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Cristina FiordimelaWritten by: Design

Cosa ci raccontano i musei-studio dei designer

Milano. Che cosa può svelare lo studio di un designer a un pubblico eterogeneo per cultura, formazione e interesse? Certo non è una curiosità feticista a sollecitare ogni anno le migliaia di visitatori che varcano la soglia dello Studio Museo Achille Castiglioni, dove essi ritrovano, attraverso i racconti orali costruiti con oggetti, disegni, immagini, modelli, libri e riviste, il filo rosso che tiene insieme la sua opera poliedrica, dall’architettura all’allestimento, al design. È piuttosto la promozione della ricerca e la partecipazione ad attività culturali a interessare il visitatore, come documentano i numerosi progetti in corso attivati da archivi e fondazioni dedicate ai maestri dell’architettura e del design italiano.
La conversione di un atelier architettonico in museo non si esaurisce nella conservazione di quanto vi è contenuto, ma ha senso compiuto se fondata su un archivio ragionato, aperto alla consultazione, organizzato allo scopo di sollecitare e accogliere nuove letture e contributi critici, se inserita in un sistema museale diffuso sul territorio, connesso alle fonti dei beni culturali e a internet e del quale Milano è l’epicentro con il progetto «Giacimenti del design italiano» guidato dal Triennale Design Museum. Compito della conversione museale è esprimere il genius loci dello studio come un luogo della memoria che nega «la qualità statica e immutabile delle opere come fatti a se stanti celebrativi e prestoricizzati» per rigenerarsi, come annotava Castiglioni a proposito della modernità, in un «continuo superamento critico e in una volontà di ricerca senza fine».
Quali sono i processi di trasformazione innescati dalla conversione museale al fine di rendere percettibile la multiforme identità dell’architettura degli interni come testimonianza tangibile di un modo di «pensare e fare» architettura e, simultaneamente, in quanto archivio, luogo di esposizione permanente e temporanea, nonché artefatto esposto? Lo spazio musealizzato funge da palinsesto alla costruzione di un itinerario di scoperta e approfondimento attraverso il quale si manifesta il metodo progettuale dell’architetto e del designer. Gli studi-museo sono musei del lavoro intellettuale e al contempo musei di architettura. Il visitatore abita lo spazio esperendone la complessità dei significati attraverso la costruzione di un dialogo con l’architettura mediato dai dispositivi di allestimento museografico e dalle visite guidate. Bastano poche stanze per narrare tante storie, da quella del designer riferita alla cultura architettonica del suo tempo, fino al ciclo produttivo di un arredo o un utensile, dal disegno al prototipo, alla distribuzione.
Il tema centrale del museo non è l’esito progettuale ma il processo che lo sottende e l’organizzazione del lavoro all’interno dello studio, che può essere rappresentato anche da restituzioni spaziali, come nel caso dell’atelier di Gianni Sacchi a Sesto San Giovanni. Le conversioni museali in situ implicano talvolta la rivisitazione dei percorsi e il riallestimento parziale dello spazio originario, come nello Studio Museo Vico Magistretti, oggi sede dell’omonima Fondazione. Qui il visitatore ha subito l’intuizione di trovarsi all’interno di un sistema museale più vasto: da un lato, la mappa di un museo a cielo aperto delle architetture di Magistretti che s’innesta ai circuiti della metropolitana milanese; dall’altro, una pagina multimediale e interattiva che accompagna l’interlocutore alla consultazione dell’archivio, di cui è mostrato in progress lo stato dei lavori. Talvolta sono gli oggetti a dare l’input alla narrazione e l’avvio a nuove ricerche; talaltra, come allo studio-museo di Magistretti, sono le parole del progettista a suggerire le interpretazioni critiche della sua opera aprendo ambiti di studio inediti. Nei locali al piano terra di via Dezza 49, dove ha sede Gio Ponti Archives, sono soprattutto le immagini e i modelli a comporre il repertorio da cui attinge la ricerca. In questi ambienti, un tempo occupati dallo studio Ponti-Fornaroli-Rosselli, allestito nel «capannone» tuttora esistente interno all’edificio che Ponti progettò e abitò dal 1957, si perpetua, attraverso le attività dell’archivio, lo spirito, propriamente pontiano, dell’atelier di architettura vissuto come laboratorio d’idee e di sperimentazione, dove prendono corpo libri e mostre, come l’imminente esposizione monografica «Espressioni di Gio Ponti», alla Triennale dal 5 maggio.
Gli studi-museo, così come gli archivi di architettura del Novecento, contribuiscono, attraverso la conservazione e la ricerca, alla conoscenza della cultura moderna italiana e, nell’ambito delle discipline architettoniche, favoriscono l’incontro tra università e azienda.

Autore

  • Cristina Fiordimela

    Architetta museografa, docente al Politecnico di Milano. Insegna architettura degli interni, exhibition design e si relaziona con le arti contemporanee (commons), di cui scrive su riviste specializzate italiane e internazionali. La museografia è il filo rosso che attraversa sia l’impegno teorico, sia la progettazione e la messa in opera di allestimenti che riguardano le intersezioni sensibili all’arte, alla scienza e alla filosofia, in sinergia con enti universitari, musei e istituti di ricerca. L’indagine su media art come dispositivi di produzione artistica in commoning è l’ambito di studio e di sperimentazione delle attività più recenti, da cui prende corpo con Freddy Paul Grunert, Lepetitemasculin, dialogo nello spazio perso, iniziato al Lake County, San Francisco

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Last modified: 10 Luglio 2015