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Emanuele PiccardoWritten by: Reviews

Ossessioni radicali

Ossessioni radicali
A partire dalla mostra su Superstudio al MAXXI, appunti e ricognizioni storiografiche di un fenomeno oggi di moda ma spesso letto in superficie

 

Nel 2005 inizio a studiare l’architettura radicale o Superarchitettura o neo-avanguardia architettonica. Non eravamo in molti al tempo che si erano appassionati al tema, non era figo occuparsi di Superstudio e Archizoom, e ancora meno di Ugo La Pietra, UFO, 9999, Strum, Zziggurat, Gianni Pettena, quelli di fatto che mi interessavano di più. Erano temi marginali che interessavano pochi ricercatori. E comunque solo i due gruppi fondatori nel 1966 della Superarchitettura (nome tratto dall’omonima mostra a Pistoia, replicata anche a Modena) avevano goduto più di altri della ribalta mediatica negli anni sessanta, che ancora oggi affascinano i neofiti critici dell’architettura radicale. Tanto che in un anno ben due mostre monografiche, al PAC di Milano e ora al MAXXI (“Superstudio 50”, a cura di Gabriele Mastrigli, dal 21 aprile al 4 settembre 2016), raccontano le sperimentazioni, i progetti, le visioni dei Superstudio.

Mentre mancano all’appello mostre monografiche sul Gruppo Strum (fondato da Pietro Derossi con Giorgio Ceretti, Carlo Gianmarco, Riccardo Rosso, Maurizio Vogliazzo), Zziggurat, 9999. A differenza di UFO, La Pietra e Pettena che hanno avuto le loro mostre antologiche solo in anni recenti. Gli UFO al Centro Pecci per l’arte contemporanea di Prato nel 2012, mentre nel 2015 la Triennale di Milano ha dedicato a La Pietra l’antologica dagli anni sessanta a oggi. Ma, soprattutto, quello che è latitante nelle programmazioni culturali dei musei e dei centri di cultura italiani, è una mostra che sappia sintetizzare il fenomeno Radicals. In questo senso nel 1996, alla Biennale diretta da Hans Hollein, Pettena trattò il tema nella mostra “Radicals. Architettura e Design 1960-1975” nella sua dimensione internazionale, anche se furono considerati radicali personaggi come Sottsass, Mendini, Pesce, Raggi, che si possono definire più compagni di strada e divulgatori del movimento che membri attivi.

Se da una parte l’Architettura Radicale ha generato al suo interno degli “storici” del movimento (Pettena, La Pietra, Branzi), dall’altra soggetti esterni, ricercatori accademici e indipendenti, hanno letto quella esperienza, attiva dal 1963 al 1973, con uno sguardo più lucido e imparziale. I primi sono stati due giovani torinesi, Bruno Orlandoni e Paola Navone, la cui tesi di laurea (relatore Carlo Olmo) indagava il movimento della neo-avanguardia, reso pubblico dal libro Architettura Radicale pubblicato dai documenti di «Casabella» nel 1974. Gran parte dei temi indagati a distanza di tempo restano insuperati al pari della sintesi sabauda, chiara ed efficace che contraddistingue il lavoro dei due studiosi-pionieri dei Radicals. Negli anni successivi la Francia con Frédéric Migayrou e Marie Ange Brayer, entrambi al Frac Centre, furono promotori di mostre monografiche con particolare riguardo ai radicali italiani Pettena e La Pietra, ma anche agli americani Ant Farm. Migayrou è anche il fautore delle acquisizioni da parte del Centre Pompidou di buona parte dei materiali di Superstudio, Andrea Branzi, UFO, La Pietra e Pettena.

In anni più recenti, nel 2003, Anna Rita Emili in Buckminster Fuller e le Neo-Avanguardie (Edizioni Kappa) indaga l’opera di Fuller e l’influenza che parte della sua ricerca aveva avuto sui radicals, in particolare Superstudio. Nello stesso anno, il direttore di «The Architec’s Newspaper» Bill Menking e il critico Peter Lang pubblicano la prima monografia sul Superstudio (Skira). Invece nel 2007 Roberto Gargiani studia tutta la produzione teorica e architettonica degli Archizoom, realizzando la prima ed unica mostra antologica del gruppo all’Ospedale degli Innocenti di Firenze, e contemporaneamente il libro Archizoom Associati 1966-1974 (Electa). Continuando in questo excursus storico non si può non citare Beatriz Colomina che, a differenza di altri, affetti da monografismo, ha letto il fenomeno radicale a livello internazionale attraverso le riviste indipendenti di architettura: le fanzine, i ciclostile, le piccole pubblicazioni autoprodotte; tutte parte della controcultura. Ovviamente l’Italia è presente con «Marcatre», la «Casabella» di Mendini (anche se questa tesi è contestata da Robin Middleton di «Architectural&Design»), i fotoromanzi degli Strum, le riviste «In», «In più», «Brera Flash» ideata dal randomico La Pietra, e poi la rivista «Utopie», «Street Farmer», «Inflatecookbook» degli Ant Farm, «Archigram», «Architecture Principe», «Global Tools»…

Tuttavia l’architettura radicale entra nel novero delle mode contemporanee per giovani e meno giovani critici, storici, curatori che hanno poche idee, molto confuse, e schizzano intorno al globo come palline impazzite ma trovano sponda nei gruppi radicali soprattutto quelli di testa, senza fare il minimo sforzo d’indagare in profondità.

 

Immagine di copertina: Superstudio, “Monumento Continuo”

 

Autore

  • Emanuele Piccardo

    Architetto, critico di architettura, fotografo, dirige la webzine archphoto.it e la sua versione cartacea «archphoto2.0». Si è occupato di architettura radicale dal 2005 con libri e conferenze. Nel 2012 cura la mostra "Radical City" all'Archivio di Stato di Torino. Nel 2013, insieme ad Amit Wolf, vince il Grant della Graham Foundation per il progetto “Beyond Environment”. Nel 2015 vince la Autry Scholar Fellowship per la ricerca “Living the frontier” sulla frontiera storica americana. Nel 2017 è membro del comitato scientifico della mostra "Sottsass Oltre il design" allo CSAC di Parma. Nel 2019 cura la mostra "Paolo Soleri. From Torino to the desert", per celebrare il centenario dell'architetto torinese, nell'ambito di Torino Stratosferica-Utopian Hours. Dal 2015 studia l'opera di Giancarlo De Carlo, celebrata nel libro "Giancarlo De Carlo: l'architetto di Urbino"

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Last modified: 3 Maggio 2016