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Cristina FiordimelaWritten by: Reviews

L’architettura italiana che faceva Tendenza

L’architettura italiana che faceva Tendenza

Il titolo della mostra, come hanno commentato alcuni protagonisti dell’architettura italiana di quegli anni, è troppo esaustivo e puntuale nel voler trovare una forma di sintesi nel panorama della cultura del progetto architettonico di quel tempo, animato da una moltitudine di riflessioni sul significato dell’architettura, sull’idea di città e il suo rapporto con la storia e con le politiche di pianificazione del territorio. Il riferimento al movimento Tendenza è piuttosto da interpretare come chiave di lettura per ordinare una straordinaria collezione di disegni, dipinti, maquettes, di cui molte storiche e di grande formato, disposte insieme a libri, riviste, documentari e fotografie, acquisite dal Musée national d’art moderne/Centre de Creation Industriel (Mnam/Cci), dipartimento del Centre Pompidou.
Un collage eterogeneo, curato da Frédéric Migayou (direttore aggiunto del Mnam/Cci), da cui traspare l’impossibilità di contenere in un percorso tematico la complessità di un’analisi critica che implica intrecci teorici e storiografici non solo sul movimento in Italia, ma anche sulle sue derivazioni oltre confine, dalla scuola ticinese agli Stati Uniti. Il portale di ingresso, da cui si apre un’enfilade di maquettes culminante con il prototipo per le Cabine dell’Elba (1983), preannuncia il contributo di Aldo Rossi come filo conduttore tra i diversi comparti del percorso, scanditi dal contrasto delle campiture a parete che marcano il passaggio da un argomento all’altro. Le forme della storia, l’architettura in discussione, tipologia e morfologia, l’architettura effettiva, la dinamica internazionale, l’architettura esposta: questi i capisaldi della mostra che orientano il pubblico alla lettura dei materiali secondo un duplice registro: la nascita e l’evolvere di un pensiero collettivo nato in seno al movimento e la sua ricaduta nel modo di conoscere, immaginare e costruire la città contemporanea. I programmi edilizi Ina-Casa, la Torre Velasca, i progetti residenziali di Mario Ridolfi e i riferimenti al cinema neorealista italiano, aprono la narrazione esemplificando concetti da cui prende avvio il movimento, sul rapporto tra composizione e storia, tra forma e contesto, di cui resta di difficile lettura la connessione tra i diversi campi del sapere e le questioni di metodo e di processo nella definizione del progetto. Temi, quest’ultimi, ripresi nelle sezioni centrali, dedicate al ruolo delle riviste come condensatori e diffusori di dissertazioni e proposte progettuali, ponendo l’accento sulla pluralità dei contributi che danno voce al dibattito, in un continuo oscillare tra movimento di idee, progetto e autore.
La mostra si chiude con i progetti realizzati e le «mostre manifesto» come Architettura Razionale alla Triennale di Milano nel 1973, La Strada Novissima alla Biennale di Venezia nel 1980 e, a Berlino, Idee, processi e avvenimenti (1984), rappresentata dalla Città analoga di Arduino Cantafora.
I saggi del catalogo, ricco di immagini, sono indispensabili per comprendere il significato della mostra che ha il pregio di porsi da un lato come avvio ad altri studi sulla cultura architettonica italiana di quel periodo, poco dibattuta anche in Italia, dall’altro è esemplare dell’attività di acquisizione e del lavoro di archivio di un’istituzione museale la cui missione è appunto quella di promuovere e favorire l’incontro tra diversi criteri di interpretazione. Il valore dell’esposizione è nella non univocità del percorso che, pur essendo ingabbiato nelle aree tematiche, si presta a essere esperito anche trasversalmente, guardando al disegno come metodo di analisi urbana e progettazione, all’apporto degli studi sul tipo e sui caratteri morfologici, all’ipotesi, come propone Aldo Rossi in L’architettura della città, «di una teoria della progettazione architettonica dove gli elementi sono prefissati, ma dove il significato che scaturisce dal termine dell’operazione è il senso autentico, imprevisto, originale della ricerca».

Autore

  • Cristina Fiordimela

    Architetta museografa, docente al Politecnico di Milano. Insegna architettura degli interni, exhibition design e si relaziona con le arti contemporanee (commons), di cui scrive su riviste specializzate italiane e internazionali. La museografia è il filo rosso che attraversa sia l’impegno teorico, sia la progettazione e la messa in opera di allestimenti che riguardano le intersezioni sensibili all’arte, alla scienza e alla filosofia, in sinergia con enti universitari, musei e istituti di ricerca. L’indagine su media art come dispositivi di produzione artistica in commoning è l’ambito di studio e di sperimentazione delle attività più recenti, da cui prende corpo con Freddy Paul Grunert, Lepetitemasculin, dialogo nello spazio perso, iniziato al Lake County, San Francisco

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Last modified: 20 Luglio 2015