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Michele RodaWritten by: Reviews

La Comunità Italia e le sue contraddizioni

La Comunità Italia e le sue contraddizioni

Alla Triennale di Milano la mostra «Comunità Italia. Architettura, città e paesaggio dal dopoguerra al Duemila», a cura di Alberto Ferlenga e Marco Biraghi

 

MILANO. Due immagini rappresentano gli estremi di una mostra tanto ricca di materiali e suggestioni quanto complessa da cogliere perché sfaccettata e multiforme. La prima, che accoglie i visitatori già nell’atrio della Triennale, è una foto di Ugo Mulas che simboleggia – attraverso una delle Italie di Luciano Fabro – la comunità. Perché è proprio il concetto di comunità italiana al centro di questa ambiziosa ricerca lungo i crinali della cultura architettonica, prima ancora che della sua produzione, nel periodo che va dal secondo dopoguerra alla fine del Novecento. «Varie ragioni, tra cui la prossimità temporale e un dibattito falsato dagli ideologismi e dagli schieramenti culturali, hanno reso impossibile, fino ad oggi, la restituzione a largo raggio di questa esperienza isolando, al più, paesaggi frammentari e parziali o vicende eccezionali», spiegano i curatori Alberto Ferlenga e Marco Biraghi. «A più di un decennio dalla chiusura di un secolo le cui conseguenze ci riguardano ancora, è possibile tentare un bilancio con l’obiettivo primario di far conoscere uno straordinario patrimonio di progetti, scritti, intuizioni, intrecci». Un bilancio da cui emergono soprattutto quelle contraddizioni, emblematicamente restituite da Alberto Burri, nel Cretto di Gibellina, proposto – a chiusura del percorso espositivo – in una foto di Olivo Barbieri.

Tra questi due poli concettuali, oltre che fisici, «Comunità Italia» dispone – negli spazi della grande curva al piano terra del Palazzo dell’Arte – oltre 120 opere originali. Un approccio onnicomprensivo, una raccolta-collezione che trasmette soprattutto – anche nel denso allestimento di Filippo Orsini, Guido Morpurgo e Annalisa De Curtis – relazioni e scambi.

 

L’evento organizzato dalla Triennale di Milano è, proseguono i curatori, «un’occasione per far conoscere, esporre e comprendere in uno sguardo unico opere eccezionali ma, nello stesso tempo, anche per tratteggiare una geografia culturale dedicata all’Italia e ai suoi prodotti in un campo, quello dell’architettura, che se nella sua esperienza storica ha avuto un ruolo fondamentale per la costruzione di un paesaggio senza eguali e di modelli ripresi ovunque, oggi può presentare anche la ricchezza della sua particolare modernità come deposito di materiali utili per rendere più sostenibile un mondo in forte cambiamento».

È con questa duplice prospettiva che l’esposizione sembra volersi avvicinare con prudenza al tema: le prime sale sono infatti dedicate ad ambiti collaterali, capaci di costruire il paesaggio di sfondo, dalle vicende storiche all’evoluzione del cantiere, dal design agli archivi, dalle scuole di architettura alle istituzioni culturali fino all’editoria di settore. Il cuore della mostra è nella parte centrale, con un’esplosione di disegni e modelli ma anche di schizzi (tra cui i taccuini originali di alcuni autori) e fotografie. L’allestimento lavora nella direzione della ricostruzione figurata di un paesaggio urbano, in un’evidente citazione per la Strada Novissima (organizzata da Paolo Portoghesi per la prima Biennale veneziana del 1980), con una sorta di balconata che permette punti di vista diversi sui materiali in mostra. In questo ambiente affascinante e colmo di suggestioni trovano posto – in una sorta di hall of fame – oltre 100 progettisti narrati attraverso album impaginati ad hoc. Ci sono i «grandissimi» (da Ignazio Gardella ad Aldo Rossi) ma anche figure meno celebrate (da Arturo Mezzedimi a Paolo Soleri).

Il settore finale ha l’ambizione di allentare la tensione con la ricostruzione di una radura fatta di elementi metallici a tutt’altezza. In questo vuoto confinato la comunità si ritrova attorno a un grande schermo dove scorrono i 27 video selezionati nel progetto «Italy in a frame»: sequenze di un minuto che restituiscono un paesaggio italiano che – spesso con indifferenza rispetto alle logiche e alle liturgie architettoniche – cambia incessantemente. Sta in queste immagini l’esito – e in qualche modo anche il paradosso – di quel mezzo secolo di architettura italiana.

 

«Comunità Italia. Architettura, città e paesaggio dal dopoguerra al Duemila», a cura di Alberto Ferlenga e Marco Biraghi

Triennale di Milano, fino al 6 marzo 2016

Il catalogo (Comunità Italia, Silvana Editoriale, pp. 276, euro 22) raccoglie non tanto le opere in mostra quanto una serie di ben 55 saggi su temi e tendenze di mezzo secolo di architettura italiana.

Autore

  • Michele Roda

    Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale

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Last modified: 23 Dicembre 2015