Per le costruzioni il minimo che si chiede è che stiano in piedi. Non così per la città e il territorio, almeno in Italia. Importante è costruire, poi qualcuno provvederà a portare strade, fogne e servizi, come nelle coree degli anni cinquanta del secolo scorso. Sto esagerando? No, se stiamo al Piano di governo del territorio (Pgt) di Milano della giunta Moratti. Alla faccia della Valutazione ambientale strategica (Vas), ha potuto essere varato un Piano in cui il divario fra il costo delle opere dinteresse pubblico previste come necessarie (14 miliardi) e la loro copertura a bilancio lasciava un buco di 9,5 miliardi (pari al 67,9%). E, si badi bene, in questo calcolo sono esclusi i servizi sociali: non un euro stanziato per far fronte a un aumento degli abitanti che il Piano dei servizi prevedeva al 2030 338.000 (contro i 287.00 del Documento di piano).
Secondo questa impostazione la città è un albero i cui frutti (la rendita immobiliare) spetta alla proprietà privata, mentre il resto (tronchi, rami, foglie) formano la «città pubblica», ovvero le infrastrutture a carico della pubblica amministrazione (definizione quanto mai infelice di «città pubblica», dove laggettivo impoverisce il sostantivo, essendo la città un organismo che proprio dalla coappartenenza di spazio pubblico e privato e dalla regolazione dei loro rapporti trae un suo tratto essenziale). Nel Pgt morattiano i «bisogni sociali» hanno cessato di essere un problema: le linee strategiche avevano come stella polare il «fabbisogno edificatorio», che non sta per fabbisogno di abitazioni e servizi non soddisfatto ma per richiesta di edificabilità da parte degli operatori privati. Lassunto di base è che più i frutti (la rendita) sono copiosi, più si offrono possibilità per uscire dalla crisi economica, come se di questa crisi la bolla immobiliare non fosse la causa prima. Che poi lalbero non sia abbastanza robusto per sostenere i frutti, non è questione di cui occuparsi. Allo stesso modo per lallora assessore allUrbanistica Carlo Masseroli, promotore primo di quel Pgt, non ha costituito un problema linfondatezza delle previsioni demografiche sui cui si è basata lofferta di volumi edificabili. Il Settore sistemi integrati per i servizi e statistica del Comune ha previsto per il ventennio 2007-27 un saldo per la città ambrosiana che si situa fra un calo di 139.108 abitanti (ipotesi bassa) e un aumento di 61.636 abitanti (ipotesi alta)? LIstat ha stimato per il periodo 2003-21 un calo complessivo della popolazione della Provincia di Milano pari a 441.588 unità e di quella della Regione Lombardia pari a oltre un milione (1.099.288)? Tutta roba a cui fare spallucce.
Se si aggiunge: 1) il disconoscimento dei valori di cui è depositaria la città compatta, ma anche i quartieri organici costruiti nel dopoguerra (Qt8, Feltre, Harrar ecc.) e 2) la prospettiva di un «atterraggio» su questa vasta porzione di città (esclusa larea interna ai bastioni spagnoli) dei diritti edificatori attribuiti alle aree agricole (una «pioggia di meteoriti» scatenata da una spregiudicata interpretazione della perequazione urbanistica), si ha un quadro della sostanza politica e culturale del Pgt Masseroli-Moratti: il suo essere un attacco senza precedenti alla città come ambito della convivenza civile.
Il successo elettorale della giunta Pisapia, insediata nel giugno 2011, è anche una risposta della cittadinanza a questo attacco. La nuova amministrazione ha valutato che non cerano i tempi per rifare il Pgt da zero (vista la scadenza al 2012 fissata dalla L. r. 12/2005) e che sarebbe stato più produttivo apportare correttivi sostanziosi a partire dal contributo critico-propositivo proveniente dalle oltre 5.000 osservazioni espresse dalla società civile (accolte dalla giunta Moratti solo nella misura dell8%). Il lavoro svolto da una commissione presieduta dallassessore allUrbanistica Ada Lucia De Cesaris ha portato allaccoglimento del 40% delle osservazioni, con risultati apprezzabili soprattutto se posti a confronto con quanto previsto dal piano Masseroli-Moratti.
Se il Consiglio comunale accoglierà i sostanziosi passi avanti compiuti (vedi box), Milano potrà tirare un respiro di sollievo: sotto la Madonnina la ragionevolezza è ancora di casa nellamministrazione della cosa pubblica. Ma ciò basta per sostanziare la politica urbana di una città del calibro di Milano? Senza idee strategiche sul senso del fare città oggi e su come sia possibile praticare questo obiettivo, senza una costante e tenace azione pubblica su questo fronte, lindicazione dellorizzonte «città come bene comune» avanzata dallassessore De Cesaris rischia di ridursi a un esercizio retorico.
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