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Giacomo "Piraz" PirazzoliWritten by: Forum Professione e Formazione

Mendes da Rocha, gli archivi e le ferite coloniali del Brasile

Mendes da Rocha, gli archivi e le ferite coloniali del Brasile

Il mondo culturale brasiliano in subbuglio per la decisione di “Paulinho” Mendes da Rocha di donare i propri archivi alla Casa da Arquitetura di Matosinhos, in Portogallo

 

Dall’8 settembre è letteralmente esplosa in Brasile – nei social come nella stampa – la notizia per cui Paulo Mendes da Rocha ha ritenuto di donare il suo archivio alla “giovane” Casa da Arquitetura di Matosinhos, in Portogallo. Si tratta di 320 progetti, per un corpus di più di 8.000 documenti tra disegni, fotografie, slides e pubblicazioni, oltre ai modelli che riguardano il lavoro in studio del più conosciuto, premiato e anche amato architetto brasiliano vivente.

Vale la pena ricordare che Mendes da Rocha – classe 1928, insignito del Pritzker nel 2006 e, nel 2016, del Leone d’oro della Biennale di Venezia e del Praemium Imperiale della Japan Art Association – ha costruito principalmente in Brasile, specialmente a San Paolo, salvo un’opera considerata fondamentale, purtroppo demolita, il Padiglione Expo Osaka 1970, ed un’opera recente, il Museu dos Coches a Lisbona. Tra le questioni da sapere è per esempio che, per effetto dell’AI-5 (Atto Istituzionale n.5 del dicembre 1968 promulgato dalla dittatura brasiliana), fu allontanato dall’insegnamento nella Facoltà di Architettura e Urbanistica dell’Università di San Paolo (FAUUSP), insieme a João Vilanova Artigas – del quale è stato amico e sodale – e ad altri colleghi, fino al 1980.

Lo studio di Mendes da Rocha sta nel celebrato edificio modernista di Rino Levi che già ospitò lo studio di Vilanova Artigas, al piano superiore dell’attuale sede dell’Istituto degli Architetti del Brasile (IAB) a San Paolo; dall’altra parte della strada, in diagonale, sta la Escola da Cidade, istituzione fondata da vari e qualificati ex allievi, collaboratori ed amici di Mendes da Rocha. Nei vari bar di questa stessa strada – la rua General Jardim, a sua volta a 300 metri dall’enorme edificio Copan di Oscar Niemeyer e Carlos Lemos, dove quasi tutti gli architetti di San Paolo hanno abitato o stanno per andarci – nei tempi gloriosi delle agglomerazioni pre Covid-19, “Paulo” o perfino “Paulinho”, come vien chiamato Mendes da Rocha, è stato argomento di aneddoti affettuosi quanto fantasiosi. Tra le peculiarità – che in Occidente definiremmo da anti-star – di Mendes da Rocha, c’è ad esempio quella di partecipare ad eventi pubblici anche quando non è protagonista. Così, mesi addietro, in occasione della presentazione di un nuovo libro di Daniele Pisani, autore della sua più nota monografia (con solida introduzione di Francesco Dal Co), Mendes da Rocha ha sceso le scale – l’evento era appunto allo IAB, al piano inferiore del suo studio – e si è seduto tra il pubblico con la moglie, Helena Afanasieff. E dopo aver ascoltato i pensieri di Aracy Amaral (indiscusso quanto prezioso monumento muliebre della critica d’arte in Brasile), Fernando Viegas (apprezzato architetto e co-presidente della Escola da Cidade), e perfino del sottoscritto che fingeva di parlare portoghese-brasileiro, Mendes si è alzato in piedi e col garbo del genio ha detto la sua. Cioè ha legato ad una delle questioni fondamentali proposte dal libro – il sito dove è stato costruito il MASP di Lina Bo Bardi – la grande lezione della Scuola Paulista sulla topografia della città di San Paolo, con un pensiero brillante ed articolato, eredità dei grandi geografi dell’Università di San Paolo. In quattro minuti, con quella semplicità per cui di solito ai comuni mortali non bastano quattro vite, Mendes da Rocha ha offerto i suoi pensieri a tutti, e poi dopo la conferenza baci e abbracci e ancora ragionamenti, tutti insieme. Ora, immaginate avere in casa uno che fa così da sempre, con la stessa chiarezza d’invenzione, identico modo plurale, e schiena diritta: risulterà più facile capire come mai qualcuno abbia vissuto male la sua scelta di donare l’archivio fuori dal Paese.

Non v’è dubbio che la ferita coloniale – che giustamente interseca la grande questione contemporanea delle restituzioni museali, in particolare da parte dei musei occidentali – del Brasile rispetto al Portogallo abbia avuto un ruolo in questa percezione dolorosa. E poi Alvaro Siza che nel 2014 divide il suo archivio tra la Fondazione Calouste Gulbenkian a Lisbona, il “suo” Museu Serralves a Oporto e il Canadian Centre for Architecture a Montreal? Sempre dalla ferita coloniale scaturiscono altre considerazioni interessanti circolate in questi giorni, compresa quella per cui nell’opera di Mendes da Rocha sarebbero tracce di quell’atteggiamento di dominio sulla natura che era alla base del lavoro (riletto come “coloniale”) degli ingegneri di grandi infrastrutture – tra i quali lo stesso padre dell’architetto, non a caso.

A prescindere comunque da qualche (triste) questione identitario-nazionalista, nasce una discussione pubblica larga, proprio a partire dall’aspettativa per cui Mendes da Rocha avrebbe consegnato il suo archivio alla FAUUSP, dalla quale ha ricevuto il titolo di professore emerito nel 2010. Così, la stessa biblioteca della FAUUSP – che in condizioni eroiche tiene assieme un archivio con database online, lasciando desiderare le immagini di Vilanova Artigas, Rosa Kliass, Gregori Warchavchik etc. – diffonde un comunicato attraverso i social, al quale fa seguito una telefonata di cortesia istituzionale da parte del direttore della Casa da Arquitetura che propone un’azione comune di valorizzazione, promette una grande mostra su Mendes da Rocha e rassicura sul fatto che l’archivio verrà digitalizzato e reso disponibile online.

Intanto – mentre circolano pensieri d’attualità sulla sofferenza del mondo della cultura in Brasile rispetto alla condizione politica -, la sede di San Paolo dello IAB pubblica una lettera aperta che promuove la fondazione di una rete di archivi di architettura e urbanistica, e la stampa brasiliana continua a rilanciare ragionamenti ed opinioni sulla cosa, a cominciare dallo stesso Mendes da Rocha, o ancora dal suo biografo italiano Pisani. Nel frattempo, dall’altro lato dell’Atlantico giungeva il video che documenta l’attenzione con cui la Casa da Arquitetura – che recentemente ha avuto in dono gli archivi di Eduardo Souto de Moura e di Gonçalo Byrne, oltre ad aver da poco organizzato una grande mostra sull’architettura brasiliana con un focus speciale sul lavoro di Mendes da Rocha – sta ricevendo i materiali del suo archivio in arrivo da San Paolo.

 

Postilla

Dietro le quinte, viaggiano messaggi, telefonate, qualche vecchia email e più o meno rapidi scambi di opinioni. Perfino a chi scrive arriva un cortese invito a firmare l’affettuosa lettera

Un abbraccio a Paulo, stilata da un gruppo di architetti ed artisti che riconoscono la libertà di questo atto del Maestro; invito declinato, preferendo invece redigere questo resoconto. Not least, da uno scambio telefonico con Claudia Conforti in merito a tale formidabile storia pubblica, scaturisce una divertente ipotesi parallela: quale sarebbe la reazione in Italia alla notizia che il nostro maggior architetto (Renzo Piano, che pure è un global architect, dunque un profilo molto diverso da Mendes da Rocha) dovesse donare il proprio archivio ad una istituzione estera? Dopodiché, al di là del fatto vero che il Senatore a vita ha la propria Fondazione ad occuparsi di tutto ciò, la surreale ipotesi apre la strada ad una serie di riflessioni di Claudia sugli archivi come depositi di civiltà, sulla storia pionieristica degli archivi italiani di architettura, quindi gli Archivi di Stato, il CSAC di Parma, l’Archivio IUAV, l’Accademia di San Luca, l’AAA-Associazione Nazionale Archivi di Architettura, le varie Fondazioni che custodiscono archivi di architetti (Michelucci per esempio), etc. Questioni sulle quali, in tempo di fake news, sarà bene continuare a ragionare.

Autore

  • Giacomo "Piraz" Pirazzoli

    Nato nel 1965, laureato in architettura a Firenze, PhD Roma-Sapienza e post-doc FAU-Universidade Mackenzie São Paulo. Dopo aver realizzato in Italia alcune architetture in collaborazione con Paolo Zermani, Fabrizio Rossi Prodi e Francesco Collotti, lavora in ambito interculturale tra musei, mostre e sostenibilità applicando le ricerche Site-Specific Museums e GreenUP - A Smart City che ha diretto, essendo dal 2000 professore associato presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze. Già presidente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, è stato consulente presso ACE-CAE (Architects Council of Europe, Bruxelles), UN-UNOPS etc. Oltre che per mezzo di progetti, opere e relative conferenze, svolge attività internazionale anche come visiting professor e vanta oltre duecento pubblicazioni. Vive tra Firenze, l’Umbria e Rio de Janeiro.

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Last modified: 23 Settembre 2020