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Cristiana ChiorinoWritten by: Patrimonio

Cronistoria di una vita grama: il Palazzo del Lavoro dal 1961 a oggi

Cronistoria di una vita grama: il Palazzo del Lavoro dal 1961 a oggi

Visto come simbolo di integrazione tra invenzione strutturale e architettonica e veicolato dalle principali riviste nazionali e internazionali, il Palazzo del Lavoro ha affascinato intere generazioni. Nell’enfatizzare con un certo manierismo il ruolo fin troppo esibito della struttura, segna il passaggio alla «terza vita» di Pier Luigi Nervi, quella dei grandi incarichi internazionali.
L’appalto-concorso per la costruzione del padiglione di 47.000 mq che, per il centenario dell’Unità d’Italia, avrebbe ospitato la grande mostra sul lavoro presieduta da Giovanni Agnelli e allestita da Gio Ponti, viene bandito nel luglio del 1959. A ottobre, la giuria aggiudica l’appalto all’impresa Nervi & Bartoli, con progettisti oltre a Nervi, i figli Antonio e Mario e Gino Covre, uno dei principali ingegneri italiani di strutture metalliche. Il progetto è incentrato sulla suddivisione della copertura quadrata in 16 elementi indipendenti a ombrello di 40 m di lato separati da strisce continue di lucernari e costituiti da una raggiera di travi in acciaio e da un pilastro centrale a geometria variabile, caratteristica ricorrente nelle opere di Nervi dal viadotto di corso Francia a Roma (1960), alla stazione ferroviaria di Savona (1961), fino alla volta della Cattedrale di San Francisco (1970). La galleria perimetrale è invece costituita dai solai a nervature isostatiche tipici di Nervi, realizzati con casseforme in ferrocemento mobili, secondo un procedimento già ampiamente sperimentato da Nervi in diversi edifici tra cui il Lanificio Gatti (1951-53). La proposta convince per la semplicità e la leggibilità strutturale e, grazie alla soluzione modulare e alla differenziazione dei materiali, è la sola in grado di garantire il rispetto dei tempi strettissimi di esecuzione. Al di là dei dati tecnici, tuttavia impressionanti – 158 m di lato per 26 di altezza e 650.000 mc di volume – l’aspetto più innovativo è infatti costituito dall’organizzazione di cantiere. Iniziato nel febbraio del 1960, a fine dicembre l’edificio è già concluso.

Nel film Omicron di Ugo Gregoretti del 1963, gli edifici di Italia ’61, il tracciato sopraelevato della monorotaia, assieme a inquadrature del Palazzo del Lavoro e del Palazzo delle Mostre, disegnano lo scenario di una metropoli futuribile e fantascientifica degna dei migliori scenari di Topolinia. Il futuro di quella città immaginata è invece una cronaca di demolizioni, progressivi abbandoni e progetti mancati.

La monorotaia davanti a Palazzo del Lavoro

La monorotaia davanti a Palazzo del Lavoro

 

Già Bruno Zevi aveva individuato la difficoltà di riutilizzo delle strutture: «Gli architetti progettano i fabbricati indipendentemente dai contenuti, poi sopraggiungono gli architetti allestitori che si affannano a riempire spazi predeterminati e generici. Alla radice di tutti i difetti estetici e tecnici delle architetture espositive sta questa dissociazione procedurale. Il perimetro del Colosseo è di 527 m, quello del Palazzo del Lavoro raggiunge i 640 m, la Basilica di San Pietro copre un’area di 15.160 mq e il Palazzo del Lavoro 25.000 mq. Ma a chi interessano questi dati? Il giudizio positivo su Italia ’61 si limita alla sistemazione urbanistica. Il resto è retorica, futilità più o meno macchinistica e folclore, tanto più che nessuno ha ancora inventato una possibile utilizzazione razionale del Palazzo del Lavoro a festa finita».

Nonostante le varie soluzioni per un possibile riutilizzo proposte dallo stesso Nervi nel concorso del 1959, tra cui figura anche un impianto sportivo, già all’indomani dell’Esposizione si succedevano in Consiglio comunale le relazioni sull’utilizzazione degli edifici e delle opere costruite per le manifestazioni del centenario. Nel 1962 lo studio Nervi è incaricato del progetto di trasformazione del Palazzo in centro professionale, candidandolo a sede del Bureau International du Travail (BIT), un’agenzia dell’ONU, in modo da far confluire sulla città capitali stranieri.

Gli uffici del Bit all'interno di Palazzo del Lavoro

Gli uffici del Bit all’interno di Palazzo del Lavoro

 

E così a dicembre del 1963 il Ministero delle finanze (proprietario del Palazzo ma non del suolo su cui insiste) affida l’edificio al Comune con una convenzione di 19 anni per farne la sede BIT, che vi si installa nel 1965 dopo importanti opere di riadattamento. All’inizio degli anni settanta la Città di Torino con un progetto rimasto sulla carta tenta di disporre di una parte della sede per installare complessi sportivi pubblici come una piscina, campi sportivi e una pista di atletica. Il BIT abbandona l’edificio a metà anni ottanta. Questo rimane in parte utilizzato dalla Regione che installa il Centro cartografico regionale, un centro di formazione professionale e l’istituto per l’informatica e l’elettronica Giorgio Quazza. Negli stessi anni si fa avanti l’ipotesi per la conversione parziale del Palazzo in centro congressi sempre su progetto dello Studio Nervi per un costo intorno ai 10 miliardi, ma mai realizzata.

Abbandonato poi anche dalla Regione, a metà anni ottanta l’edificio torna di proprietà demaniale e tra gli anni novanta e i primi anni duemila viene utilizzato solo parzialmente dalla Facoltà di Economia e Commercio e dalla Questura. Gli anni passano tra usi impropri e assenza di strategie. Nel 2000 uno studio di fattibilità condotto dal gruppo di progettazione del Politecnico, coordinato dall’architetto Aimaro Isola su incarico della Provincia, prevede di trasformarlo in Science Center. Poco dopo poi spunta l’ipotesi di farne la sede del prestigioso Museo Egizio e poi ancora di farne la sede degli uffici di Fiat Engineering.

Nell’insieme però i progetti non affrontano il problema cruciale, che ne è anche il vizio d’origine, cioè quello di reinserirlo nel tessuto urbano e di consegnarlo a una reale fruizione collettiva. La volumetria dell’edificio rimane poi un grosso ostacolo. Qualunque progetto di trasformazione deve fare i conti con il problema del riscaldamento di un volume di tali dimensioni o se invece utilizzare il complesso come grande piazza coperta in cui costruire una serie di volumi indipendenti.

Nel 2004 la Città di Torino si fa avanti per acquisirlo, la richiesta è di 20 milioni di euro. Si fa così strada l’ipotesi della concessione, ma la procedura è lunga e complessa. Nonostante la provocazione del sindaco, che ha proposto d’impacchettarlo per nasconderlo alla vista nei giorni delle Olimpiadi del 2006, il Palazzo ha continuato la sua grama vita di sporadico contenitore fieristico. Il 4 ottobre 2005 la circoscrizione IX approva un ordine del giorno per verificare la possibilità d’uso come parcheggio durante i giochi olimpici invernali del 2006. Il 19 ottobre 2005 un Protocollo d’intesa tra la Città e il Ministero delle Finanze, da cui dipende il Demanio, impegna la prima ad adottare una variante di Piano regolatore che preveda «nuove destinazioni d’uso di carattere turistico-ricettivo, culturale, terziario espositivo, congressuale, fieristico, centri di ricerca, Università, attività di servizio alle persone e alle imprese». Potrebbe essere una via d’uscita, anche se qualche preoccupazione desta l’ampiezza dello spettro di destinazioni d’uso e le proposte avanzate. Di nuovo si fa avanti l’idea di utilizzare l’edificio come ombrello per strutture più piccole che però, si ipotizza potrebbero raggiungere i 6 piani.

Nel 2007 la società immobiliare Fintecna del Ministero delle Finanze seleziona i partner ideali per un portafoglio di immobili, e per il Palazzo del lavoro si aggiudica la partita l’immobiliare torinese Gefim. La variante che dovrebbe comportare una valorizzazione dell’immobile che porterebbe nelle casse comunali almeno 3,7 milioni per la valorizzazione e altri 8 di oneri di urbanizzazione, viene approvata nel luglio 2009 e consente il cambio di destinazione d’uso a commerciale e un notevole aumento di volumetria. Solo nel 2010 la società Pentagramma costituita per il 50% da Fintecna e per il resto da Gefim individua l’utilizzatore finale: si tratta del gruppo olandese Corio che costruisce tramite un fondo pensioni centri commerciali. Il progetto, presentato nel marzo del 2011, è firmato per la parte urbanistica dall’architetto torinese Alberto Rolla che sostiene di riprendere con fedeltà l’ipotesi sviluppata da Nervi per la riconversione del fabbricato in fase di concorso nel 1959, ma in realtà propone la costruzione d’ingombranti volumi interni.

Il progetto di rifunzionalizzazione (© studiorolla)

Il progetto di rifunzionalizzazione (© Studio Rolla)

 

Nel luglio del 2011, quando l’edificio compie cinquant’anni viene finalmente vincolato ai sensi del dl n.42/2004 (Codice dei beni culturali). A inizio 2012 la Città di Torino mette in piedi una cabina di regia, più per rispondere alle perplessità degli abitanti circa la costruzione di un ennesimo centro commerciale che non per tutelare un monumento dell’architettura del Novecento, tant’è che nella cabina di regia figurano solo politici locali, gli stessi proprietari e nessun architetto. Nel giugno 2012 il TAR blocca il progetto in seguito al ricorso della società di gestione del centro commerciale che si trova nel vicino Lingotto. Il ricorso verte contro la Variante al PRG, approvata come variante semplice e non strutturale, resa invece necessaria dalle imponenti modifiche di viabilità che un progetto di queste dimensioni genererebbe, senza Valutazione ambientale strategica, obbligatoria vista la metratura dell’intervento (60.000 mq) e con una palese violazione degli standard (da 6.000 mq di superficie commerciale a 13.000 mq). Successivamente il Comune ricorre al Consiglio di Stato, il quale conferma la sentenza del TAR Piemonte.

Anche se la Città ha già annunciato di procedere rapidamente all’approvazione di una nuova Variante, questa volta complessa e da accompagnarsi a una Valutazione ambientale strategica, il progetto si blocca fino alla notte del 20 agosto 2015, quando un incendio divampa all’interno dell’edificio non causando fortunatamente gravi danni ma evidenziando come l’iter di approvazione del progetto si sia arenato.

L’Associazione Pier Luigi Nervi Project con Docomomo International, Docomomo Italia, Icomos e altre istituzioni ha avviato un’azione internazionale per puntare l’attenzione sul fatto che il progetto di trasformazione, che la città adesso promette di approvare in tempi rapidi, necessiti di essere seguito da un soggetto consulente internazionale di altissimo livello (www.docomomo.com/heritage).

Autore

  • Cristiana Chiorino

    Torinese (nata nel 1975), architetto e dottore di ricerca in Storia dell'Architettura e dell'Urbanistica (Politecnico di Torino), è socia dello studio di architettura Comunicarch. Dal 2005 al 2014 è vicecaporedattore de «ll Giornale dell’Architettura», per il quale ha curato gli allegati «Il Magazine dell’Architettura» (selezione della stampa internazionale) e il «Rapporto Annuale Restauro». Ha collaborato alla mostra internazionale «Pier Luigi Nervi: Architettura come sfida» di cui ha curato con Carlo Olmo il catalogo. Collabora con l’associazione Pier Luigi Nervi Project, con una consulenza sulla tutela della sua eredità culturale e del patrimonio delle sue opere. Ha scritto articoli e partecipato a convegni sulla sensibilizzazione alla tutela dell’architettura del Novecento, tema che ha approfondito con il master «Sauvegarde du patrimoine bâti moderne et contemporain» presso l’Institut d’Architecture dell’Università di Ginevra nel 2003. Dal 2011 è membro del consiglio direttivo di Docomomo Italia

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Last modified: 17 Novembre 2015