Una mostra ricca e affascinante restituisce il senso del rapporto con luoghi, città e architetture nel lavoro del fotografo romagnolo
Solo chi conosce la sottile ironia di Guido Guidi può comprendere la scelta del titolo della mostra allestita nella sala principale del MAXXI di Roma. Ironia che traspare ad esempio nei discorsi intercettati nella sua casa-archivio-studio di Ronta di Cesena durante le riprese realizzate da Alessandro Toscano per la video-installazione che accompagna la più completa retrospettiva mai dedicata a uno dei massimi interpreti della fotografia contemporanea.
60 anni, 400 opere, 40 sequenze
L’autore non ne fa segreto: Col tempo è un omaggio al maestro Giorgione che dipinse tale scritta enigmatica in un cartiglio tenuto in mano dalla madre anziana da lui ritratta nel famoso la Vecchia del 1506.
Per affermare il senso che si è voluto fornire alla mostra, Guidi affida poi il sottotitolo non al linguaggio verbale ma a quello che gli è più consono, il linguaggio visivo: la prima serie presente in mostra dal titolo Preganziol (1983) consiste in una sequenza di foto in bianco e nero che descrive un’unica stanza ripresa da un unico punto di vista, nell’arco di una unica giornata al variare delle sue condizioni di luce.
Potremmo tranquillamente affermare che il percorso con 400 opere di cui numerosi inedite, per un totale di 40 sequenze costruite dall’autore e tratte dal suo stesso archivio, descrive cronologicamente le tappe che col tempo egli ha ritenuto salienti nella sua pratica artistica, intesa come instancabile ricerca di un linguaggio autonomo della fotografia avvenuta nei suoi oltre 60 di attività: gli scatti realizzati con la prima macchina fotografica regalatagli da suo zio, quando frequentava il Liceo artistico di Ravenna; le sperimentazioni in bianco e nero tra gli anni ‘70 e ’80 durante l’esperienza maturata alla Facoltà di Architettura e alla Scuola di industrial design di Venezia, frequentando tra gli altri i corsi di Luigi Veronesi, Carlo Scarpa, Italo Zannier; gli approfondimenti nei progetti della maturità negli anni 2000 come insegnante allo IUAV e all’Accademia di Belle arti di Ravenna e le più recenti occasioni di incontro con le grandi opere di architettura da Scarpa a Siza, Mies van der Rohe e Le Corbusier, rese possibili dal riconoscimento di rilevanti istituzioni internazionali come il ICCD – Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione e il CCA – Canadian Centre for Architecture che, peraltro, hanno contribuito alla mostra.
Linguaggio unico e riconoscibile
Risulta sorprendente qui ritrovare alcuni suoi scatti tra i più iconici della fotografia italiana, come la Villa dei sogni contestualizzati all’interno di sequenze realizzate per progetti, all’inizio personali (Di sguincio, Trecentossessanta, Coincidenze) e poi nate da incarichi assegnati da amministrazioni pubbliche (Chioggia, PK TAV 139+500, Rimini Nord, Archivio dello Spazio), da editori e gallerie private o dalle innumerevoli presenze in Italia e all’estero in corsi, workshop e seminari didattici (In accademia, Raccolta indifferenziata) cui viene costantemente invitato.
Non dimentichiamo infatti che innanzi tutto Guidi è uno studioso della disciplina fotografica sia da un punto di vista tecnico che concettuale e questo gli ha consentito di attingere ad un linguaggio così unico e riconoscibile. In questo si differenzia la fotografia colta da quella amatoriale.
Lo spessore di tale ricerca è dimostrato dall’ampia documentazione presente nelle teche che contengono non solo libri e cataloghi da lui realizzati (grazie alla sua formazione si occupa personalmente dell’impaginazione di mostre e pubblicazioni, tra cui anche la stessa grafica del catalogo Col tempo, che concepisce come parte integrante e conclusiva del lavoro del fotografo iniziato dall’esperienza sul campo), ma di quei testi della letteratura artistica che egli privilegia, schizzi e appunti su scritti e fotografie, analisi di opere di dipinti antichi e di fotografie appartenenti ai maggiori autori contemporanei che spesso conosce personalmente e che cita frequentemente, non solo verbalmente ma anche, se si osserva con attenzione, implicitamente nei suoi stessi lavori.
Poetiche artistiche e riferimenti allusivi
Parafrasando l’autore, ogni fotografia è una specie di tappa che contiene le esperienze precedenti e rivederla, inquadrala ed esporla in un contesto diverso col passare del tempo rappresenta una esperienza in sé, un nuovo evento interpretativo, si offre a nuovi significati e lascia spazio all’allusione, all’incertezza, all’equivoco.
Un qualsiasi esperto in storia dell’arte potrà riscontrare forse nelle opere esposte una certa familiarità con autori rinascimentali come Piero della Francesca, Giovanni Bellini, Andrea Mantegna, ma anche moderni come Giorgio Morandi (si vedano le immagini della Gipsoteca di Possagno di Scarpa) e Michelangelo Antonioni nell’uso della prospettiva, del posizionamento del punto di vista e orientamento della camera, della teoria delle ombre, nell’individuazione del dettaglio, nella giustapposizione dei colori. Forse proprio questo spazio libero all’interpretazione ai rimandi della cultura dell’immagine rende ricche le fotografie di Guidi.
Il passaggio di testimone dalla pittura alla fotografia, che lui individua come mezzo ermeneutico della realtà, è evidente nell’evoluzione sia del linguaggio fotografico sia del soggetto ripreso.
Spesso si è detto che le foto di Guidi sono stranianti, che il soggetto è banale, poco interessante. Ma questo fa parte della sua poetica: troppo spesso nell’immagine contemporanea il soggetto ritratto ricopre un valore maggiore della modalità con cui questo viene ripreso.
Se fotografiamo una persona o un monumento, soprattutto se noti e appartenenti ai nostri canoni di bellezza, lo sguardo si sposta sul contenuto ma pochi si soffermano sulla qualità della fotografia in sé, si domandano come è stata fatta. Questa è la tipica modalità, se vogliamo ipnotica, con cui interagiamo con le immagini in modo sempre più rapido e vorace.
Ritrarre la città diffusa
Ecco perché egli individua e descrive le qualità di qualsiasi cosa possa mettere a fuoco nell’arco visivo ristretto, svelandone la natura e interpretandola con i tempi lenti del linguaggio appartenente alla cultura del mezzo fotografico. Tempi richiesto all’atto di fotografare e all’atto di vedere.
Infatti nell’esposizione delle opere si comprende come gli inizi degli anni ’80 risultino fondamentali poiché vi si rintraccia un cambio di paradigma, una metamorfosi del suo modo di intendere la fotografia in rapporto alle diverse condizioni e finalità del suo lavoro. Il fotografo lavora con quello che c’è. Per esempio, si comprende come il passaggio dal bianco e nero al colore è dovuto a necessità quanto ad opportunità, perché è noto che esso coincida con lo spostamento nel 1983 del suo laboratorio di fotografia del Corso di Laurea in Urbanistica da Preganziol in provincia di Treviso, dove era possibile l’utilizzo della camera oscura, alla nuova sede di Ca’ Tron della IUAV di Venezia. Lì si respirava l’atmosfera delle ricerche di Francesco Indovina, Bernardo Secchi, Vittorio Gregotti e molti altri sulla città diffusa: un ritorno agli studi sulla realtà concreta che lasciava spazio all’esperienza dei luoghi, anche quelli più marginali.
Questa diversa sensibilità richiedeva un maggiore impegno nei rilievi fotografici del territorio veneto, spesso dovuti ad incarichi di specifici progetti delle amministrazioni pubbliche. Serviva quindi utilizzare la fotografia a colori che meglio si prestava per sua natura alle finalità documentarie, che richiedeva non più la camera oscura ma un laboratorio esterno specializzato. In una congiuntura in cui la cultura architettonica riponeva grande attenzione ai luoghi e ai contesti ambientali, si maturava dunque un interesse verso chi in quel momento meglio di tutti era capace di interpretare il paesaggio contemporaneo italiano.
È stata forse proprio l’architettura e le sue riviste, per prime Casabella e Lotus, a scoprire la fotografia d’autore in Italia. Viaggio in Italia, organizzato nel 1984 da Luigi Ghirri (cui erano presenti oltre a Guido Guidi, tra gli altri anche Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Giovanni Chiaramonte, Mimmo Jodice) ha rappresentato un momento di consapevolezza di una generazione, divenendo pietra miliare per il riconoscimento istituzionale anche in Italia della fotografia come forma d’arte autonoma, con una sua propria dignità disciplinare, i suoi strumenti, metodi di ricerca, e dotata di un linguaggio indipendente. Di questa generazione Guidi è sicuramente uno dei massimi esponenti.
Se l’intento del MAXXI, così come dichiarato dai responsabili, era di storicizzare l’opera di Guidi, con questa esposizione se ne comprende anche tutto il suo spessore.
Immagine copertina: Guido Guidi ColTempo, San Vito 200, MAXXI Roma (© Guido Guidi CollezioneFotografiaMAXXIArchitetturaeDesigncontemporaneo)
Guido Guidi. Col tempo, 1956-2024
A cura di Simona Antonacci, Pippo Ciorra e Antonello Frongia
Fondazione MAXXI/Museo nazionale delle arti del XXI secolo, via Guido Reni, 4 – Roma
In collaborazione con Archivio Guido Guidi e con CCA – Canadian Centre for Architecture, ICCD – Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione
13 dicembre 2024 – 20 aprile 2025
Catalogo edito da Mack, Londra
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fotografia , guido guidi , MAXXI , viaggio in italia
Last modified: 22 Gennaio 2025