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Emanuele PiccardoWritten by: Forum Professione e Formazione

Ghirri, la lenta scoperta delle cose

Ghirri, la lenta scoperta delle cose

Formazione, contesto e influenze del fotografo e intellettuale la cui visione rimane inalterata a trent’anni dalla scomparsa

 

Luigi Ghirri è morto troppo presto. Sono passati trent’anni ma la sua figura di fotografo e intellettuale della visione rimane inalterata nel tempo. Ghirri non è stato solo un fotografo ma un intellettuale che ne ha radunati altri attorno a sé: i fotografi Mimmo Jodice, Gabriele Basilico, Vincenzo Castella, Guido Guidi, Vittore Fossati, Giovanni Chiaramonte, Olivo Barbieri, Carlo Garzia, Claude Nori, Mario Tinelli, Franco Vaccari e gli scrittori Daniele Benati, Gianni Celati, Giorgio Messori.

 

La fotografia e la ricerca di un nuovo linguaggio

Erano gli anni settanta del secolo scorso e la fotografia, come l’architettura, era in una profonda crisi di linguaggio. Dopo la contestazione giovanile e le tremende immagini della guerra in Vietnam che hanno portato all’apice la fotografia di reportage, in America i fotografi iniziavano a porsi la questione del linguaggio.

In Italia accadde lo stesso grazie al lavoro di Ghirri e dei suoi amici che guardavano all’America del grande fotografo Walker Evans, che aveva raccontato la miseria della depressione nelle terre marginali degli anni trenta, e che aveva i suoi eredi nei “New Topographics”. I nuovi topografi hanno ridisegnato con la fotografia la quotidianità americana, girando le periferie per costruire narrazioni introspettive di un modo di vivere l’America, tra il pop e il patriottismo. Così Stephen Shore, Lewis Baltz e Robert Adams diventarono i compagni di strada di Ghirri, Guidi, Barbieri, Basilico, Fossati, Castella, Jodice.

 

Antonioni, Lattuada, Zavattini e l’Emilia

Però per comprendere l’opera di Ghirri si deve entrare nel mondo dell’Emilia, una terra ricca di suggestioni letterarie e cinematografiche come il cortometraggio Gente del Po (1947), girato da Michelangelo Antonioni nella bassa. Erano gli albori del neo-realismo quando Antonioni, regista ferrarese, usava il bianco e nero per enfatizzare il dramma della vita misera lungo le sponde del grande fiume, come aveva fatto Alberto Lattuada, architetto laureatosi al Politecnico di Milano passato al cinema, autore de Il mulino del Po (1949), ispirato al romanzo omonimo del bolognese Riccardo Bacchelli pubblicato tra il 1938 e il 1940.

Nel 1953 lo scrittore e sceneggiatore Cesare Zavattini, originario di Luzzara nella bassa padana, incontra Paul Strand, fotografo americano comunista, alla ricerca di un villaggio che potesse rappresentare la vita italiana, tra miseria e dignità, per manifestare una solidale attenzione verso il prossimo. Così Zavattini accompagna Strand a Luzzara per fotografare la vita dei suoi compaesani. Non è un caso che sia Ghirri, insieme a Paolo Costantini, a scoprire nella biblioteca del paese le fotografie fatte in quei luoghi da Hazel Kingsbury, moglie di Strand.

 

I frammenti di album

La fotografia di Ghirri è da intendere come una continua verifica del suo personale rapporto col mondo fenomenico – scrive lo storico Massimo Mussini – in quanto oggetto da percepire e conoscere. I caratteri formali del suo linguaggio, con l’attenzione per geometria, simmetria, equilibrio tra le parti di una composizione, prospettiva, sono la conseguenza dei suoi studi da geometra. La veduta centrale e prospettica che riduce la tridimensionalità sono i caratteri della sua fotografia. “Il fotografare per lui diviene”, continua Mussini, “dunque naturalmente compiere un’operazione analoga a quella del disegnare; è ridurre in scala […] assumere una posizione frontale davanti all’oggetto, inquadrarlo entro il mirino della fotocamera come su un foglio di carta”.

Questa necessità di togliere la prospettiva facendo collimare i piani sarà anche l’elemento centrale della ricerca dell’amico Guido Guidi, insieme alle profonde relazioni con la pittura: il trattato De Pictura di Leon Battista Alberti per Ghirri, le opere pittoriche di Piero della Francesca per Guidi.

La fotografia di Ghirri è fatta di frammenti di album che dapprima riguardano i territori periurbani, Kodachrome, Colazione sull’erba, Catalogo, Diaframma 11, 1/125 luce naturale, Vedute, Italia ailati, e successivamente una ricerca sul tema della mappa geografica in Atlante, dove porzioni di territorio isolate dal contesto creano immaginari inaspettati e visionari in stretta relazione con Infinito, dove registra le mutazioni del cielo per un anno. Mentre ne Il paese dei balocchi tratta il tema della finzione espresso nei luna park, al museo delle cere di Amsterdam, al parco della natura di Salisburgo. Questo continuo mutare di scala della rappresentazione, dal generale al dettaglio, è evidente anche in Identikit, dove analizza se stesso riprendendo frammenti di libri sugli scaffali della sua libreria, in una specie di autoritratto, in antitesi con gli autoritratti della fotografia ottocentesca.

Dopo la scomparsa di Ghirri nel 1992 a Roncocesi (Reggio Emilia), la sua seconda moglie Paola Borgonzoni ha iniziato il progetto di valorizzazione della sua opera attraverso mostre e pubblicazioni, oggi portato avanti dalle eredi, Ilaria e Adele, attraverso il prezioso lavoro dell’Archivio Ghirri. Così l’opera di Ghirri ci sarà di conforto e aprirà alla riflessione sul nostro presente attraverso la lenta scoperta delle cose.

 

Immagine di copertina: Modena, 1973, dal libro Kodachrome (© Eredi di Luigi Ghirri)

 

 

Autore

  • Emanuele Piccardo

    Architetto, critico di architettura, fotografo, dirige la webzine archphoto.it e la sua versione cartacea «archphoto2.0». Si è occupato di architettura radicale dal 2005 con libri e conferenze. Nel 2012 cura la mostra "Radical City" all'Archivio di Stato di Torino. Nel 2013, insieme ad Amit Wolf, vince il Grant della Graham Foundation per il progetto “Beyond Environment”. Nel 2015 vince la Autry Scholar Fellowship per la ricerca “Living the frontier” sulla frontiera storica americana. Nel 2017 è membro del comitato scientifico della mostra "Sottsass Oltre il design" allo CSAC di Parma. Nel 2019 cura la mostra "Paolo Soleri. From Torino to the desert", per celebrare il centenario dell'architetto torinese, nell'ambito di Torino Stratosferica-Utopian Hours. Dal 2015 studia l'opera di Giancarlo De Carlo, celebrata nel libro "Giancarlo De Carlo: l'architetto di Urbino"

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Last modified: 9 Marzo 2022