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Mendrisio: satira e reality show a Teatro

Mendrisio: satira e reality show a Teatro
Due mostre e gli esercizi didattici di Riccardo Blumer (che torna a dirigere l’Accademia di architettura dopo Walter Angonese). Sorrisi ed ironie nella ricerca di Gabriele Neri, colori e sorprese nelle fotografie di Stefano Graziani

 

MENDRISIO (Svizzera). Rompono gli schemi, e le narrazioni tradizionali. Fatto non banale in un luogo così tipologicamente connotato come il Teatro dell’architettura (progetto di Mario Botta, del 2018).

All’Accademia di architettura di Mendrisio il semestre autunnale porta in dono tre mostre originali e non scontate, tre episodi di un percorso in sequenza. Lo racconta Riccardo Blumer – architetto, bergamasco di nascita – che torna alla guida della Scuola fondata da Mario Botta e Aurelio Galfetti (l’anno prossimo ricorrono i 30 anni dall’apertura) dopo il periodo 2016-2021. In mezzo i 4 anni di un altro progettista e docente italiano, Walter Angonese. “Questo luogo – spiega parlando nella sala centrale del Teatro – deve essere il cuore della nostra istituzione, anche nel suo essere composto di spazialità diverse. Qui al piano terra ci saranno sempre installazioni e lavori delle studentesse e degli studenti dell’Accademia che rappresentano le loro idee e le loro visioni”.

Si comincia con la sequenza di strutture mobili in legno, realizzate proprio nei corsi tenuti da Blumer al primo anno. Da qui il nome “Esercizi”. Non una novità in assoluto, fin dall’apertura di questo Teatro, spazialmente solenne, Botta aveva voluto che fosse animato dalle macchine architettoniche di Blumer. Oggi la sequenza densa di esili e chiari elementi che si possono manovrare occupa variamente lo spazio: una riflessione suggestiva sul tema del corpo, del movimento, dell’evento. Che apre all’architettura come pratica performativa, che può essere messa in funzione, agendo sui suoi elementi costitutivi.

Occupano l’area centrale del piano terra ma coronano anche la balconata superiore, in un dialogo tra suolo e cielo. E con le altre esposizioni, entrambe aperte fino a fine marzo 2026. “Questo spazio è tripartito – prosegue Blumer – Lo spazio centrale del teatro, la galleria al primo piano più intima e riflessiva dove ci sono momenti di approfondimento teorico, l’ultimo livello dedicato ad arte e creatività contemporanea. Nel suo essere luogo di luoghi, il Teatro dell’architettura, e con lui l’Accademia, deve ribadire il nostro ruolo di creatori di mondi”.

 

 

Capitolo (e piano) 1, Archisatire

Una serissima esposizione sull’ironia in architettura è collocata al primo piano. A guidarci nel “capovolgimento di prospettive”, come lo chiama, è Gabriele Neri, il curatore di questa controstoria dell’architettura, quasi un paradosso per chi insegna storia (al Politecnico di Torino, oltre che all’Accademia).

Siamo abituati – spiega – a raccontare e a raccontarci attraverso la celebrazione di fatti, progetti ed eventi eccezionali, spesso narrati in maniera eroica. Qui no, è tutto il contrario: in mostra ci sono case invivibili e architetti cialtroni, prese in giro e disegni paradossali”.

L’esposizione è un unicum nel suo genere. Perché unisce sguardi ironici, satirici e umoristici, sarcasmo, irriverenza e leggerezza (impossibile non sorridere, e magari anche ridere, in alcune parti) con una fortissima passione personale (“Ho iniziato a raccogliere questi materiali 20 anni fa, durante gli studi. Era un gioco, un divertimento. Che poi si è trasformato in un percorso di ricerca che mi ha portato in moltissimi luoghi a cercare ossessivamente i segni di un racconto alternativo dell’architettura e della città”), la raccolta di materiali d’archivio di grande valore documentale (i più antichi sono del 17° secolo) con una struttura scientifica inappuntabile. Il percorso si divide infatti in 4 parti: le caricature delle figure principali della scena architettonica, gli scandali urbani, i progetti di case irrazionali, le vignette disegnate dagli architetti.

Ci sono vignette e cartoons, fotomontaggi e video, modelli e citazioni. In colore e in bianco e nero. Storie note e chicche sorprendenti (come un imperdibile cartone sovietico che racconta come uffici e burocrazia rendono impresentabile un progetto perfino a chi l’ha progettato, qualche decennio fa). E accostamenti inattesi: da Jørn Utzon (e la sua parabola all’Opera House di Sydney) ai fumetti di Ugo La Pietra, da Alessandro Mendini al Renato Pozzetto de “Il ragazzo di campagna” (quello che – taaac – si trova a vivere in un appartamento minuscolo, dove però c’è tutto).

L’ironia diventa un filtro per osservare architetture e città: un percorso parallelo che guarda a come la società interpreta e digerisce le trasformazioni spaziali. Dal basso si direbbe. Ma con il sorriso.

 

Capitolo (e piano) 2, Reality show

Diciannove fotografie, a colori, di formato diverso, senza didascalie appese, installate a costruire una geografia non scontata. Anche qui, al secondo piano del Teatro dell’architettura, la sorpresa è la prima sensazione. Se ti aspetti la mostra di fotografia di architettura con scatti di un architetto fotografo (e Stefano Graziani, bolognese, laureato allo Iuav, lo è) resti deluso. O perlomeno hai bisogno di qualche minuto per ricalibrare lo sguardo.

“Perché si lavora sull’autonomia della fotografia. E soprattutto sulla sua capacità di documentare la realtà. Come in uno show, un reality show, appunto”. Le parole sono di Francesco Zanot, critico e storico di fotografia, curatore di questo percorso. Inatteso perché la selezione delle immagini sfida i codici e le convenzioni. L’architettura c’è, ovviamente, ma sembra sfilacciarsi, perdersi e poi ritrovarsi in composizioni rinnovate.

Ci sono gli uffici di Studio Mumbai con 3 pappagalli sopra un tavolo, in uno still life che sembra un quadro e che apre il percorso, o il Collegio del Tridente di Urbino di Giancarlo De Carlo come anche la Maison Planeix di Le Corbusier. Ma sono lo sfondo di una realtà in cui le immagini “sacrificano la concezione dell’inquadratura come dispositivo per isolare un soggetto, sfruttandone al contrario la straordinaria capacità di affiancarne molti”.

Sorprendenti, queste fotografie sono disfunzionali per scelta. Sembrano sottrarsi alla categoria dell’utile e del necessario per collocarsi in una dimensione diversa. Dove a vincere sono i dettagli e le deviazioni. Anche qui, le storie parallele e laterali. Che siano immagini o disegni, spaccano virtualmente la stereometria di Mario Botta e del suo Teatro dell’architettura. Per un semestre (almeno per un semestre) Mendrisio scommette su un modo altro di raccontare (forse anche di pensare) l’architettura.

 

Immagine di copertina: Mendrisio (Teatro dell’architettura, Mario Botta), mostre semestre invernale 2025-206, inaugurazione

 

STEFANO GRAZIANI. Reality Show

a cura di Francesco Zanot

ARCHISATIRE. Una controstoria dell’architettura

a cura di Gabriele Neri, in collaborazione con la Biblioteca dell’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera italiana

 

Mostre promosse dall’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera italiana

14 novembre – 29 marzo 2026

Teatro dell’architettura Mendrisio

Via Turconi 25, Mendrisio, Svizzera

Informazioni

Autore

  • Michele Roda

    Architetto e giornalista pubblicista. Nato nel 1978, vive e lavora tra Como e Milano (dove svolge attività didattica e di ricerca al Politecnico). Dal 2025 è direttore de ilgiornaledellarchitettura.com

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Last modified: 12 Novembre 2025