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Ugo CarughiWritten by: Città e Territorio

Con la stazione Toledo, cresce la metro di Napoli

Con la stazione Toledo, cresce la metro di Napoli

Napoli. Tra portentose scoperte archeologiche e innumerevoli difficoltà tecniche, il tracciato della metropolitana di Napoli ha raggiunto via Toledo: la stazione, presentata alle istituzioni il 12 aprile, è entrata in esercizio il 17 settembre. Avanza, così, la Linea 1 tra le fermate Dante, nell’omonima piazza, Toledo e Università, in piazza della Borsa, che trae il nome dal vicino Ateneo Federico II. Ripercorrendo in sotterranea il rettifilo ottocentesco, arriverà nel 2013 in piazza Garibaldi, in diretta connessione con la stazione ferroviaria. Procedono intanto i cantieri di piazza Nicola Amore e della grande infrastruttura d’interscambio di piazza Municipio. Di qui la Linea 6 condurrà a occidente, nella conca dei Campi Flegrei. Proiettati in un’accorciata dimensione spazio-temporale, questi luoghi urbani, in precedenza più autonomi nei tradizionali valori d’arte e di storia o nel quotidiano abbandono, quasi sempre escono essi stessi trasformati.
La stazione Toledo immette nel tratto terminale di via Diaz, tra l’ex Istituto della Previdenza sociale di Armando Brasini, il maestoso edificio delle Finanze di Marcello Canino e, sul lato opposto, la Casa del mutilato di Camillo Guerra; più giù, in piazza Matteotti, le Poste centrali, capolavoro di Giuseppe Vaccaro. Un autorevole pezzo di città del Ventennio progressivamente mortificato dal traffico automobilistico e dagli ambulanti. A monte, la promiscua via Toledo, di fondazione vicereale, sul cui opposto versante i Cuarteles Españoles, diventati edifici, s’inerpicano lungo le pendici della collina, disciplinatamente allineati come in una parata militare.
L’architetto catalano Oscar Tusquets Blanca ha reinterpretato il contesto connettendo il centro direzionale fascista, l’arteria vicereale e la scacchiera dei Quartieri spagnoli, elementi mai del tutto reciprocamente integrati. Un tappeto pedonale di basoli in pietra vesuviana copre la parte terminale di via Diaz, attraversa via Toledo e penetra l’opposta cortina edilizia fino a piazzetta Montecalvario, dove è in via di completamento la seconda uscita della stessa stazione. La sequenza dei cerchi radiali nella pavimentazione della piazza, contornati dai sedili curvilinei in pietra, le pensiline e un filare d’alberi ripristineranno l’aria di marmo che circolava tra gli austeri edifici. Alla stazione si accede mediante due scale contrapposte, una scala mobile e un ascensore, che emergono con volumi vetrati dal ricercato disegno. Al primo livello sotterraneo pavimentato in pietra vesuviana si trovano un tratto di murazione della città aragonese, simulato anche sul calpestio con pietra di Modica a opus incertum, e il coevo frammento di una torretta con il foro per la bocca da fuoco; di fronte, un grande mosaico di William Kentridge inaugura la compresenza in un unico spazio di valori appartenenti alla storia della città e all’espressione contemporanea. Tusquets ha previsto tre lucernari emergenti con volumi esagonali che consentono dalla strada di vedere i reperti murari e, al contempo, portano la luce esterna alla quota inferiore. Gli spazi sotterranei si colorano degli elementi naturali nei quali sono stati ricavati. Il tufo è rappresentato sui pavimenti e sulle pareti con piastroni di vario formato in giallo reale e inserti in cristallino blu che segnalano l’acqua affiorante. Più in profondità ci si immerge visivamente nell’acqua, simulata con un rivestimento in tesserine di mosaico miscelato in varie gradazioni di azzurro, che fodera anche il vertiginoso pozzo rastremato a sezione ellittica, ispirato alle cave di tufo romane. L’acqua è presente anche nei pannelli modulari in lexan retroilluminati di Robert Wilson, in cui le onde marine accompagnano i passeggeri lungo il corridoio che porta ai treni.
Tusquets è riuscito a evocare, l’uno nell’altro, due universi sovrapposti ed estranei: l’uno esposto alla luce del giorno e al buio della notte, al vento e alla pioggia, al ciclo delle stagioni, alle urgenze quotidiane di ogni metropoli; l’altro sotterraneo, indifferente al «mondo di sopra», regolato da puntuali automatismi, illuminato da luci artificiali, programmaticamente avulso da imprevisti, che indefinitamente ripropone sè stesso secondo scadenze sempre uguali.
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Autore

  • Ugo Carughi

    Nato a Napoli (1948), vi si laurea in Architettura nel 1973. Direttore presso la Soprintendenza BAP di Napoli e provincia dal 1979 al 2013 e Soprintendente reggente nel 2000. Componente del comitato tecnico per il Piano nazionale per gli archivi e l’architettura del Novecento del MiBACT (2001-2013). Membro del comitato scientifico dell’Associazione Dimore Storiche - Campania. Past-President e responsabile del settore editoriale di Do.Co.Mo.Mo. Italia ONLUS. Membro dell’ICOMOS Italian National Council. Autore di numerosi restauri e di allestimenti di mostre di architettura e arte. Premio ex-aequo al concorso per progetti pilota per la conservazione dei monumenti tra Paesi membri CEE con il progetto per la chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli (1988). Dal 1996, docenze a contratto presso l’Università degli studi di Napoli Federico II, l’Università della Campania Luigi Vanvitelli, l’Università degli studi della Basilicata e l’Università degli studi Suor Orsola Benincasa. Componente gruppo di redazione del Piano di Conservazione dello stadio Flaminio in Roma, per conto della Getty Foundation (Keeping it modern architectural conservation grants 2017). Componente gruppo di redazione dell’Atlante architettura contemporanea (Do.Co.Mo.Mo. Italia e Sapienza Università di Roma per MiC). Tra le principali pubblicazioni recenti: “L’area metropolitana di Napoli. 50 anni di sogni utopie realtà” (curatela con M. Visone; Napoli 2010); “Maledetti vincoli. La tutela dell’architettura contemporanea”, Torino 2012; “Time Frames: Conservation Policies for Twentieth-Century Architectural Heritage (curatela con M. Visone; Londra-New York 2017)

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Last modified: 19 Luglio 2015