A Genova è andata in scena una nuova puntata della vicenda (da noi già raccontata) in cui si vorrebbe dare nuova forma e organizzazione al pezzo di costa che va dal Porto antico alla Fiera del mare. Una rappresentazione che potrebbe essere intitolata Storia di un affresco e della sua metamorfosi.
I personaggi principali sono il sindaco Marco Doria, un professore universitario nei panni del politico, un uomo pacifico dall’aria un po’ smarrita che sembra non vedere l’ora di tornare nel suo studiolo presso la sede di Economia, situata nello splendido contesto del Porto antico progettato dall’illustre Renzo nazionale, l’altro protagonista: l’architetto che non vuol esser chiamato archistar (cfr. l’intervista ne «Il Giornale dell’Architettura», n.97) ma che interpreta quella parte a meraviglia, con classe e fascino degni di Sean Connery.
I due, il sindaco per caso e l’affascinante architetto, ci raccontano l’ultima evoluzione dell’Affresco (un’idea nata dieci anni fa dalla forza creativa di Piano), oggi cresciuto fino a diventare un Blueprint. Finalmente un sogno che viene a concretizzarsi, grazie a un lavoro d’equipe con cui sono state raccolte le nuove esigenze delle Riparazioni navali e della Fiera, seguendo la legge secondo cui «le cose avvengono quando è giusto che avvengano» così come enunciata dal saggio senatore a vita. Un progetto che si basa su un’idea precisa, ovvero che «questa volta è l’acqua che vince sul cemento». Una vittoria che affossa l’idea di costruire un nuovo stadio nell’area della Fiera, ripresa di recente da un nuovo personaggio giunto a sorpresa sulla scena, proveniente dalla capitale: il neopresidente della Sampdoria Massimo Ferrero, meglio noto come «er Viperetta». Un’esclusione sorretta da un’argomentazione granitica dell’illustre senatore: «Gli stadi portano con sé condizioni che non sono tipiche dell’urbanità del centro cittadino (
) quando sono vuoti sono troppo vuoti (
), quando sono pieni sono troppo pieni»*. Come dargli torto, un ragionamento liscio come quell’acqua che vince sul cemento. Gli fa da eco il sindaco per caso, vuole esser chiaro sul messaggio e sul valore di cui si fa portatore: «Non ci saranno volumi aggiunti, ma spazi da riorganizzare con nuove funzioni»**. Con quali funzioni e da chi non ci è dato saperlo, perché l’importante è esser chiari.
A completare la scena non poteva mancare il solito coro di disfattisti; quelli che, appena uno si sforza di tirar fuori una buona idea per realizzarla, si mettono di traverso cominciando a chiedere con quali risorse economiche si vorrebbe realizzare l’operazione, in quanto tempo, se il progetto non sia in conflitto con le decisioni già adottate dall’amministrazione o come mai ci si sia dimenticati del pezzo che fino a ieri sembrava necessario (vedi il tunnel subportuale). Insomma, dei veri gufi, come li ha definiti il presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Questa rappresentazione, la storia di una possibile trasformazione di una parte di Genova, che assume toni da parodia, si regge su un equivoco: l’interpretazione della città come uno spazio passivo, disponibile a qualsiasi tipo di modificazione, ovvero privato della sua storicità. Un equivoco che riduce tutta la vicenda a ennesimo «spot», eludendo dalla responsabilità di un dibattito. Così, come successe a Leonardo Sciascia durante la stesura de Il contesto e con le dovute proporzioni, nel raccontare questa vicenda: «Ho cominciato a scriverla con divertimento, e l’ho finita che non mi divertivo più».
*citazione tratta da www.primocanale.it/notizie/renzo-piano-cos-ridisegno-genova-dal-porto-antico-alla-fiera–146630.html
** citazione tratta da www.primocanale.it/video/piano-ridisegna-il-waterfront-di-genova-doria-serviranno-investimenti–64559.html