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Written by: Progetti

Su Budapest incombe il gigantismo di Norman Foster

Budapest. Budapest szive, «il cuore di Budapest» è la denominazione e il logo del programma d’interventi per la riqualificazione del centro urbano, nel cui quadro si sono svolti concorsi come quello vinto da Erick van Egeraat nel 2008 per il completamento del Municipio sul corso Károly e in cui procede il riallestimento semi-pedonale degli assi nord-sud. Questo stesso cuore è oggi letteralmente oscurato da un progetto di Foster & partners per la ricostruzione di cinque edifici lungo una delle arterie principali, la Bécsi utca (via di Vienna). Mezzo secolo di socialismo reale, se da un lato ha prodotto alcuni interventi puntuali (taluni di pregio, altri molto discutibili, come il restauro ferocemente distruttivo del Palazzo reale), dall’altro ha mantenuto pressoché intatto il tessuto urbano di Budapest. Nonostante i danni della seconda guerra mondiale, la capitale ungherese si presenta con un volto fortemente omogeneo, e i suoi grandi isolati eclettici possono far immaginare la Berlino che oggi – grazie alla guerra ma anche alla ricostruzione – non c’è più. Questo tessuto, ricco e al contempo vetusto, ne è di fatto un carattere identitario: perciò occorre tutelarlo, ma per la sua stessa ricchezza in termini quantitativi e a fronte della stagnazione edilizia cinquantennale, va rinnovato per parti. In questo senso, nell’ottavo distretto (quello raccontato dal regista, scrittore e drammaturgo Giorgio Pressburger) è in corso la costruzione del Corvin sétány (la passeggiata Corvin), un complesso che ha il compito di rigenerare il quartiere più malfamato della città attraverso la sostituzione edilizia e la ristrutturazione urbanistica. In parallelo, alcuni ingombranti manufatti di epoca socialista in luoghi centrali sono stati sostituiti: è il caso dell’edificio in piazza Vörösmarty, cuore del centro, che sia nella versione presente proposta da György Fazakas e Jean-Paul Viguier sia in quella socialista, peraltro, ha sempre mantenuto il volume dell’edificio eclettico semidistrutto durante la guerra. L’intervento di Foster, legato alla rigenerazione di via Ferenc Déak (ribattezzata fashion street) e delle sue adiacenze, è invece caratterizzato da due aspetti controversi: prevede la demolizione di edifici che in grado diverso caratterizzano l’area e possiedono valori intrinseci, e si propone a scala gigantesca, con un corpo destinato a hotel che come uno zeppelin si appoggia sugli edifici sottostanti e, lungo la via di Vienna, scavalca la via Ferenc Déak. Sicuramente l’architettura di Foster si pone come un nuovo landmark di Pest ma impone la demolizione, fra l’altro, di due precedenti edifici-simbolo: uno firmato da un’affermata coppia di architetti della Szecessió ungherese, Aladár Kármán e Gyula Ullmann (casa Fischer, grande magazzino e abitazioni del 1912) e uno dei più raffinati prodotti dell’architettura del dopoguerra, l’attuale Otp Bank, nata come sede della Chemolimpex, progettata nel 1963 da Zoltán Gulyás. L’edificio di Kármán & Ullmann (via di Vienna 10), già completamente vuoto, si colloca quasi al termine della carriera dei due esponenti della società ebraica di Pest, declinando, secondo il linguaggio proprio di Josef Hoffmann, un percorso caratterizzato come il più «viennese» nel panorama di Budapest; un percorso che comprende, tra l’altro, l’attuale ambasciata americana in piazza Szabadság 10 ed edifici adiacenti (1899-1901). L’edificio di Gulyás (via Deák Ferenc 7-9), ancora in uso, è invece un’importante testimonianza della qualità raggiunta dall’architettura ungherese negli anni sessanta e della sua apertura internazionale (si citano a confronto la Lever House di Skidmore Owings and Merrill a New York e il palazzo per uffici Rautatalo di Alvar Aalto a Helsinki): per quanto parzialmente alterato nel 1995 nel rivestimento lapideo e con la costruzione di una piramide in vetro per l’illuminazione del salone centrale, conserva di fatto il suo valore architettonico e urbano. La costruzione del complesso firmato Foster & Partners, con blocchi vetrati di nove piani sormontati dal corpo fluttuante dell’albergo per altri quattro piani, comporta inoltre la trasformazione dello skyline di piazza Vörösmarty e della visuale lungo la via Deák. Contro questa operazione, non tanto v e r s u s lo studio di Foster ma contro le ambizioni delle politiche urbanistiche locali, a Budapest fortemente legate ai singoli municipi di ogni specifico distretto, si è levato l’appello di András Ferkai e Pál Ritoók, membri della sezione ungherese di Docomomo, con l’invito a scrivere al sindaco del quinto distretto, Antal Rogán ( polgarmester@ belvaros- lipotvaros.hu).

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Last modified: 14 Luglio 2015