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Luca GibelloWritten by: Reviews

China goes urban: sogno o incubo?

Visita alla mostra sulla nuova epoca della città in Cina, allestita al Museo d’arte orientale di Torino

 

TORINO. Come rappresentare il macroscopico ed incessante fenomeno dell’urbanesimo cinese? Con quali strumenti analizzarlo? Quanto dista dalla nostra realtà? Sono alcune delle domande che sottendono la mostra “China goes urban. La nuova epoca della città”, ospitata dal Museo d’arte orientale (MAO), il quale getta così un ponte tra il presente e la sua preziosa collezione di reperti antichi. Se l’universo urbano cinese è impossibile da cogliere nella sua totalità (ogni anno, oltre 16 milioni di persone si riversano dalle aree rurali nelle città; dal 1978 ad oggi, la quota d’inurbati rispetto alla totalità della popolazione è passata dal 18 al 60%), l’unica alternativa è procedere per frammenti (carattere che informa l’esposizione e termine ricorrente nel catalogo), per accostamenti di quadri captati da prospettive molteplici, e per approfondimenti di casi emblematici: come ad esempio le new town (in mostra Tongzhou, Zhaoqing, Zhengdong e Lanzhou) o le tipologie edilizie ivi ricorrenti (la stazione ferroviaria, il museo – quasi sempre vuoto -, le residenze a schiera o quelle collettive).

La mostra, varata in occasione del 50° anniversario della cooperazione universitaria tra Italia e Cina, è l’esito dell’impegno ormai ventennale profuso dal Politecnico di Torino, recentemente concretizzatosi nell’istituzione del centro di ricerca China Room (che alimenta le cronache via via pubblicate da questo Giornale); avvalendosi, nella fattispecie, della collaborazione con l’Università Tsinghua di Pechino.

Il percorso della mostra, sequenziale, presenta due registri di lettura. Da un lato, un campionario degli elementi che definiscono le forme dell’antropizzazione del territorio (cantieri, infrastrutture, masterplan, edifici); da questi “materiali” il campo si allarga ai fenomeni di urbanizzazione globale, comparando trend di crescita e valori quantitativi a scala planetaria. Dall’altro lato, una lettura soggettiva degli spazi aperti costruiti o semi-rurali (attraverso foto e video di Prospekt Photographers), colti nella loro cacofonia o nella fresca compiutezza di un disegno urbano e paesaggistico, via via popolati della vita quotidiana delle persone comuni.

La mostra, ricca di stimoli fatalmente nevrotici, riproduce nel visitatore quel senso di spaesamento che è proprio dell’odierna realtà urbana cinese: in particolare, per la giustapposizione di paesaggi eterogenei che convivono fianco a fianco, palesando la totale inadeguatezza di categorie interpretative come “città” vs “campagna”.

In un percorso per stanze, pure l’allestimento è incalzante quanto efficace nel tenere insieme medium diversi: fotografie, video, animazioni infografiche, modelli tridimensionali e pannelli di testo (pochi, giustamente). Astratto ma non minimale, nella bicromia rosso-nero e nella valorizzazione dell’apporto illuminotecnico per camera oscura (siamo pur sempre in un museo d’antichità), anch’esso presenta un carattere “urbano” nella segnaletica a pavimento e nei “semafori”, ovvero display rossi che si attivano in caso di assembramento nella stanza successiva, suggerendo nell’attesa di accedere a ulteriori contenuti multimediali attraverso QR Code.

Cosa apprezzabile, questa rassegna, curata da addetti ai lavori, non è autoreferenziale. Così, anche il visitatore comune può interrogarsi se la nuova scena urbana cinese (che sta correndo assai più veloce di noi, ma in realtà soltanto per colmare un gap, visto che in Europa la popolazione inurbata è pari al 75% e negli Stati Uniti all’80% del totale) sia un sogno (come quello che ci accoglie all’ingresso con la riproduzione di un’exhibition hall, sorta di spazio marketing per promuovere l’immagine dei nuovi habitat) o un incubo. L’interrogativo è ovviamente lasciato aperto, sebbene, fatte le debite proporzioni di scala (e pandemia permettendo), le dinamiche relazionali e di trasformazione parlino chiaramente di una tendenza all’omologazione dei processi e degli usi degli spazi urbani a tutte le latitudini. Tuttavia, anche cullandoci su qualche perdurante pregiudizio, nel nostro bistrattato e un po’ trasandato cantuccio c’illudiamo di godere ancora d’un piccolo vantaggio…

Immagine di copertina: contadine al lavoro a Zhongmu, 2019, Zhengzhou, provincia dello Henan (foto di Samuele Pellecchia)

 

 

“China goes urban. La nuova epoca della città”

MAO – Museo d’arte orientale di Torino
dal 16 ottobre 2020 al 14 febbraio 2021

Web: chinagoesurban.com

Un progetto di: Politecnico di Torino – Prospekt Photographers
Promosso e organizzato da: Fondazione Torino Musei – MAO Museo d’Arte Orientale di Torino
Partner scientifico: Tsinghua University
Main partner: Intesa Sanpaolo
Partner: TRANS-URBAN-EU-CHINA
Curatela scientifica: Michele Bonino – Francesca Governa
con la collaborazione di Maria Paola Repellino e Angelo Sampieri
Curatela artistica: Samuele Pellecchia
con la collaborazione di Francesco Merlini
Coordinamento scientifico: Francesco Carota
Co-curatela: Liu Jian
con la collaborazione di Zhang Li, Fan Lu
Coordinamento e organizzazione: Angela Benotto – Delia Malfitano
Foto e video: Samuele Pellecchia
Musiche: Federico Chiari
Elaborazioni e rappresentazioni grafiche: Giorgia Greco – Nikos Katsikis – Leonardo Ramondetti – Astrid Safina
Modelli architettonici: Stefano Orizio
Progetto di allestimento: BTTstudio (Giuseppe Mastrangelo, Giulia La Delfa, Niccolò Suraci, Cristiano Tosco)
con la collaborazione di Luca Barello
Grafica: BTTstudio (Quirino Spinelli)
con la collaborazione di Roberto Clemente
Progettazione web: Francesco Merlini
Coordinamento eventi: Delia Malfitano – Lidia Preti
Consulenza ufficio stampa: Cultivar
Traduzioni: Breda & Young Srl
Trasporti: Fercam SpA
Assicurazione: AGE Srl
Allestimenti: MODO Srl
Impianti audiovisivi: Timpani Srl
Catalogo: Skira (Milano, 2020, pp.256, a cura di Michele Bonino, Francesco Carota, Francesca Governa, Samuele Pellecchia)

Autore

  • Luca Gibello

    Nato a Biella (1970), nel 1996 si laurea presso il Politecnico di Torino, dove nel 2001 consegue il dottorato di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica. Ha svolto attività di ricerca sui temi della trasformazione delle aree industriali dismesse in Italia. Presso il Politecnico di Torino e l'Università di Trento ha tenuto corsi di Storia dell’architettura contemporanea e di Storia della critica e della letteratura architettonica. Collabora a “Il Giornale dell’Architettura” dalla sua fondazione nel 2002; dal 2004 ne è caporedattore e dal 2015 direttore. Oltre a saggi critici e storici, ha pubblicato libri e ha seguito il coordinamento scientifico-redazionale del "Dizionario dell’architettura del XX secolo" per l'Istituto dell’Enciclopedia Italiana (2003). Con "Cantieri d'alta quota. Breve storia della costruzione dei rifugi sulle Alpi" (2011, tradotto in francese e tedesco a cura del Club Alpino Svizzero nel 2014), primo studio sistematico sul tema, unisce l'interesse per la storia dell'architettura con la passione da sempre coltivata verso l’alpinismo (ha salito tutte le 82 vette delle Alpi sopra i 4000 metri). Nel 2012 ha fondato e da allora presiede l'associazione culturale Cantieri d'alta quota

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Last modified: 20 Ottobre 2020