PARMA. A distanza di poco più di un mese dall’inaugurazione (lo scorso 23 maggio) il Museo dello CSAC, il Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma, si sta rivelando un luogo di attrazione ora veramente tangibile e concreto; visitatori affascinati, o meglio stregati, dal numero enorme di materiali (ben 12 milioni!) che l’Abbazia cistercense Valserena custodisce come un enorme scrigno: dall’Arte (dipinti e sculture) alla Fotografia (qui ben 9 milioni di immagini meravigliose e preziosissime), dalla Moda (figurini, disegni, schizzi, abiti, riviste) al Progetto di architettura (disegni, maquettes, oggetti) ai Media (manifesti cinematografici e non, disegni di satira e fumetto, illustrazioni e così via).
Dunque una vera multi-esposizione, unica, a mio sapere, in Italia, visiva e progettuale, che occupa gli ampi spazi di questo enorme complesso del XIII secolo, tradizionalmente identificato come la stendhaliana Certosa di Parma, in aperta campagna ma a pochi chilometri dalla città di Parma.
Lo CSAC, è da ricordare, fu fondato con coraggio nel 1968 dal giovane e lungimirante professore di storia dell’arte Arturo Carlo Quintavalle, poi diretto fino allo scorso aprile e per venticinque anni da Gloria Bianchino (oggi la presidente è la brava e attiva Francesca Zanella), è ora uno spazio vivo, educante, di partecipazione attiva di professori e docenti, di ricercatori e studenti, di curiosi e amanti delle arti. Una realtà atipica per la nostra cultura italiana, che rimanda piuttosto al pensiero anglosassone del college, quale luogo di ricerca e di custodia dei saperi.
Dalla sua fondazione lo CSAC si è mosso a supporto dell’istruzione universitaria, ha promosso mostre, pubblicato cataloghi, organizzato convegni; tutte attività che oggi continuano in questa sede abbaziale, essa stessa un monumento da vedere, in grado di esaltare, attraverso il progetto di Carlo Quintelli, le collezioni in essa esposte, di stupire il visitatore, di avvolgere lo studioso che si aggira tra le opere di Fontana, Armani, Nizzoli, Man Ray, Ghirri, Dorothe Lange, Ponti, Samonà, Pericoli, Schifano, Pistoletto, Vincino, Pomodoro, Melotti, Cerioli, Mari, Borgonzoni, ma l’elenco è veramente infinito: tutto un secolo! Affascinante e intenso è il nuovo spazio ipogeo con sculture dal forte impatto, e non solo per la scala dimensionale. Ma tutti gli spazi espositivi di questo archivio, finalmente svelato a tutti, sono curati, puliti nell’essenzialità del segno. Sofisticati.
CSAC non è solo questo, anche se basterebbe: è anche un elemento altamente qualificante del contesto paesaggistico (più che urbano) e sociale che lo circonda; è un archivio, è un museo, è un centro di ricerca e didattica che fa capo all’Università di Parma: è il nostro Novecento. È insieme contenitore (l’Abbazia) e contenuto (milioni e milioni di opere) che non solo non ha eguali al mondo in ambito accademico ma teme anche pochi confronti in ambito extra accademico, perché è il frutto dell’instancabile, illuminato, pluridecennale lavoro di raccolta e di studio di un’intera comunità appassionata.
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