegno urbano in relazione al territorio ed al paesaggio, Bisogni si è formato alla scuola di Ludovico Quaroni e Luigi Cosenza di cui è stato assistente. Agli inizi degli anni ’70 è al fianco di Gregotti e Purini nella redazione del progetto per il quartiere ZEN a Palermo, in cui l’idea della città compatta e dell’impianto urbano razionale avrebbero voluto dotare la periferia del capoluogo siciliano di un disegno riconoscibile. Un tentativo andato perduto nella lentezza esasperante della fase costruttiva, nella manomissione scellerata del progetto, nella gestione lacunosa della pubblica amministrazione.
La città è stato il vero paradigma progettuale di Bisogni, il teatro della sua architettura, molte volte disegnata e troppo poco costruita. Una scuola media al rione Traiano (1974-1989), un asilo a Poggioreale (1984-1988), un mercato nel quartiere San Ferdinando (1980-2000), questi i suoi soli ma significativi edifici, costruiti nella periferia come nel centro storico di Napoli, tutti in tempi molto lunghi e quindi sofferti, difficili.
Bisogni si è sempre rammaricato in modo discreto della scarsità degli edifici realizzati rispetto ad una mole progettuale davvero cospicua. Ma l’uomo era poco incline al compromesso e mai ha cercato incarichi con pari impegno rispetto all’infaticabile attività nel campo dell’insegnamento universitario e della ricerca. Eppure i riconoscimenti gli sono arrivati, se non dall’ambiente professionale, certamente da quello della cultura architettonica. In particolare i progetti per Montecalvario, i Quartieri Spagnoli di Napoli, esposti alla Triennale di Milano, nell’ambito della mostra «Architettura razionale», curata nel 1973 da Aldo Rossi. Ed ancora, un lungo saggio dedicato alla sua opera da Kenneth Frampton, pubblicato da «Casabella» nel 1990, dove con riferimento alla facciata sulla corte interna dell’asilo di Poggioreale si sottolinea che nella “sua apparenza complessiva evoca una grandiosità di intenti che raramente si è vista in Italia o altrove nell’ultimo mezzo secolo”.
Professore di Composizione architettonica a Napoli da fine anni ’70 fino al 2007, la Facoltà di Architettura di Napoli e il Politecnico di Milano gli hanno dedicato nel 2008 una mostra di progetti, mentre è nel 2012 che il Centre Pompidou di Parigi lo annovera tra gli architetti chiamati ad esporre nella retrospettiva dedicata alla “Tendenza”.
Bisogni ha sempre coltivato relazioni con la scuola milanese e veneziana, con Aldo Rossi, Giorgio Grassi, Gianugo Polesello, Luciano Semerani, con i quali ha intessuto una preziosa interlocuzione, molto più che con il suo ambiente napoletano, di cui contestava l’eccessiva sollecitudine al compromesso. Nella sua indole critica ma allo stesso tempo appartata, mai incline alla ricerca di consenso a buon mercato, si sostanzia la figura di un intellettuale dell’architettura che scompare, lasciandoci il portato di una ricerca sui modi del progetto che registra una potente autonomia disciplinare, che va oltre ma non prescinde dalla fattuale traduzione in costruzione.
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Last modified: 3 Ottobre 2018
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