Riflessioni e primi bilanci a valle delle misure di agevolazione verso il comparto edile
Superbonus 110%, Ecobonus, Sismabonus. Ma anche Bonus infissi, Tende da sole, Caldaia, Ristrutturazioni, Facciate, Condizionatori, Mobili, Verde, Prima casa under 36, Idrico, Restauro, Acqua potabile, Barriere architettoniche, Affitti giovani 20-31. Diciassette in tutto, tanti sono gli incentivi statali che più o meno direttamente riguardano l’edilizia, come previsto dalla Legge di bilancio 2022. Un numero d’incentivi che dà la misura con la quale il Governo cerca di rilanciare il più importante comparto produttivo del Paese, dal 2008 in uno stato di crisi pressoché incessante e profonda. In realtà, il mondo delle professioni (quelle del settore edile, in particolare) aveva già subito un duro colpo con l’approvazione del Decreto Bersani sulle liberalizzazioni che, prevedendo l’abolizione della tariffa minima e introducendo la negoziazione della parcella, due anni prima della crisi finanziaria globale aveva scatenato un terremoto nell’economia dei “fragili” studi di progettazione italiani. Complessivamente, dunque, stiamo parlando di circa sedici anni di difficoltà lavorativa, più di quanto molti dei professionisti sia stato in grado di sostenere, l’equivalente di due lauree a ciclo unico e due dottorati. Un tempo lunghissimo, nel contesto del delicato sistema economico in cui versa il nostro Paese, schiacciato dalla concorrenza internazionale, dal debito pubblico in continua crescita, dalla corruzione del sistema ormai endemica.
L’avventura del 110%
È in questo scenario che tanti professionisti si sono “lanciati” nell’avventura del 110%. Iniziato male (vedi l’articolo di Marco Ragonese a proposito della situazione triestina, ma ampiamente assimilabile a molte realtà italiane), cresciuto peggio, esso lascia già presagire tempi bui per l’avvenire. Basti pensare alle ripercussioni economiche di un sistema dopato che ha portato il costo di ponteggi e materie prime a livelli inconcepibili fino a qualche mese fa, le cui conseguenze restano ancora imperscrutabili, ma ricordano già quanto accaduto in occasione di altre note bolle speculative. Cosa ne sarà, poi, di tutte quelle imprese edili che, improvvisate per l’occasione, scompariranno al termine del cantiere e dei bonus, lasciando i clienti a gestire da soli i possibili problemi a fine lavori? Cosa accadrà quando l’Agenzia delle entrate verificherà “a campione” la correttezza delle procedure per l’ottenimento del bonus fiscale? Quanti cittadini sono consapevoli dei rischi che corrono affidandosi a imprese e professionisti che non sempre si sono dimostrati corretti, tanto da indurre il Governo a un’affrettata quanto necessaria revisione normativa? Sono temi su cui gli Ordini professionali e la stampa di settore si stanno già interrogando da tempo e a cui non tarderanno ad arrivare risposte.
La reputazione dell’architetto
Ma preme sottolineare, qui, anche un altro aspetto, conseguenza non meno rilevante del sistema degli incentivi: la ricaduta che esso avrà sulla definizione sociale della figura dell’architetto. Fatta di necessità virtù, impegnati nell’incessante ricerca d’incarichi per sopravvivere ai sempre più ridotti guadagni ormai insufficienti a coprire le crescenti spese di gestione, molti professionisti hanno abbracciato – spesso con entusiasmo, purtroppo – la nuova opportunità: cappotti, serramenti, intonaci, impianti di raffrescamento e riscaldamento, coperture, EPS, ponti termici ecc. sono diventati i principali argomenti di confronto tra colleghi, assieme all’ormai immancabile refrain delle normative sempre più assillanti e dei fatturati risicati.
Uno scenario simil-fieristico a dir poco avvilente per chi vede nella professione lo strumento operativo per la trasmissione della cultura architettonica (non solo quella scritta, ma anche quella realizzata, prodotta dal sapere tecnico maturato dall’esperienza in cantiere). Questa “specializzazione edile”, infatti, non fa che acuire un’immagine dell’architetto ormai sempre più sovrapponibile a quella di altri tecnici del settore, forse rosicchiando loro una quota di mercato ormai contesa alla pari, è vero, ma a detrimento di quell’irrinunciabile cultura che fin dai tempi di Leon Battista Alberti, fa dell’architetto l’unico professionista competente – per eccellenza – nella generazione dello spazio abitato.
Edilizia e architettura non sono, non possono e non devono essere sinonimi! Se la necessità spinge a trovare soluzioni più che comprensibili nel difficile contesto in cui opera la maggioranza degli architetti italiani, bisogna però essere consapevoli della pericolosità insita nell’imboccare la strada qui profilata: essa inevitabilmente ridefinisce il ruolo e la figura dell’architetto in una società – quella italiana – già da troppo tempo, poco o per nulla incline a considerare l’arte del costruire il contributo imprescindibile alla definizione della qualità dell’abitare.
Per questa ragione è necessario riconquistare una “dignità” professionale che vada oltre le pur necessarie competenze tecniche e normative, e si riappropri della capacità di definire – attraverso il progetto – lo spazio fisico e relazionale, scopo ultimo e più alto a cui hanno teso i grandi maestri della nostra disciplina.
Tutte le immagini che illustrano l’articolo sono una gentile concessione del fotografo Gianluca Rizzello, che ha operato una lettura del fenomeno della ristrutturazione delle facciate nella sua città di residenza, Bologna. Il lavoro di Rizzello (1978) è caratterizzato dall’attenzione alle problematiche di carattere ambientale e sociale: in particolare, antropologia urbana, studio del paesaggio e trasformazioni urbanistiche
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agevolazioni , bologna , legislazione
Last modified: 11 Maggio 2022