L’evento speciale del Salone del Mobile in Fiera sembra soprattutto un antipasto per la ripresa vera, programmata il prossimo aprile
MILANO. Successo doveva essere e successo è stato, come ripetuto un po’ ossessivamente in ogni commento e dichiarazione. Sarebbe effettivamente ingeneroso dire il contrario per un evento coraggiosamente organizzato in fretta e furia (annunciato solo a fine aprile, e dopo giorni di forti polemiche nel cda di Federlegno Arredo Eventi) e capace di riaprire alle grandi esposizioni dopo il blackout della pandemia, richiamando alla Fiera di Rho il gotha dell’arredo internazionale e delle istituzioni, a partire dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
C’è però un retrogusto amarognolo per un evento che, così costretto e limitato, perde tanta della sua forza e del suo fascino. E allora l’impressione è che questa 59° edizione – fuori tempo perché a fine estate e non nel tradizionale slot primaverile – sia prevalentemente un’orgogliosa rivendicazione di esistenza e un antipasto di ciò che vedremo da qui a pochi mesi (segniamoci già le date in agenda: 5-10 aprile 2022) con l’edizione numero 60.
I numeri del SuperSalone
I numeri finali (circa 60.000 visitatori, 420 espositori) vanno in questo senso parametrati al momento storico, perché siamo nell’ordine del 15-20% delle quantità delle ultime edizioni pre-Covid. Solo 4 i padiglioni occupati, a venire a mancare è quella solita densità di persone, flussi, prodotti che è, in fondo, il senso di ogni fiera di successo. Un esito che stride un po’ con la Milano del FuoriSalone (che invece “regge” meglio) e che contrasta soprattutto con quell’aggettivo “Super” scelto per dare identità, persino nel nome, al Salone 2021. Tanto da generare una retorica che pare un po’ eccessiva per un evento che – e non poteva essere altrimenti – viaggia con il freno a mano tirato: “Il Salone del Mobile quest’anno diventa Super. Super perché imperdibile e imperdibile perché Super”.
La novità della curatela, di Stefano Boeri
Novità importante è aver affidato una curatela pesante all’evento, a Stefano Boeri (che l’ha condotta per le diverse sezioni con Andrea Caputo, Maria Cristina Didero, Anniina Koivu, Lukas Wegwerth, Marco Ferrari ed Elisa Pasqual di Studio Folder, Giorgio Donà).
L’impostazione è forte soprattutto nella scelta di un allestimento che lascia meno spazio del solito alla creatività dei brand, ma incasella gli stand in corridoi seriali realizzati con struttura in profilati metallici e pannelli in legno: bande che accolgono la successione di marchi, consentendo in alcuni punti, segnati con teli neri, i passaggi da un settore all’altro. L’obiettivo dichiarato dai curatori di una maggior democraticità si traduce però in una condizione particolare e sorprendente: quasi fossero strette vetrine di una strada commerciale e non un evento fieristico che libera l’energia delle creazioni individuali. In linea con l’approccio che si percepisce negli stand appunto: pur con qualche eccezione (leggi Artemide o Porro, per fare due nomi) la sensazione prevalente è che gli stessi espositori siano presenti più per dovere di firma e in attesa dei prossimi mesi. “Portate qualche novità?”, “No, abbiamo deciso di mostrare i nostri prodotti di punta”: lo scambio di informazioni più diffuso.
Ma se, paradossalmente, gli spazi espositivi sono molto densi, perché compatti e “incasellati”, nelle altre aree dei Padiglioni si sente eccome dispersione e distanziamento. Tolte le code per i controlli di sicurezza e del Green Pass all’ingresso, i visitatori si disperdono in uno spazio troppo ampio, con tavolini e sedute lontanissime una dall’altra. E con le piante del progetto Forestami (destinate poi ad essere trapiantate in veri boschi e prati milanesi) anche loro presenze un po’ fuori tempo e fuori luogo.
Take your Seat
Dove invece si recupera presenza è la mostra “Take your Seat” (“prendi posizione”), organizzata insieme ad ADI Design Museum e curata da Nina Bassoli. Divisa in 4 aree circolari, una per padiglione, l’allestimento (Alessandro Colombo, Perla Gianni Falvo) è un inno alla storia la sedia (“Non c’è oggetto più iconico per il design”) dal 1954 ad oggi. Le isole sono affascinanti generatori di colori e luci, da leggere sia nella composizione complessiva che nei singoli oggetti, con una bella raccolta di citazioni letterarie a ricostruire storie e direzioni. Il titolo “Solitudine e convivialità della sedia” è sintesi involontaria di un Salone, pardon un SuperSalone, teso tra voglia di ritrovare il senso dell’incontro e una mancanza di densità che oggi vuol dire prevalentemente aver gettato un seme.
“Ora”, conclude la nuova presidente del Salone di Milano Maria Porro, “guardiamo al futuro, con rinnovata consapevolezza del valore e della storia di questo patrimonio collettivo e con la voglia di accogliere le nuove sfide lavorando da subito alla sessantesima edizione”.