Da un anno direttrice della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, ha puntato tutto sullo svecchiamento attraverso un inedito approccio curatoriale e un progetto allestitivo, con la collaborazione di Martí Guixé, costruito attorno alla centralità dello spazio pubblico. Senza dimenticare l’ala Cosenza
ROMA. Ci sono casi in cui la relazione tra architettura, arte, allestimento e curatela può raggiungere risultati efficaci. È il caso della nuova Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, ripensata dalla neo direttrice Cristiana Collu. Arrivata da appena un anno ha cambiato tutto, al punto che è difficile ritrovare gli elementi che da sempre hanno caratterizzato l’importante istituzione romana. Già dall’ingresso si nota il cambiamento: la luce che invade i volumi, la permeabilità visiva degli spazi, il ritrovato confronto con l’esterno, il nuovo design degli arredi. Un approccio che ha destato consensi e dissapori, questi ultimi soprattutto tra gli addetti ai lavori. Di tutto questo, della contemporaneità ma soprattutto del destino dell’ala Cosenza, abbiamo parlato con la protagonista di questa operazione, Cristiana Collu.
Nel nuovo progetto curatoriale della Galleria Nazionale, qual è stato il ruolo dell’architettura? Quanto è stata rilevante e che tipo di soluzioni avete deciso di adottare nel rapporto architettura-opere d’arte?
L’architettura m’interessa in maniera particolare, ne sono affascinata e l’ho sempre considerata una parte fondamentale del mio lavoro come direttore di musei ed altri istituti. Mi sembra che sia una modalità che crea le condizioni. Quando sono arrivata alla Galleria Nazionale, un anno fa, ho trovato uno spazio che in qualche modo non risuonava e mi sembrava che l’edificio fosse appesantito e opaco e si fosse perduta la centralità, l’identità, anzi la personalità, dello spazio architettonico, la sua posizione rispetto al contesto, la sua relazione con Villa Borghese e con i giardini e in generale con gli spazi esterni. Quello che ho messo in atto è un lavoro di tipo archeologico, come se mi fossi limitata a togliere stratificazioni per trovare un nucleo originario, e per farlo è necessario intraprendere una sorta di percorso controcorrente.
Come ha portato avanti questo lavoro “archeologico”?
Ricercando l’origine appunto, e per farlo si doveva arrivare allo stato nascente, primordiale quasi aurorale dell’architettura, riscoprendo ad esempio come sia attraversata dalla luce che all’incrocio di un cardo e un decumano definisce tutti gli spazi e li mette in relazione. Quando ci si trova all’interno del museo e in particolare nella Sala delle Colonne, all’ingresso, si vede il Parco di Villa Borghese e il museo che è a sua volta uno spazio pubblico, si mantiene una stretta relazione con lo spazio urbano, ed in generale con lo spazio antropizzato che lo circonda. Queste sono anche le condizioni per abitare temporaneamente lo spazio del museo perché è anche il nostro stare e non solo il nostro muoverci all’interno che ne definisce il valore e la qualità. Nell’intervento è stata centrale l’idea di spazio pubblico, che non si identifica solamente con gli spazi espositivi. Ora le persone possono entrare, spendere parte del loro tempo non necessariamente visitando la mostra ma abitando lo spazio.
Qual è stato il punto di partenza di tutto il progetto?
Nella fase iniziale ho deciso che era prioritario lavorare sul museo come edificio e sulla sua collezione, senza trascurare gli altri aspetti gestionali e organizzativi, ma coniugando il programma espositivo con le nostre esigenze puntuali. L’ho fatto subito mettendo al centro l’accoglienza, la sala delle colonne e il salone centrale. Qui abbiamo ripristinato quello stato originario dell’edificio di cui abbiamo parlato all’inizio e che è molto diverso dalla Galleria che ho ereditato un anno fa. È stato un lavoro di cura, che ho portato avanti con tutte le persone della Galleria e che definisco un lavoro in “piena luce”.
La luce è effettivamente ritornata protagonista del Museo. Soprattutto nel grande ingresso centrale. Qui per l’allestimento di bookshop, desk e bar ha chiesto la collaborazione di un designer, Martí Guixé, che ha proposto un progetto molto contemporaneo; in forte contrasto, soprattutto nel salto di scala, con l’architettura esistente.
Ho pensato di rivolgermi a Guixé perché è un designer che stimo molto, penso che sia un genio, adoro il suo modo fluido di risolvere problemi, sapevo che avrei potuto instaurare un dialogo molto fertile e senza pregiudizi. Il progetto ha avuto un’evoluzione lunga per i tempi rapidissimi con i quali lavora Guixé ma alla fine siamo riusciti a coniugare molte istanze ricche di contenuti in una soluzione low budget ma non cheap. Un progetto reversibile che cita il passato in chiave contemporanea: c’è l’idea del temporary ma ci sono anche i caratteristici sofà e il grande storico tappeto con disegno di Cambellotti che ha oltre un secolo. Una scelta precisa e consapevole. L’intervento grafico realizzato direttamente da Guixé, utilizzando Bodoni, è evidentemente un’ulteriore citazione che rende tutto immediatamente più fresco. Per me non c’è contrasto, e se c’è è composto, in armonia con una sorta di pulizia e candore che contraddistingue la sala. Il Trojan bar è essenziale e mescola oggetti di design dello stesso segno ma di qualità diversa.
Lei ha cercato quindi di “svecchiare” l’immagine di questa istituzione…
Penso che le operazioni di svecchiamento non si facciano a tavolino; in qualche misura si fanno con chi porta in campo la sensibilità del proprio tempo. È semplicemente una questione d’impronta, di sensibilità e di linguaggio contemporaneo.
Rispetto al contemporaneo, dalla mostra inaugurale “Time is Out of Joint” è evidente la maggiore attenzione della Galleria Nazionale verso la produzione artistica del Novecento. Siamo a due passi dal Maxxi, museo fondato sul contemporaneo. Qual è la relazione tra le due istituzioni? State lavorando insieme?
C’è una grande attenzione, collaborazione e rispetto reciproco. La Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea, trova in questo termine, non solo una ragione di stato ma anche una ragione di esistenza, ogni museo è contemporaneo o dovrebbe esserlo, anche quello archeologico o di geologia, perché chi lo ordina, chi lo governa, vive il nostro tempo, e trasferisce inevitabilmente la propria visione con le sue contraddizioni.
Una parte della Galleria Nazionale è ancora inaccessibile, parlo dell’ala Cosenza. A che punto siamo con il progetto? Quali sono le vostre idee a riguardo?
L’ala Cosenza è un progetto veramente entusiasmante. Devo dire che la mia posizione sarebbe stata per il ripensamento di quello spazio; cosa che presupponeva la demolizione, parola quest’ultima che suona radicale e catastrofica ma a volte appare più catastrofico il destino di edifici che non riescono a uscire dal buio nel quale sono precipitati. Troppo facile demolire e basta, quel gesto è la creazione dello spazio per un nuovo progetto. Comunque non sarà così, e la questione è altrettanto interessante e complessa; procederemo infatti con un progetto di recupero ma non un restauro filologico – che ormai è impossibile perché il progetto originario è stato nel tempo compromesso dai tentativi di intervento che si sono succeduti. L’idea è quella di un edificio che funzioni in sintonia con il corpo principale progettato da Cesare Bazzani, le cui funzioni siano strettamente connesse alla Galleria e non necessariamente solo espositive.
Quando sarà pronta la nuova ala Cosenza?
Spero tra tre anni. Ma sono sempre molto ottimista. Abbiamo un finanziamento importante che è una grande responsabilità e che si configura come una grande imperdibile opportunità. I fondi sono già stanziati: 15 milioni immediatamente disponibili quindi è molto importante fare il prima possibile per riuscire ad utilizzarli davvero per tradurre un progetto in qualcosa che funzioni.
Il progetto di recupero dell’ala Cosenza verrà seguito sempre dagli architetti del Ministero?
In questa fase iniziale ci sarà un gruppo interno, cosa fondamentale per me e per le persone che lavorano in Galleria, per la qualità e le competenze storiche e amministrative che esprimono. Non escludo la possibilità di chiamare qualcuno dall’esterno, ma per ora è prematuro parlarne.
E questo sarebbe in linea con il Suo approccio. In fondo, Lei qui sta portando avanti una piccola rivoluzione. Roma è una piazza difficile che vive un isolamento rispetto al circuito internazionale dei grandi istituti museali. Ha un progetto per migliorare questa condizione?
Non credo che ci si debba sempre porre in questa prospettiva come se ci fosse sempre di meglio altrove. Io faccio il meglio che posso dove mi trovo, dico sempre infatti che dove mi trovo è il centro del mondo. E nel caso di Roma, ça va sans dire. Secondo me quello che si fa ad una certa quota ti rimette comunque dentro un circuito che si modifica e si trasforma continuamente e che ti obbliga a stare al passo, a quel punto è meglio che il passo lo faccia e lo scandisca tu.
Quali sono le Sue aspettative per la Galleria?
L’operazione che è stata fatta in meno di un anno in Galleria è frutto di un lavoro che è stato a sentire, ha ascoltato e che non si è avvicinato con progetti preconfezionati; mi sono fatta suggerire dal luogo quello che avrei dovuto fare. Non ho avuto e non ho una strategia, non avevo immaginato alcun tipo di reazione, perché penso solo di essere chiamata a tradurre nel modo migliore possibile la riforma, una spinta verso il rinnovamento. Sono fermamente convinta che quando lo Stato investe sull’innovazione qualcosa succede assumendosene i rischi, responsabilità, meriti e conseguenze. Le mie aspettative sono sempre al di là della mia immaginazione, la tensione verso quel punto è molto potente.
Chi è Cristiana Collu
Cristiana Collu (Cagliari, 1969) è una storica dell’arte italiana. Dopo una laurea in Lettere con indirizzo artistico centrato sull’arte medievale all’Università degli Studi di Cagliari conseguita nel 1993, si è perfezionata in Spagna, prima a Burgos e poi a Madrid, dove ha conseguito il dottorato di ricerca in studi museali nel 1996. Ritorna in Italia dopo un apprendistato presso l’Art Gallery of South West di Sydney e diventa direttore del Museo d’arte della provincia di Nuoro, incarico che lascia nel 2012 per spostarsi al Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. Dal 2015 è direttrice generale della GNAM di Roma.
About Author
Tag
roma
Last modified: 15 Novembre 2016