Il sogno americano contro tanta speculazione edilizia (e l’idea di una muraglia lungo il confine messicano). Ma nessuno dei due candidati alla presidenza degli Stati Uniti ha espresso particolare interesse per progetti residenziali o urbanistici
Iniziamo con il primo candidato, Hillary Clinton, l’unico che senza ombra di dubbio vincerà le elezioni. Ha il voto delle aree metropolitane e come suo marito, William Jefferson (Bill), durante la Convention Democratica Nazionale ha ricordato che la convinse ad accettare la proposta di matrimonio l’acquisto di una modestissima casa in mattoni, insieme a una nuova vita in Arkansas.
Qualche anno più tardi la coppia investì in un progetto di sviluppo urbano, Whitewater, che avrebbe previsto condomini standard attorno a un lago (adibito ad attività ludiche) insieme a una fonte di reddito extra – e che avrebbe permesso loro una scalata sociale. Ma il progetto finì male (uno degli scandali che hanno afflitto Hillary e Bill per anni) e quelle residenze non vennero mai costruite. Dopo avere abitato per otto anni nella Casa Bianca, negli anni novanta la coppia divenne alquanto benestante e si trasferì in una residenza in stile coloniale olandese – non particolarmente speciale – situata a Chappaqua, sobborgo di New York.
Al contrario, la vita di Donald J. Trump è stata sempre imbevuta di progetti edilizi, o per meglio dire, speculazione. Forse per questo per lui l’architettura è sempre stata una seccatura, una sorta di bastone fra le ruote. Alcuni aneddoti narrano che la sua particolare “perizia” nel rispettare le date di consegna, e dunque evitare possibili penali, lo abbia portato a ordinare la distruzione della facciata Art Deco del Bonwit Teller (dapprima Stewart), il grande magazzino di lusso raso al suolo per costruire la Trump Tower sulla Fifth Avenue a New York.
Ma da un altro punto di vista, il supporto di un certo tipo di edificio è cruciale per uno stile di architettura, o no? Quello del luccichio della foglia dorata che copre quasi ogni millimetro del salotto nella suite del suo appartamento in città, per esempio; e il colore (il marmo rosa degli spazi pubblici) piuttosto che la forma? Invece di un pastiche postmoderno di stili differenti, il trumpismo rappresenta il totale trionfo della riflessione (specchi, superfici cromate, vetro). Un’overdose nauseante di elementi che gridano ricchezza prima di ogni altra cosa.
Architetti che hanno lavorato per lui hanno parlato apertamente delle sue inadempienze nel pagare (specialmente nel caso di Andrew Tesoro apparso nella campagna tv di Clinton: Trump non volle pagare la parcella concordata, non perché il lavoro non fosse risultato buono, ma: “perché ho già speso troppo nella proprietà”.)
Come per le tasse, i contributi di beneficenza di Trump sono stati l’oggetto di un’intensa speculazione. Il suo “dare” è spesso sembrato connesso a fini pubblicitari o eventi pubblici. Inoltre la sua fondazione filantropica è sotto inchiesta da parte del procuratore generale di New York (un democratico) per dubbia pratica. Nel 2012 la fondazione apparentemente donò 10.000 dollari all’American Institute of Architects della Florida. Subito dopo, la proprietà Mar-a-Lago di Trump venne premiata come la più significativa costruzione storica di pregio nello stato. Per essere chiari, questo palazzo moresco, costruito negli anni venti in pietra genovese, venne acquistato da Trump negli anni ottanta. Trump può prendersi tutti i meriti – il suo nome è associato ad esso – ma non ha nulla a che vedere con il suo progetto.
Durante la campagna presidenziale, Trump ha inaugurato l’ennesimo hotel, questa volta a Washington D.C., nel vecchio ufficio postale in stile romanico, sulla strada per la Casa Bianca. Di fatto, tenne una conferenza stampa proprio lì, e di conseguenza alcuni reporter insinuarono che non fosse altro che l’ennesima trovata pubblicitaria, proprio perché il suo impero avrebbe giovato comunque della candidatura alle elezioni, comunque fosse andata, fosse stato vincitore o vinto. Ma, come notato invece da altri, il vero e unico impero associato agli edifici, hotel, centri benessere, campi da golf e quant’altro, non è che completamente fuori dalla vita proprio di quegli americani che supportano la sua campagna. E questo potrebbe spiegare perché, piuttosto che un nuovo edificio, il suo prossimo progetto sembri essere la creazione di una nuova società di telecomunicazioni, come per esempio un network televisivo che porti il suo nome.
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(Traduzione di Manuela Martorelli)