Inaugurato “Sensing the Waves”, ampliamento del Centro Pecci di Prato che raddoppia i suoi spazi espositivi su progetto dello studio olandese Nio architecten
PRATO. Le premesse ci sono tutte. Una buona collezione – la seconda in Italia per l’arte contemporanea -, una Fondazione ambiziosa, una città che ha voglia di riscatto e un architetto di talento. Rinasce così il Centro Pecci, uno dei punti di riferimento dell’arte contemporanea in Italia, raro esempio di collaborazione tra pubblico e privato.
Il modello da seguire è “l’effetto Guggenheim” che ha visto una città di provincia come Bilbao voltare pagina e diventare una delle mete culturali più visitate al mondo. Ma le differenze qui sono molte e, nonostante le buone intenzioni, ripetere il successo della città basca non è scontato. L’isolamento geografico di Prato, la mancanza di certezze sulla programmazione culturale e lo spazio esterno non completato sono nodi ancora da sciogliere.
Nato nel 1988 come primo centro dedicato all’arte contemporanea in Italia, fu voluto da Enrico Pecci, progettato da Italo Gamberini (1907-1990) e donato alla città di Prato in memoria del figlio Luigi. Agli inizi del 2000 la necessità di accogliere una collezione sempre più ampia fanno decidere per un progetto di ampliamento. Così la famiglia Pecci commissiona il progetto all’olandese Maurice Nio e nel 2006 iniziano i lavori che si concentrano in parte sulla ristrutturazione della preesistenza e in parte sulla nuova ala. È quest’ultima la vera novità del progetto: un anello dorato che avvolge e ingloba l’edificio di Gamberini. Un espediente intelligente ed efficace che, da un lato, non aggredisce l’architettura preesistente, distaccandosene quanto basta per rispettarla, dall’altro – per forma e colore – sprigiona un segnale potente che stabilisce un’immagine rinnovata del Museo. Un equilibrio precario ma riuscito. A completare la composizione, l’antenna, elemento simbolico che enfatizza la visibilità e la centralità del complesso nei confronti della città.
“Rispetto al carattere rigido e meccanico della struttura preesistente —in parte ispirato all’architettura industriale di Prato—, il nuovo progetto propone un linguaggio intessuto di forme fluide e sognanti. Abbraccia e circonda l’edificio originario, sfiorandolo solo quando è necessario”, racconta Nio che ha chiamato il suo progetto “Sensing the Waves” a sottolineare la suggestione che lo ha ispirato.
Sono 7.815 i nuovi metri quadri dell’ampliamento per un totale di 12.125 di superficie complessiva. Di questi, 3.110 sono dedicati alle aree espositive, mentre gli altri ospitano un archivio, una biblioteca specializzata, un cinema/auditorium, uno spazio performativo, un bookshop, un pub-bistrot e un ristorante.
Per l’ampliamento, la sistemazione degli spazi esterni e la ristrutturazione del vecchio edificio ci sono voluti poco più di 14 milioni, tutti finanziati dal Comune e dalla Regione Toscana. “La gestione annuale ammonta a circa 4 milioni, di cui 2,5 sono stati già trovati grazie a finanziamenti pubblici e privati e gli altri si prevedono arrivino dalla biglietteria e delle diverse iniziative in programma”, specifica il direttore Fabio Cavallucci che racconta entusiasta il valore aggiunto di questo progetto architettonico soprattutto in relazione alla collezione e alla possibilità di realizzare grandi mostre collettive. Parlando di altri spazi simili in Italia, Cavallucci sottolinea che “Il Maxxi è impossibile da allestire, qui invece il dialogo tra l’architettura e l’arte è positivo”. E, a giudicare dalla prima mostra inaugurale “La fine del Mondo”, le parole del direttore sembrano confermate. Il grande anello pensato da Nio si rivela all’interno come un grande spazio circolare che amplifica la visione dell’esposizione, creando un suggestivo e stimolante continuum tra le opere, le tematiche e i volumi architettonici.
Chi è Maurice Nio
Maurice Nio (1959) si è laureato nel 1988 presso la Facoltà di Architettura della University of Technology di Delft con il progetto per una villa per Michael Jackson, il più singolare progetto di tesi di quell’anno, nonchè di vitale importanza per la formazione del suo modo di lavorare ibrido. Attraverso un misto di processi mentali al tempo stesso mitologici e pragmatici, di strategie di progetto criptiche ma anche completamente trasparenti, ha realizzato progetti con BDG Architekten Ingenieurs (1991-1996), come ad esempio l’enorme inceneritore AVI Twente. Dal 2000 opera con il proprio studio NIO architecten. I suoi libri You Have the Right to Remain Silent (1998) e Unseen I Slipped Away (2004), così come la mostra “Snake Space”, sono stati un successo. Il suo prossimo libro The Rule of Passion in Architecture sarà pubblicato entro la fine del 2016.
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Last modified: 20 Ottobre 2016