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Ilaria La CorteWritten by: Reviews

Terra: una per tutti e tutti per una

Terra: una per tutti e tutti per una

A Lisbona, la sesta Triennale di Architettura è un appello ad agire di fronte alle alterazioni climatiche, partendo dalla polisemia della parola Terra

 

LISBONA. Riscaldata da un sole dal sapore ancora estivo, ha preso il via la sesta edizione della Triennale di Architettura, dal titolo “Terra”, che fino al 5 dicembre collocherà la capitale lusitana al centro della riflessione sul ruolo dell’architettura nell’ecologia globale, lanciando un appello ad agire di fronte alle alterazioni climatiche, alle crescenti pressioni sulle risorse e alle disuguaglianze socio-economiche.

Terra, come il pianeta che ci accoglie, come materiale da costruzione o, più poeticamente, come luogo comunitario da cui proveniamo e che dobbiamo preservare. La parola che dà il nome alla Triennale 2022 viene volutamente lasciata in portoghese per esprimerne al meglio la sua polisemia. Per farlo, i curatori Cristina Veríssimo e Diogo Burnay hanno messo in piedi un ampio team di architetti, studiosi e ricercatori provenienti da tutto il mondo che hanno contribuito a sviluppare il tema con approcci profondamente diversi e complementari allo stesso tempo. Il risultato di questa ricerca collettiva, durata tre anni, si traduce nel racconto di progetti, iniziative, visioni e pratiche, capaci di contribuire (almeno nelle intenzioni) ad un futuro più sostenibile per il pianeta e tutti i suoi abitanti.

 

Un programma articolato

In continuità con le passate edizioni, “Terra” propone un calendario di 14 settimane che ridisegna letteralmente la mappa culturale della città attraverso 4 esposizioni principali ospitate in diverse sedi: il Museo di arte, architettura e tecnologia (MAAT), il Centro culturale di Belém (CCB), il Museo nazionale di arte contemporanea (MNAC) e la Culturgest. A corredo del corposo apparato espositivo, 4 pubblicazioni, 3 giorni di conferenze, una selezione di progetti indipendenti e 3 premi, tra cui quello alla carriera, assegnato a Marina Tabassum, architetta, ricercatrice e docente del Bangladesh che rappresenta un esempio ispiratore di come la pratica architettonica in comunità locali sia capace di ripercussioni in tutto il pianeta.

Abbiamo “girato intorno” a “Terra”, entrando nel dettaglio delle sue esposizioni principali.

 

Retroactive (MAAT – Central Tejo)

Curata da Loreta Castro Reguera e José Pablo Ambrosi, fondatori dello studio messicano Taller Capital, attorno a 8 esempi di Broken Cities, tessuti urbani “rotti” o deteriorati che caratterizzano trasversalmente il nord e il sud del globo, come indica la grande mappa (ispirata alla Dymaxion Map di Richard Buckminster Fuller, del 1954) collocata all’ingresso del percorso.

L’intento è quello di suscitare l’interesse per il potenziale che interventi architettonici, intesi come operazioni di sutura, possono avere su territori feriti, restituendo loro dignità spaziale e senso di appartenenza comunitario. Si guarda a casi realizzati in diverse città del globo, attraverso 7 iniziative promosse da ONG e istituzioni pubbliche e 10 pratiche architettoniche, definite dai curatori Infrastrutture-Retroattive. Tra i contributi, anche 5 proposte universitarie, per la prima volta quest’anno incluse nelle esposizioni principali della Triennale.

Volutamente processuale nei contenuti, la mostra sembra ricercare una sua identità architettonica nell’allestimento, organizzato in piccole “stanze”, realizzate con teli drenanti tenuti saldi al pavimento grazie all’uso (ça va sans dire) della terra.

 

Cycles (Garagem Sul – CCB)

Gli architetti sono disposti a costruire meno e riciclare di più?

Parte da questa domanda il percorso curatoriale seguito da Pamela Prado e Pedro Ignacio Alonso per Cycles. La mostra presenta strategie di uso dei materiali in pratiche architettoniche contemporanee che si allontanano dai tradizionali modelli lineari, alla ricerca di un sistema circolare. Progettando nuovi cicli per la distribuzione della materia, gli architetti “che non buttano via niente” indagano sul passato e sul presente dell’edilizia, e sull’impatto che il nostro ambiente costruito può avere sull’ecosistema globale.

Dei 18 partecipanti selezionati, 12 sono i contributi di professionisti che lavorano in collettivi, 3 i progetti universitari e 3 le opere d’artista. Protagonisti indiscussi sono i materiali da costruzione, di varia natura, che invadono, letteralmente, lo spazio (particolarmente suggestiva la montagna di sughero realizzata dall’artista concettuale Lara Almarcegui) stabilendo con il visitatore un’esperienza fisica in scala reale.

Il percorso espositivo (predisposto da rar.studio) culmina in uno spazio circolare (forse un po’ troppo didascalico) in cui ci s’immerge nella lettura dell’opera di Ilya Kabakov, The man who never threw anything away (1977), il cui protagonista raccoglie e cataloga rifiuti, restituendo loro una nuova identità materiale.

 

Visionaries (Culturgest)

La più scenografica di tutte, l’esposizione curata da Anastassia Smirnova (con lo studio SVESMI), nello spazio “visionario” della Galleria di Culturgest, presenta le visioni di architetti del passato, presente e futuro che mirano, con le proprie opere, a cambiare sistematicamente il mondo. Si struttura in tre categorie: Monivisioni (dedicata ai visionari del secolo XX), Pensiero cattedrale (ispirata a quei processi che, come i grandi cantieri delle cattedrali medioevali, non arrivano a vedere la luce prima della morte dei loro artefici) e Futurologia dell’intimo (che dimostra come piccoli progetti, nati per rispondere a necessità quotidiane, possono sviluppare nuove abitudini rivoluzionarie alla scala domestica e pubblica).

Il percorso espositivo corre fluido dietro un lungo tendaggio che invita il visitatore a “spiare” i progetti visionari, dalla scala urbana del piano di Roger Anger per Auroville, “la città di cui la Terra aveva bisogno”, a quella dell’existenzminimum di Abitacolo, il letto multifunzionale disegnato da Bruno Munari nel 1971.

 

Multiplicity (MNAC)

Come sta cambiando l’architettura

, ridefinendo i suoi metodi e la percezione di sé in un periodo segnato da disuguaglianze senza precedenti, cambiamenti climatici e pandemia? L’esposizione curata da Tau Tavengwa e Vyjayanthi Rao, presenta una serie di processi collettivi e informali, che affrontano queste sfide globali con progetti e azioni locali ad hoc, sovvertendo le procedure tradizionali d’intervento e contribuendo ad ampliare la definizione di architettura.

Organizzato in cinque parti (Allarmi, Produzione, Ripartenze, Sistemi e Canoni), lo spazio espositivo si presenta come un archivio che custodisce molteplici materiali. Video, modelli, fotografie e disegni (organizzati in piccoli cataloghi e schede di progetto) illustrano pratiche spaziali, non necessariamente realizzate da architetti, capaci di dare nuove forme al modo di pensare l’ambiente collettivo, al di là di distinzioni politiche e sociali: è il caso del frigorifero comunitario a New York, o del Bookworm Pavilion, la biblioteca modulare a cielo aperto, di Mumbai. Riflessioni su tematiche come architettura e attivismo, architettura e razza, proprietà collettiva e resistenza, sono affidate ad architetti del calibro di Diébédo Francis Keré e Ai Weiwei, le cui voci possono essere ascoltate attraverso piccole colonne di legno “portatili”.

 

… e gli indipendenti

Nel Palácio Sinel de Cordes, sede della Triennale di Architettura di Lisbona, è inoltre possibile visitare i progetti indipendenti. Tra questi, l’installazione “Terra infirma – Terra incognita”, che trasforma una delle stanze dell’antico Palazzo di Campo Santa Clara in una sala mappamondo dove la rappresentazione tradizionale della terra viene ribaltata, lasciando il posto a un universo incognito.

 

Terra: una per tutti e tutti per una

La scelta di Veríssimo e Burnay di allargare l’orizzonte di discussione, delegando la curatela di tutte le esposizioni di “Terra”, si rivela vincente. Il racconto corale, nel contesto dell’attuale dibattito sulle strategie planetarie, risulta, nel complesso, riuscito. Gli stessi curatori sottolineano l’importanza di decentralizzare il dibattito sull’architettura dall’Europa: “Questo incontro di geografie ha a che vedere con la temporalità dell’architettura”. Lisbona diventa una piattaforma di condivisione di modi di vedere e fare architettura. È, dunque, la Terra di tutti.

Immagine di copetina: Retroactive (MAAT © Sara Constanca)

Trienal de Arquitectura de Lisboa

29 settembre – 5 dicembre 2022
trienaldelisboa.com

Autore

  • Ilaria La Corte

    Dopo la laurea in Architettura all’Università di Roma Tre, prosegue la formazione professionale in Portogallo, dove vive e lavora. Dal 2017 svolge attività di ricerca come dottoranda presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Porto (FAUP), in co-tutela con lo IUAV di Venezia, con una tesi sui temi del dibattito architettonico internazionale, tra gli anni cinquanta e settanta, riletti attraverso l’opera di Giancarlo De Carlo e Nuno Portas. Dal 2015 svolge attività di supporto alla didattica presso il Politecnico di Milano nell’ambito della progettazione architettonica e urbana

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Last modified: 12 Ottobre 2022