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Written by: Città e Territorio

A Singapore, torri, serpentoni, armadilli: il luna park di Marina Bay

Singapore. Il 17 febbraio s’inaugura l’Art Science Museum, progettato da Moshe Safdie e ultima opera a essere completata a Marina Bay, sito di uno dei maggiori interventi urbanistici della città.
Il museo riprende la forma del fiore di loto e simbolicamente rappresenta anche una mano aperta per accogliere i visitatori, così contribuendo all’immagine di una città che vuole essere non solo punto di riferimento mondiale per gli affari e la finanza ma anche per l’intrattenimento, la cultura e l’innovazione. Il museo è parte di un masterplan che comprende tutta la zona di Marina Bay e che, tramite un intervento di «Land Reclaim» ha puntato sull’espansione urbana fuori dal centro. Si tratta di un processo unico nel suo genere che ha previsto innanzitutto la chiusura del canale sfociante sul mare, creando un bacino di acqua potabile grazie allo sbarramento delle maree. Il progetto, lanciato una trentina di anni fa, ha poi compreso lavori di recupero di edifici storici e la creazione di uno spazio urbano composto da una passeggiata pedonale di oltre 3 km ove sorgono edifici consacrati all’intrattenimento quali teatri, casino, musei, hotel, strutture sportive oltre a stabili residenziali e un nuovo centro finanziario. L’area è oggi un centro polifunzionale, aperto e vissuto 24 ore su 24, tutti i giorni.
A differenza di Suntec City, centro di edifici finanziari e commerciali sviluppato negli anni ottanta, l’intervento (nettamente più grande) di Marina Bay è nato con l’intento di ricucire diverse realtà urbane. Mentre nel caso di Suntec si è trattato di un ampliamento prevalentemente monofunzionale, dove sono stati edificati uffici e hotel, con Marina Bay si sono voluti recuperare elementi preesistenti e storici, avvicinare la città all’acqua e creare uno spazio pubblico urbano includendo edifici nuovi aventi le funzioni più svariate.
L’idea di avviare una pianificazione urbana di tale respiro nasce in primo luogo dall’esigenza di ampliare il limitato territorio nazionale ottimizzando le risorse come la scarsa disponibilità di acqua potabile, ma si focalizza principalmente sul concetto di place making, ovvero la creazione di un luogo vissuto, che vada oltre la dimensione spaziale e che permetta un modo diverso di vivere la città. «È un intervento notevole non tanto per la qualità delle sue architetture quanto per la capacità di agire sugli spazi pubblici: il che, per una città asiatica, è estremamente innovativo e lungimirante», sostiene Laura Miotto, design director di Gsmprjct, lo studio che ha progettato la Marina Bay Visitors’ Gallery. Per permettere lo sviluppo organico di questa nuova area di espansione l’Urban Redevelopment Authority (Ura), l’ente governativo di pianificazione che sovrintende all’intera operazione, ha infatti incluso nel piano regolatore i cosiddetti white sites, ovvero lotti a cui non sono ancora state attribuite delle funzioni, in attesa di capire quali esigenze sorgano in seguito allo sviluppo della zona.
L’investimento del governo per l’intera operazione è stato di circa 4 miliardi di euro, perlopiù stanziati per i lavori infrastutturali, come ad esempio la centralizzazione di tutti gli impianti tecnici e di aria condizionata, collocati in gallerie sotterranee per alleggerire gli edifici e facilitare i lavori di manutenzione. La sostenibilità ambientale è infatti un ulteriore aspetto su cui l’Ura ha voluto puntare, incoraggiando soluzioni ecosostenibili. Quest’approccio ha dato luogo, oltre che ad ampi spazi dedicati ai pedoni e al verde, anche a soluzioni fantasiose come il serpentone dello studio Cox e a forme architettoniche discutibili. Safdie, progettista del resort integrato di Marina Bay e del museo, cosi commenta il progetto: «Siamo riusciti a integrare arte, ambiente e architettura, creando un unico spazio totalmente nuovo che sposterà il centro di gravità della città».

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Last modified: 10 Luglio 2015