In una recente intervista, il protagonista della land art recentemente scomparso parlava del suo più gigantesco progetto irrealizzato, portato avanti per oltre 40 anni
Maestro della land art, entrato nella storia dell’arte soprattutto come impacchettatore, per oltre mezzo secolo Christo (1935-2020) ha firmato progetti giganteschi in tutto il mondo, in nome della libertà di espressione e della totale autonomia realizzativa. Ha avviluppato coste e ponti, mura romane e valli, edifici iconici e isole. Sottraendoli per qualche tempo alla vista dell’opinione pubblica sotto il velo di lievi tessuti colorati, ne riaffermava l’importanza, regalando così alla collettività la possibilità di nuovi sguardi. Ma l’artista bulgaro naturalizzato statunitense ha portato avanti anche altre modalità d’interagire con paesaggi naturali e urbani, seguendo un ulteriore filo rosso della sua produzione, che invece della leggerezza di tessuti accarezzati dal vento, puntava sulla concretezza di barattoli, barili e fusti di metallo, come ci aveva spiegato in diversi incontri nel periodo precedente e successivo al progetto italiano dei Floating Piers, quando con l’idea di utilizzare fusti di metallo, portava avanti in parallelo il suo gigantesco progetto di una mastaba nel deserto di Abu Dhabi, e intanto ne presentava una versione per così dire in miniatura alla Fondation Maeght di Saint-Paul-de-Vence, in Francia, alta “solo” 9 m, e con una base di 17 x 9 m, lavorando inoltre alla versione per il laghetto Serpentine nel londinese Hyde Park, realizzata nel 2018, alta 20 m. La grande madre di quelle varianti, che Christo voleva realizzare in Medio Oriente, la stava coltivando dal 1977. Nella sua carriera lunga oltre mezzo secolo, molti progetti sono stati carsici. Le dimensioni enormi che li caratterizzavano richiedevano articolati studi di fattibilità; spesso lunghissime trattative con gli interlocutori istituzionali, preposti al rilascio delle necessarie autorizzazioni; raccolta di fondi stratosferici; un’organizzazione dettagliata dei tempi di montaggio e smontaggio; l’ingaggio temporaneo di piccoli eserciti di ditte e addetti; lo smaltimento e la vendita dei materiali di risulta. La mastaba di Abu Dhabi è stato uno di questi progetti carsici. A differenza dell’impacchettamento dell’Arc de Triomphe di Parigi, rimandato solo a causa del Coronavirus, ma che le autorità francesi affermano di voler comunque produrre, al momento della morte di Christo, il 31 maggio, la mastaba è rimasta indicata nel suo curriculum come l’ultimo progetto ancora in progress.
Il 27 giugno 1962, un anno dopo la costruzione del muro di Berlino, assieme a sua moglie Jeanne-Claude, lei per protesta chiuse con muro provvisorio di 89 fusti di metallo la stretta rue Visconti di Parigi. In realtà però ancor prima e poi lungo tutta la sua carriera ha usato quelli che oggi vengono comunemente chiamati barili e che nell’immaginario collettivo fanno pensare al petrolio. Come mai?
All’inizio mi sono interessato a contenitori cilindrici di piccole dimensioni. Il primissimo oggetto che ho impacchettato era un fusto industriale, di quelli che contengono pittura. Da lì, con mia moglie, siamo passati ai barili veri e propri, con cui feci delle sculture negli ultimi anni ’50. A volte li impacchettavamo, a volte no. E poi naturalmente nei primi anni ’60 vi fu rue Visconti, e da lì continuai a fare sculture coi barili.
Anche il suo interesse per la forma della mastaba, da ricreare con fusti di metallo, è di lunga data. È in qualche relazione con le tombe monumentali egizie?
La mastaba è una delle forme geometriche più antiche, risale a molto prima dell’Egitto. In Mesopotamia davanti alle case costruivano delle panche: due lati orizzontali, due verticali e due inclinati, una mastaba, appunto. Le tombe sono venute molto più tardi. È la forma geometrica della mastaba in quanto panca, che m’interessa. La puoi realizzare per esempio impilando degli oggetti cilindrici, come sigarette, bottiglie o matite, con un’angolazione costante di 60° sui lati inclinati.
Quando le venne l’idea di costruire una mastaba come opera d’arte?
La prima idea risale agli anni ’60 e riguardava il Texas. Volevamo costruirne una con dei barili tra Houston and Galvestone, ma non ci diedero il permesso. Ne realizzammo una a Filadelfia nel 1968 all’Institute of Contemporary Art, con 1.240 barili. Poi negli anni ’70 speravamo di costruire una mastaba nel parcheggio del grande museo Kröller-Müller a Otterlo, in Olanda, che ha numerose mie opere fatte con i barili, ma anche lì non ottenemmo mai il permesso. Per cui nel 1977 mettemmo in campo l’idea di costruirne una nel deserto, ad Abu Dhabi, e cominciammo a lavorare a questa possibilità.
Come la immaginate?
Ci vorranno 410.000 barili di acciaio del diametro di 60 cm. La base avrà una larghezza di 300 m e una profondità di 225, con un’altezza di 150. L’area scelta dopo i sopralluoghi è nel deserto vicino all’oasi di Liwa, a 160 km a sud di Abu Dhabi. I barili saranno colorati, con sfumature soprattutto dal giallo all’ocra, cosicché le superfici verticali appariranno come un gigantesco dipinto puntinista, o come un enorme mosaico colorato. Sarà la scultura più grande al mondo, più alta della piramide di Cheope, e sarà l’unica nostra opera permanente. Le due pareti inclinate creeranno l’impressione della più incredibile scala verso il paradiso: mentre sali non vedi l’altro lato, vedi solo un’enorme scalinata che sale al cielo.
Da quanto dice, e date le dimensioni, i precedenti architettonici come tomba monumentale, e il fatto che per la prima volta nella sua carriera il progetto non ha una data di scadenza, non verrà smantellato e resterà in permanenza, intende costruirsi un mausoleo?
Non è così, la cosa fondamentale di questa mastaba è la geometria.
Una scultura di quelle dimensioni, realizzata con barili di metallo in un paese produttore, potrebbe indurre anche a pensare ad uno statement sul petrolio?
No, sarebbe molto banale. E comunque sia, il petrolio è parte integrante della nostra civiltà, è una realtà della nostra vita, è inutile chiudere gli occhi e far finta che non sia così. La mia mastaba non è una celebrazione, è una struttura che si riferisce ad una forma geometrica, i barili creano solo un gigantesco dipinto puntinista, senza decorazioni, senza nient’altro. È sbagliato cercarvi un’interpretazione politica. Noi usiamo dei banalissimi oggetti industriali. I barili non sono stati inventati dalle compagnie petrolifere. Accompagnano la vita umana da tempo immemorabile. In passato erano fatti di legno, sono stati per centinaia di anni un normale mezzo di trasporto, prima di essere usati per il petrolio. E poi, molti dei barili di oggi non trasportano petrolio bensì acqua o molte altre cose. Negli Emirati la gente riconosce il potere del petrolio per lo sviluppo di quell’area e ne va fiera, perché ha aiutato la civilizzazione. Anche noi siamo dove siamo perché dal XIX secolo il petrolio è stato sfruttato industrialmente, ma lo conoscevano anche i popoli antichi. Dal petrolio si ricavano una quantità infinita di sostanze e prodotti, ha aiutato incredibilmente la medicina, sarebbe ingenuo pensare che la nostra mastaba sia direttamente riferita al petrolio, alle fonti energetiche, o alla sofferenza dei popoli. Non è così.
Qual è ora lo stato dell’arte?
Abbiamo chiesto studi di fattibilità e approfondimenti a diversi gruppi di esperti: il Politecnico di Zurigo, le università dell’Illinois, quella inglese di Cambridge e la Hosei Tokyo; abbiamo anche condotto un’analisi sui benefici socio-economici per l’Emirato. Quindi, tra il 2012 e il 2015 i risultati sono stati analizzati a Stoccarda, dagli ingegneri di Schlaich Bergermann und Partner, che hanno stabilito la possibilità di montare l’intera costruzione di barili in 3-4 giorni, grazie a 10 torri di elevazione. Abbiamo già investito somme ingenti in questo progetto, che alla fine potrebbe arrivare a costare 350 milioni di dollari.
Immagine di copertina: Christo ad Abu Dhabi sul sito prescelto per la realizzazione della mastaba (© Wolfgang Volz)
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arte contemporanea , paesaggio
Last modified: 3 Giugno 2020