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Emanuele PiccardoWritten by: Progetti

Ri-visitati. Se il bonus 110% schiaccia la testa al “Biscione” di Daneri

Ri-visitati. Se il bonus 110% schiaccia la testa al “Biscione” di Daneri

Una visita al quartiere Ina Casa Forte Quezzi a Genova evidenzia le criticità di un sistema di tutela dalle armi spuntate

 

Il passato

Nel 1956, quando viene realizzato il Quartiere Ina Casa Forte Quezzi, soprannominato “Biscione” per la sua forma sinuosa lungo la collina, già l’Ina Casa voleva vederci chiaro e capire perché nella “periferia dell’impero”, a Genova, non avevano seguito ordinatamente i “consigli” dei libretti di progettazione redatti da Adalberto Libera, il fascista pentito come il presidente dell’Ina Arnaldo Foschini.

L’intuizione di fare case a schiera che seguissero l’andamento della morfologia collinare venne a Eugenio Fuselli durante un sopralluogo sull’area di progetto e Luigi Carlo Daneri, acuto e intelligente progettista, la fece subito sua. Questa impostazione venne seguita per tutto l’insediamento abitativo, composto da altri 4 “biscioni” di diversa fattura, tra cui spicca, per qualità formale e tipologica, la Casa C progettata dal gruppo coordinato da Robaldo Morozzo Della Rocca con Braccialini, Spina, Dasso, Datta e Cotroneo. Lungo 384 metri, l’edificio non propone il cemento a vista, come nella Casa A, ma pareti intonacate, intervallate da superfici in cotto e parapetti in vetro che separano le logge, conferendo leggerezza all’insieme, pur applicando una variante al sistema di pilotis, diversi dalla Casa A, con un’attenzione al dettaglio costruttivo delle scale di accesso al piano d’ingresso delle singole unità. Questo linguaggio dopo cinquant’anni è ancora attuale: potrebbe essere stato realizzato da uno studio di architettura olandese come MVRDV.

Il quartiere genovese rappresenta un’eccezione che rompe con la tradizione costruttiva voluta dall’Ina Casa per gli altri insediamenti realizzati nel resto del paese. La forma e la scelta dei materiali lo inseriscono tra gli archetipi più importanti e sperimentali dell’architettura moderna italiana. La difficoltà di configurare il bordo della città, come avviene in questo caso, ha portato i progettisti a individuare un modello ripetibile per tutti e cinque gli edifici: un atteggiamento culturale innovativo che guarda al paesaggio con rispetto, molto di più di altri interventi collinari genovesi come la Diga di Begato, recentemente abbattuta per fare posto a “casette dei puffi” ma energeticamente efficienti.

Il “biscione” ha sopportato bene il passare del tempo, le personalizzazioni degli abitanti, risultando un’opera che non invecchia, come invece spesso accade a realizzazioni degli anni novanta del secolo scorso. È un’architettura onesta, non ambigua, attraverso la quale Daneri ha manifestato il suo credo linguistico e la coerenza nello scegliere un maestro: Le Corbusier.

Daneri è stato un protagonista della stagione architettonica italiana del dopoguerra. A Genova e in Liguria si è confrontato con contesti diversi: la costa, la collina, la città; lì ha trovato il modo di sperimentare la forma architettonica dialogando con l’orografia e stabilendo relazioni spaziali con le preesistenze naturali e antropizzate.

 

Il presente

Il presente delle opere di Daneri è una brutta pagina della storia di Genova. Non basta vedere la Casa del soldato a Sturla in uno stato di degrado, dopo il ritorno al Demanio per la fantomatica caserma dei vigili del fuoco che la Soprintendenza, fortunatamente, ha stoppato. Progettata nel 1938 per il partito fascista, è un piccolo capolavoro che fu elogiato anche da Bruno Zevi.

Adesso tocca anche al Quartiere Ina Casa Forte Quezzi, sottoposto al bonus edilizio del 110% con un investimento di 33 milioni per interventi per la sicurezza sismica, l’efficienza energetica, le dotazioni antincendio e l’abbattimento delle barriere architettoniche.

Così una visita recente al quartiere ha destato preoccupazione per la tinteggiatura di grigio del cemento a vista della facciata (sorte che toccherà anche ai pilotis): una palese e discutibile alterazione dell’idea originaria, nonostante fosse avallata dalla documentazione presentata sia al Comune che alla Soprintendenza. Nel caso comunale, con le Cila presentate tra il 2021 e il 2022 e il nulla osta colore (articolo 94 del Regolamento edilizio) che non prevede eccezioni tra condomini e architetture. Perché è indubbio che colorare il cemento coprendone i segni dei casseri significa modificarne l’aspetto originario. Ci sarà un motivo per cui Daneri nel 1956 decise di tenere il cemento armato a vista? Quale criterio è stato adottato per scelte che non appartengono ai principi base del restauro del moderno?

Purtroppo la Soprintendenza ligure ha “armi” legislative spuntate, che non permettono opposizioni formali le quali verrebbero poi respinte da eventuali ricorsi al TAR. La normativa in materia di vincoli prevede che un’architettura debba compiere settant’anni di vita per essere tutelata (provvedimento del Governo Gentiloni, ministro della cultura Enrico Franceschini) e, purtroppo, per il “Biscione” questo compleanno cade nel 2026. Attualmente esiste solo un vincolo paesaggistico istituito nel 1953.

Occorre quindi capire: perché le architetture moderne non sono equiparate in Italia ad altre tipologie di monumenti?

 

Il futuro

Il futuro delle opere di Daneri è in grave pericolo per l’assenza di una sensibilità nell’affrontare i lavori di efficientamento energetico sia del “Biscione” che delle Case al Lido, sempre a Genova, oggetto anch’esse di un cantiere del bonus 110%. La questione è culturale e normativa. Sul piano culturale bisogna investire risorse economiche e umane nella formazione dei progettisti e dei costruttori, affinché sappiano agire in maniera corretta e rispettosa delle architetture moderne e contemporanee, con un aggiornamento costante sugli strumenti e le tecniche del restauro. Sul piano normativo è necessario che il legislatore non permetta il sovrapporsi di provvedimenti contradditori che, in funzione di un’aberrante semplificazione amministrativa a vantaggio di una parte (i condomini) ma a discapito del bene pubblico, possa consentire la distruzione di un patrimonio nazionale.

È paradossale continuare a discutere in ambito accademico elogiando i restauri della Neue Nationalgalerie di Mies van der Rohe a Berlino o delle opere di Le Corbusier, quando poi, più vicino a noi, si manifesta palesemente l’impossibilità d’intervenire per salvare l’architettura dalla sua alterazione.

Immagine di copertina: © Emanuele Piccardo

 

 

Autore

  • Emanuele Piccardo

    Architetto, critico di architettura, fotografo, dirige la webzine archphoto.it e la sua versione cartacea «archphoto2.0». Si è occupato di architettura radicale dal 2005 con libri e conferenze. Nel 2012 cura la mostra "Radical City" all'Archivio di Stato di Torino. Nel 2013, insieme ad Amit Wolf, vince il Grant della Graham Foundation per il progetto “Beyond Environment”. Nel 2015 vince la Autry Scholar Fellowship per la ricerca “Living the frontier” sulla frontiera storica americana. Nel 2017 è membro del comitato scientifico della mostra "Sottsass Oltre il design" allo CSAC di Parma. Nel 2019 cura la mostra "Paolo Soleri. From Torino to the desert", per celebrare il centenario dell'architetto torinese, nell'ambito di Torino Stratosferica-Utopian Hours. Dal 2015 studia l'opera di Giancarlo De Carlo, celebrata nel libro "Giancarlo De Carlo: l'architetto di Urbino"

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Last modified: 11 Febbraio 2023