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Case da studenti, tra ieri e il domani da inventare

Case da studenti, tra ieri e il domani da inventare

Tra fascinazioni da serie tv, nuove esigenze e restauri di capolavori, anche le residenze universitarie si confrontano con il futuro. Alcuni libri recenti indicano la direzione

 

Il mondo della residenza universitaria rappresenta da sempre un immaginario attraente e in qualche modo misterioso. Anche nella cultura di massa, romanzi, film, spettacoli teatrali hanno interpretato questi ambienti come lo sfondo ideale per la nascita di personaggi geniali, associazioni clandestine, amori proibiti. Uno scenario a cui attinge a piene mani lo storytelling contemporaneo, con l’ambientazione di fortunate serie televisive come “Fresh Meat”, “Tiny Pretty Things” (nell’immagine di copertina) o “The Magicians”. Dove la vita in comune di gruppi di studenti, il loro stretto confronto generazionale, i legami con compagni e docenti costruiscono trame complesse, dando vita a interni rappresentativi delle contraddizioni della vita esterna.

Il fascino si basa proprio sulla connotazione ibrida di questi luoghi: dove il percorso educativo non può essere separato dall’esperienza della vita reale, lo studente dal suo ruolo di futuro protagonista della comunità. Non è semplicemente la trasmissione del sapere a essere perseguita, ma la costruzione di una disposizione morale, attraverso scelte etiche, appartenenza a gruppi, rapporti di amicizia, scambi personali, relazioni sentimentali.

Tali considerazioni sono alla base della riflessione presentata in Vivere e abitare l’Università (a cura di Oscar Bellini e Matteo Gambaro, Maggioli, 2020, 242 pagine, € 29). L’ipotesi – condotta attraverso una serie di articoli e interventi, sia di riflessione teorica che dedicati a casi studio – è quella di una necessaria e urgente revisione della tipologia dello student housing, dalla quale emergano paradigmi flessibili e multifunzionali che rendano le strutture studentesche opportunità per la crescita della città e della comunità. Il mondo universitario si afferma come protagonista urbano, in grado di favorire strategie di rigenerazione, in una maggiore sinergia tra il cittadino, l’abitante, lo studente. La pubblicazione mette in dialogo, in maniera originale, il mondo delle università con quello dei gestori, degli investitori, delle istituzioni e dei progettisti, fornendo così una lettura articolata del fenomeno, nella prospettiva di una maggiore continuità tra il percorso di progetto e quello di realizzazione e programmazione delle strutture. Ciò implica il superamento di un’idea di standard progettuale, a vantaggio di una maggiore articolazione dei modelli spaziali e fruitivi, come già sperimentato in alcuni casi a livello nazionale e internazionale.

È proprio questa dimensione progettuale al centro di Progettare l’abitare. L’architettura del Collegio di Milano (di Fabrizio Schiaffonati, Rino Majocchi e Giovanni Castaldo, Skira, 2019, 176 pagine, € 30, testo italiano e inglese). Riferendosi a un contesto di grande significato culturale e architettonico come quello realizzato da Marco Zanuso ad inizio anni settanta, il libro mette in evidenza la necessità di coniugare la continuità delle forme e delle prassi del passato con le pressanti richieste della contemporaneità, volte a una ricerca d’innovazione che sappia accogliere le esigenze di un pubblico sempre più eterogeneo. L’occasione prende le mosse dal concorso di ampliamento del 2016, finalizzato ad affiancare un nuovo corpo di fabbrica per circa 60 studenti alle sedi storiche (oltre a quella di Zanuso, un’espansione è stata realizzata da Piuarch). Il progetto vincitore, dello studio CSTAT, si fa veicolo della necessaria sensibilità, erigendo il pragmatismo formale di Zanuso a principio regolatore delle relazioni con il contesto urbano, in una sofisticata dialettica scalare e fruitiva tra la dimensione tipologica, paesaggistica e ambientale. Condizione per la definizione di un campus coeso, che non si discosta dal suo impianto morfologico-abitativo originario.

Analoghi sono i temi che sollecita un’altra pubblicazione che discute di edilizia universitaria e storia: La città universitaria di Roma. Costruzione di un testo architettonico (di Guia Baratelli, Silvana Editoriale, 2019, 240 pagine, € 20). Un ricco itinerario che ricostruisce un luogo e un’occasione emblematici della nostra modernità, a circa 90 anni dalla sua costruzione. In una tensione tra principio insediativo, genesi compositiva, spazio pubblico e identità dei singoli edifici.

 

 

 

 

Quale tipo di complessità è dunque richiesta al progetto della residenza studentesca, nella sua imprescindibile articolazione fruitiva e scalare? A questa domanda sembra voler rispondere una quarta pubblicazione, I collegi di Giancarlo De Carlo a Urbino (di Antonio Sansonetti, Antono Troisi, Davide Del Curto, Maria Paola Borgarino, Monica Mazzolani e Nico Bazzoli, Mimesis, 2019, 428 pagine, € 34), pubblicato in occasione del centenario della nascita di De Carlo. Il volume presenta il Piano di conservazione e gestione dei Collegi universitari, realizzato tra il 2015 e il 2017 grazie al programma Keeping It Modern della Getty Foundation, una prassi innovativa per gli edifici del XX secolo in Italia, che ha richiesto la collaborazione tra diverse competenze, attraverso la costituzione di un team interdisciplinare di architetti, esperti di restauro e diagnostica, sociologi. Come afferma Borgarino, la riflessione sul valore storico e identitario può affermarsi come punto di partenza per un processo aperto, in grado di orientare e aggiornare le forme dell’abitare: “Elementi tecnologici e materiali instaurano un nesso profondo non solo con la lungimirante visione abitativa del progetto di De Carlo e con la fruizione attuale del complesso ma anche con la più ampia trasformazione del paesaggio contemporaneo”.

Approcci e sperimentazioni che rilanciano, quindi, la domanda relativa all’importanza della relazione tra la qualità degli spazi e quella dei processi di apprendimento. E che tracciano una nuova via per definire il volto della residenza studentesca di domani, a vantaggio di una maggiore coesione tra i modelli dell’offerta, della gestione e del progetto.

 

Autore

  • Marianna Arcieri e Martino Mocchi

    Martino Mocchi è dottore in Filosofia e dottore di ricerca in “Progetto e tecnologie per la valorizzazione dei beni culturali”. Svolge attività didattica e di ricerca presso il Dipartimento ABC del Politecnico di Milano sui temi del paesaggio urbano e della multisensorialità, con particolare riferimento al contesto della residenzialità universitaria. È autore di diverse pubblicazioni su questi temi. Marianna Arcieri è dottore in Architettura. Svolge attività di supporto alla didattica presso il Dipartimento ABC del Politecnico di Milano e il Dipartimento di Ingegneria e Scienze Applicate dell’Università degli Studi di Bergamo. I suoi ambiti di interesse riguardano lo Student Housing, il Social Housing e l’Urban Health.

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Last modified: 24 Marzo 2021