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Veronica RodenigoWritten by: Biennale di Venezia Reviews

“How will we live together?”: ce lo dirà la Biennale di Venezia

“How will we live together?”: ce lo dirà la Biennale di Venezia

Presentata in diretta streaming la 17.Mostra Internazionale di Architettura, a cura di Hashim Sarkis. Ultima “chiamata alle armi” dell’era Baratta, che ribadisce l’urgenza  del rapporto con la società civile

 

VENEZIA. Conferenza stampa a porte chiuse e in diretta streaming per la prima ufficiale presentazione, nel 2020, della 17.Mostra Internazionale di Architettura di Venezia. Le misure precauzionali dettate dall’ordinanza regionale per contenere l’infezione da Coronavirus hanno fatto sì che stamane il consueto appuntamento a Ca’ Giustinian si svolgesse affidando al video i messaggi del presidente uscente Paolo Baratta (che passa ora il testimone al suo successore, Roberto Cicutto) e del curatore Hashim Sarkis, non presente a Venezia bensì in collegamento dal suo ufficio al Massachusetts Institute of Technology (Cambridge, Massachussetts).

Un congedo, quello di Baratta, che figura come una riflessione finale su 4 mandati che hanno visto la Mostra di Architettura “farsi adulta”, il susseguirsi di più punti di vista curatoriali (con uno sguardo a volte più vicino alla disciplina, altre più distante), fino a dilatarsi sempre più e giungere a considerare il rapporto tra architettura e società civile, “mostrando il welfare in modo più evoluto”, così come avvenne nell’edizione diretta da Kazuyo Sejima (“People meet in Architecture”, nel 2010); sarà proprio la giapponese a presiedere la giuria internazionale di quest’anno.

Anche la mostra di Hashim Sarkis dal titolo “How will we live together?” posticipata in calendario dal 29 agosto al 29 novembre 2020 (vernice 27  e 28 agosto secondo le recenti disposizioni dovute all’emergenza Coronavirus) allarga il proprio campo d’osservazione e lo fa includendo paesi sviluppati e in via di sviluppo che necessitano di particolari importanti “aggiustamenti” nelle condizioni dell’abitare. Per Baratta, anche stavolta, la mostra si traduce in una “chiamata alle armi” per trasmettere uno stato d’urgenza (per bisogni individuali e collettivi in case, città, campagne, interi territori) attraverso un vasto impegno interdisciplinare e politico. A tradurre tutto questo in un percorso espositivo, chiude il presidente, un curatore in grado di farsi “scienziato e ottimo drammaturgo”, per accrescere la consapevolezza in un visitatore sempre più parte attiva e testimone oculare del proprio tempo.

 

Il concept di Hashim Sarkis

Attorniato da una parte del suo team curatoriale internazionale (composto da giovani progettisti e studenti), l’architetto libanese esplicita il titolo e tema di questa 17. Biennale come interrogativo aperto destinato a narrare approcci pratici e soluzioni concrete, attraverso un pensiero architettonico proiettato verso il futuro, inclusivo anche nel considerare altri popoli e specie. Un quesito proprio ad ogni generazione (e al quale ogni generazione ha dato risposte diverse), oggi rapportato ai cambiamenti climatici, alle disuguaglianze globali e alle regole sociali.

Sarkis organizzerà così cinque grandi aree (o macroscale), di cui tre all’Arsenale e due al Padiglione Centrale ai Giardini.

Nelle prime tre (“Among Diverse Beings”; “As New Households”; “As Emerging Communities”) il curatore affronterà i cambiamenti nella percezione e concezione del corpo umano e si proietta nel mettere in primo piano empatia con altre forme di vita; si soffermerà nel rispondere ai mutamenti demografici, su tecnologie per alloggi innovativi, e studierà nuovi modi di organizzazione e coabitazione delle comunità nello spazio (senza tralasciare Venezia o i campi per rifugiati).

Nelle rimanenti due (“Across Borders”; “As One Planet”) a fare da protagonisti tra gli altri temi, sono il superamento del divario tra urbano e rurale, il ruolo delle infrastrutture, il cambiamento climatico, la proiezione verso il futuro del pianeta.

Per dare attuazione a tutto questo sono stati chiamati a raccolta 114 partecipanti provenienti da 46 nazioni, a cui sono stati affiancati team di ricerca afferenti alle università di tutto il mondo (“Stations + Cohabitats”).

Colpisce che nella selezione finale (con una rappresentanza crescente da Africa, America Latina e Asia e una transdisciplinarietà preannunciata che coinvolge,tra gli altri, artisti, designer, sociologi) siano pochi gli studi di chiara fama. Tra questi: Miralles Tagliabue (EMBT, Spagna), Elemental (Cile), OMA (Paesi Bassi), Skidmore Owings & Merrill (USA) con un’unica presenza italiana (Paola Viganò).

 

Le partecipazioni nazionali

63 in tutto le partecipazioni nazionali che troveranno collocazione sia ai padiglioni ai Giardini, sia in città. Tre le new entry per la prima volta ad una Biennale di Architettura: Grenada, Iraq e Uzbekistan.

Il Padiglione Italia come di consueto troverà collocazione alle Tese delle Vergini in Arsenale, per la curatela di Alessandro Melis.

 

Gli altri progetti della 17. Mostra Internazionale

Riconfermato anche per questa edizione il Progetto speciale al Padiglione delle Arti applicate (presso le Sale d’Armi dell’Arsenale), frutto della collaborazione tra Biennale, Victoria and Albert Museum di Londra e l’architetto Shahed Saleem. Con “British Mosques” il padiglione indaga 3 casi studio britannici afferenti al riutilizzo di spazi a luoghi di culto: la moschea di Brick Lane, la moschea di Old Kent Road e quella di Harrow Central.

In terraferma, a Forte Marghera, “How will we play together?” illustra gli esiti di un progetto (voluto dallo stesso curatore) dedicato al gioco e sviluppato da 5 architetti e un fotografo di architettura.

Né potevano mancare le Biennale Sessions (il progetto di visite appositamente dedicato a docenti e studenti di Università, Accademie e Istituti di Formazione Superiore) e i Weekends on Architecture: la serie di conferenze e incontri con architetti, studiosi e professionisti di tutto il mondo previsti tra ottobre e novembre 2020.

 

Immagine in copertina: Bureau of Engineering, Michael Maltzan Architecture, Inc. / HNTB Corporation, “City of Los Angeles,” Sixth Street Viaduct. Courtesy Michael Maltzan Architecture 

 

Autore

  • Si laurea nel 2002 in Lettere Moderne (indirizzo storico-artistico) all’Università degli Studi di Trieste con una tesi di ricerca in Storia Medievale. Dopo un master in Art and Culture Management al Mart di Rovereto e uno stage presso “Il Giornale dell’Arte” (Società Editrice Umberto Allemandi & C, Torino) alterna didattica e collaborazioni editoriali ad attività di comunicazione e ufficio stampa. Attualmente svolge attività giornalistica occupandosi di temi artistico-culturali. Dal 2008, a seguito di un’esperienza in redazione, collabora con "Il Giornale dell'Architettura" per il quale segue fiere di settore e format speciali. Nel 2016, in occasione della 15. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, ha ideato e gestito il progetto “Speciale Biennale Live”. È corrispondente de "Il Giornale dell’Arte” e curatore del supplemento “Vedere a Venezia”

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Last modified: 4 Marzo 2020