Note a margine del congresso ICOM a Milano
MILANO. Paesaggio tutela e museo sono i concetti che rilegano i numerosi interventi dell’ultimo congresso internazionale dell’ICOM, International Council of Museum, accolto in città la prima settimana di luglio.
Christo ne ha sancito l’apertura dei lavori all’insegna dell’arte contemporanea come attitudine esistenziale all’esplorazione del paesaggio nelle sue corrispondenze tra artificio e natura. La questione è il tempo, precisa l’artista, e quindi la trasformazione continua come condizione immanente del paesaggio, che attraverso l’arte effimera muta il sedime dell’agire collettivo nel territorio. L’incipit di Christo riporta alla superficie le differenze tra land art e architettura del paesaggio, sottolineandone implicitamente i diversi approcci e, al contempo, svelandone le interrelazioni verso l’idea di luogo come stato emotivo e mentale in transito. Già con “The Umbrellas” Jean-Claude e Christo riuniscono in prime time camminare/osservare come binomio inscindibile dell’attraversare per comprender-si nel paesaggio. “Geografia mentale, paesaggio mobile, archeologia del presente”, argomenta Giuliana Bruno nel suo Pubbliche intimità, riprendendo Simon Schama, le Passeggiate di Janet Cardiff e il “vedere attivo” di Victor Pasmore come “pratica estetica contemporanea”, tratteggiando il trait d’union tra paesaggio e museo come scrittura geopsichica del terreno culturale in movimento. Suggestioni che si susseguono nelle giornate di studio, ritrovando la sintesi formale nell’evolvere del museo diffuso come chiave di lettura del territorio contemporaneo tra conservazione e laboratorio-agorà in commoning dove “terra e linguaggio coincidono nelle forme di socialità che definiscono i nostri rapporti” (Hardt, Negri).
Paesaggio e museo s’interscambiano come matrici aperte di “ipotetiche strutture reticolari, fatte di andirivieni e rimandi continui che si sovrappongono originando scenari” nelle tavole scritto-grafiche di Fredi Drugman (1927-2000), a cui sono dedicati un libro (Idee per un museo lungo il Trebbia, Edifir 2016) e una mostra al Politecnico di Milano inaugurata in concomitanza del convegno (fino al 29 luglio). Uno sviluppo in termini attuali del museo-territorio che, commenta Luca Basso Peressut (curatore del volume insieme a Marcella Ricci), “implica il superamento della tradizionale tassonomia museale per ricomprendere le diverse discipline in un universo antropologico di rapporti tra lavoro e modificazioni degli assetti fisici dei territori”. Il “museo lungo” ideato da Drugman come una delle forme del museo diffuso, restituisce in modo puntuale l’invenzione del paesaggio-museo, come paradigma di un sentiero cognitivo basato sulle campagne di rilevamento [nella foto di copertina di Franco Fontana, un gruppo di ricercatori lungo la valle del fiume Santerno, in Romagna, nel 1971], di cui nel libro racconta Andrea Emiliani: “campagne inaugurate nel 1968 come indagini sul campo condivise tra studiosi e abitanti, nell’intento comune di registrare i beni partendo dall’inventario fino all’archiviazione, intrecciando le immagini del lavoro e delle diverse conoscenze, nonché attivando, attraverso questa visione ramificata del museo, politiche di partecipazione e tutela dei siti architettonici, di valore storico e sociale, oggi di nuovo in pericolo”. Negli ultimi passi del museo-lungo, ritmato dall’alternarsi dei ponti, che nel loro attraversamento lineare continuamente mosso e distorto dal flusso delle acque sembra anticipare i varchi media-liminari di Jane e Louise Wilson, Drugman evoca la promenade architecturale come sistema attrezzato, già prefigurato nei disegni di Le Corbusier per Rio de Janeiro e San Paolo, e poi per il piano di Algeri, proiettandoci in un’area più vasta dove è la promenade stessa a essere oggetto e display del museo diffuso di Le Corbusier, ora entrato nell’alveo del patrimonio Unesco.
Sotto, proposta di Fredi Drugman per un museo lungo il fiume Trebbia
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musei , paesaggio
Last modified: 27 Luglio 2016